LEZIONI SUI PRINCIPI
GUIDA DELLA
METODOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE
FORMATIVA
Edizione 2000
Realizzata grazie alla collaborazione in particolare
del Capo di 2^ Cl. Bianchi Massimo e
dei frequentatori del 10° e 11° corso P.Mrs
Mariscuola Taranto
"Non si tratta di "informare", di travasare nello spirito di coloro
che ascoltano un certo contenuto teorico, ma piuttosto di "formare",
e si tratta anche di sviluppare una ricerca in comune:
questa è la vita teoretica."
[P.Hadot: Che cos'è la filosofia antica?,
Einaudi, 1998, pag.86]
INDICE DEGLI ARGOMENTI DEL TESTO (pagine progressive di stampa)
METODOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE
COMUNICAZIONE
COMUNICARE IMPLICA SCAMBIO E RELAZIONE 3
IL METODO SPERIMENTALE 6
METODOLOGIA 7
COMUNICAZIONE VERBALE 7
COMUNICAZIONE NON VERBALE 7
COMUNICAZIONE SPONTANEA 10
COMUNICAZIONE INTENZIONALE 10
ANALISI DELLE COMPONENTI DELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE E STRUTTURA
DELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE. 11
SCHEMA DI TATIANA SLAMA CAZACU 13
Il FEED BACK. 14
feed back positivo 16
feed back negativo 16
feed back cognitivo 16
feed back emotivo 16
DEFINIZIONI E SIGNIFICATI DI INTELLIGENZA E APPRENDIMENTO 18
Rapporti tra intelligenza e apprendimento 18
Intelligenza: significato nella metodologia didattica. 18
Apprendimento: significato nella metodologia didattica. 20
LE DUE PRINCIPALI SCUOLE DELLA PSICOLOGIA
GENERALE DEL '900 23
IL BEHAVIORISMO 24
PAVLOV E I RIFLESSI CONDIZIONATI 25
STIMOLI E RISPOSTE 26
GESTALTHEORIE 28
ALTRI QUADRI TEORICI...................31
La motivazione 32
PER UNA TASSONOMIA DELL'APPRENDIMENTO 36
DAVID AUSUBEL E LA PSICOLOGIA DELL'APPRENDIMENTO 39
JEAN PIAGET E LA PSICOLOGIA DELL'ETA' EVOLUTIVA 43
LEON FESTINGER E LA TEORIA DELLA DISSONANZA COGNITIVA 46
CARATTERISTICHE DEL METODO DIDATTICO E STRATEGIE DI COMUNICAZIONE EFFICACE
47
Struttura degli obiettivi didattici 50
STILI DEL FORMATORE E TIPI DI COMUNICAZIONE 53
OBIETTIVI DELL'ASSERTIVITA' 55
CARATTERISTICHE DELLA PERSONA ASSERTIVA 56
CARATTERISTICHE DELL'ANASSERTIVO PASSIVO 56
CARATTERISTICHE DELL'ANASSERTIVO AGGRESSIVO 56
RUOLO RESPONSABILITÀ' E COMPETENZA 58
PAUL WATZLAWICK E LA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE 59
ELEMENTI PRINCIPALI DELLA PROGRAMMAZIONE DIDATTICA 63
MOMENTI DELL'ISTRUZIONE DI GAGNE' 68
MAPPE CONCETTUALI...................72
Orientamenti bibliografici....................73
METODOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE
Cosa significa metodologia della comunicazione?
COMUNICAZIONE
Cominciamo col definire di quale tipo di comunicazione, tra i tanti
possibili (es. comunicazioni radio, ecc..), è oggetto della presente
trattazione.
Nell'ambito metodologico la comunicazione è certamente
tra persone, tra soggetti umani, quindi comunicazione interpersonale, comunicazione
meglio definita se aggettivata come formativa, in altre parole comunicazione
con finalità formativa.
L'oggetto della presente trattazione è dunque quella comunicazione
volta a formare i soggetti. Pertanto possiamo ripensare l'ambito del nostro
studio come "metodologia della comunicazione formativa". Precisiamo meglio
il tipo di comunicazione di cui trattiamo come comunicazione educativa,
che ha come finalità quella di educare; infine circoscriviamo l'analisi
che stiamo operando sul tipo di comunicazione di cui tratteremo usando
anche l'aggettivo didattica per precisare che trattiamo di quella comunicazione
il cui scopo è quello didattico, cioè l'arte di insegnare.
Arte dell'insegnare, come il termine stesso ci suggerisce, presuppone
la necessità di una capacità creativa che va al di là
della conoscenza delle regole dell'insegnamento stesso, che è pur
necessario conoscere.
Quindi nell'insegnamento risulta essere più abile chi possiede
una più elevata capacità creativa. La metodologia della comunicazione
didattica è quel tipo di comunicazione che ha come finalità
l'arte dell'insegnamento. Pertanto
Comunicazione didattica è quella comunicazione che ha come finalità
l'arte e la scienza dell'insegnamento.
Affermiamo che l'oggetto del presente corso e' la comunicazione specificata
come formativa, comunicazione cioè volta a formare i soggetti, dove
però l'azione formativa è spesso inconsapevole ed esplicata
mediante l'esempio, le azioni quotidiane oggetto di osservazione da parte
di chi apprende per contatto diretto con il soggetto formante, che la maggior
parte delle volte è inconsapevole di essere formatore.
La comunicazione educativa invece presuppone la coscienza di voler
trasferire informazioni a scopo educativo.
La comunicazione didattica è una comunicazione che possiamo
definire quasi istituzionalizzata, che presuppone cioè la presenza
di una figura di livello professionale, un istruttore, un insegnante, ecc..,
che ha lo scopo di trasferire informazioni a fini didattici, di insegnamento
appunto.
Il corso in oggetto verterà soprattutto sulle tecniche della
metodologia della comunicazione formativa.
La metodologia della comunicazione, sia formativa sia educativa e anche
didattica, si colloca nell'ambito delle SCIENZE DELL'EDUCAZIONE, prima
definite PEDAGOGIA (disciplina che ha come oggetto di studio l'educazione
in tutti i suoi aspetti) ed oggi definite anche SCIENZE DELLA FORMAZIONE.
Si ripropone che oggetto del corso sono le tecniche della metodologia della
comunicazione formativa, e uno dei suoi intendimenti è quello di
garantire un miglior flusso di comunicazione all'interno delle organizzazioni.
Individuiamo come obiettivo finale del corso di metodologia della comunicazione
formativa quello di formare i formatori, cioè abilitare al ruolo
di formatore militare.
La comunicazione vuoi formativa che educativa e didattica è
anche una comunicazione interpersonale.
Formativa
Comunicazione Educativa Interpersonale
Didattica
Interpersonale perché trasmissione tra soggetti umani
La radice del termine comunicare risale ai verbi:
grecoè KOINE' (PARTECIPO)
e latinoè comunico (metto in comune)
e dunque la comunicazione in qualsiasi modo sia intesa sottende un
passaggio, un mettere in comune un qualcosa, una trasmissione da qualcuno
a qualcun altro. E cosa bisogna trasmettere?
In una comunicazione formativa interpersonale la base è che
chi intende comunicare qualcosa, abbia la necessaria competenza di questo
qualcosa che intende trasmettere. Ma si può anche trasmettere o
saper trasmettere un'abilità operativa (cioè un saper fare),
e infine si possono trasmettere dei valori.
COMPETENZE SAPERE
TRASMISSIONE DI: ABILITA' SAPER FARE
VALORI SAPER ESSERE
Diamo la seguente definizione:
"La metodologia della comunicazione formativa interpersonale ha lo
scopo di abilitare a trasmettere in maniera ottimale delle competenze,
delle abilità operative e dei valori".
Per completare la definizione di comunicazione considerata come interpersonale formativa, educativa o didattica bisogna richiamare altri due concetti insiti nell'azione del comunicare stesso, e cioè i concetti di scambio e di relazione.
COMUNICARE IMPLICA SCAMBIO E RELAZIONE
Quando si parla di comunicazione è implicito che tra i soggetti
implicati nella comunicazione interpersonale avvenga uno scambio, che può
essere di informazioni, di convenevoli o in modo più impegnativo
uno scambio di competenze o di abilità o di valori come già
prima.
Perché vi sia comunicazione formativa o educativa o didattica
comunque interpersonale, come già il termine stesso nella sua etimologia
richiama, è necessario che vi sia uno scambio, un mettere in comune,
un incontro tra soggetti che escono dalla propria individualità
e s'incontrano, c'è quindi reciprocità dello scambio.
La relazione a sua volta fornisce il significato dello scambio, specifica
cioè di che tipo di scambio si tratta, se tra colleghi ad esempio
o tra alunno e insegnante, ecc.. Nel caso della comunicazione formativa,
didattica, ci troviamo in presenza di una relazione di tipo complesso,
cioè tra soggetti che non sono sullo stesso livello; ma anche lo
scambio è di tipo complesso dovendosi trasferire in maniera ottimale,
come abbiamo già definito, competenze, abilità o addirittura
dei valori. La relazione così instauratasi si dice di tipo complesso
non orizzontale, potremmo definirla complementare.
I soggetti di questa relazione A e B si definiscono rispettivamente
come docente e discente (colui che deve imparare) o anche come preminente
e complementare. La comunicazione didattica, pur se è vero che lo
scambio avviene da soggetto A verso quello B, non è in ogni caso
una comunicazione ad una via soltanto, in quanto c'è comunque sempre
la necessità da parte di A di effettuare una verifica di quanto
trasferito interrogando B, che a sua volta risponde comunicando ad A quanto
appreso, fornendo cioè la verifica richiesta. E' quindi meglio comprensibile
la complessità della relazione data la necessaria partecipazione
attiva del soggetto B.
Si ribadisce quindi che nella didattica lo scambio inteso come passaggio,
come messa in comune, e la relazione tra i soggetti implicati sono sempre
di tipo complesso.
Lo scambio è complesso in quanto si richiede la trasmissione
di competenze, abilità e valori.
La relazione è complessa perché di tipo non paritario,
interpersonale ma non orizzontale (obliqua, se resa graficamente) tra persone
cioè che non sono sullo stesso livello. L'esperienza insegna che
è sempre complessa una relazione tra soggetti umani posti su livelli
differenti; è necessario pertanto che il soggetto B (discente o
posizione complementare) maturi la consapevolezza della sua posizione,
la consapevolezza cioè della necessità di dover apprendere
dal soggetto A (docente o posizione preminente) perché la relazione
funzioni.
In termini didattici il docente è su un livello superiore al
discente, il quale a sua volta deve maturare la consapevolezza della sua
necessità di apprendere dal docente; tale consapevolezza, cioè
il riconoscimento della superiorità del docente nella competenza
oggetto della comunicazione, diventa stimolo all'apprendimento cosciente
per il discente, che si predispone ad apprendere. Perché tale relazione
funzioni è necessario che il discente, o allievo che dir si voglia,
sia predisposto all'apprendimento. Didatticamente, questa consapevolezza
e coscienza prendono nome di motivazione all'apprendimento.
E' anche necessario però che il docente abbia qualcosa
da trasmettere, abbia cioè effettivamente quel valore aggiunto che
lo pone su un gradino più alto, valore aggiunto che deve essere
riconosciuto dall'allievo.
I presupposti del valore aggiunto sono, oltre al possesso di una metodologia
sistematica e organizzata, la credibilità e l'affidabilità
della fonte della comunicazione formativa.
I principali e fondamentali elementi della credibilità sono
la coerenza della fonte tra gli assunti teorici-teoretici e valoriali
con comportamenti pratici conseguenti e stili comunicativi positivi volti
all'ascolto e al rispetto dell'altro, pur nella piena assunzione del ruolo
e della responsabilità.
Il principale e fondamentale elemento dell'affidabilità è
demandato soprattutto dall'assunzione di una
proceduralità scientifica, che non confonda creatività
con improvvisazione e pressappochismo, libertà e autonomia con superficialità
ed empirismo. L'esempio più adeguato per misurare l'affidabilità
di una emittente nella comunicazione formativa, è la corretta citazione
delle fonti che supportano le tesi, i princìpi asseriti e l'educare
costante alla necessità del supporto documentario al proprio incedere
argomentativo.
Regola della comunicazione in generale è che
B (allievo) non può permanere a lungo nella posizione subalterna
senza maturare la consapevolezza di essere nella necessità di apprendere.
Nella comunicazione didattica, pesando meglio i termini attribuiti ai
soggetti (vedi discente e docente), in relazione alla posizione assunta,
possiamo meglio definirli come preminente (soggetto A), e complementare
(soggetto B): il preminente è così definito perché
ha un valore aggiunto da trasmettere al complementare, che deve essere
in tale posizione in modo cosciente per predisporsi all'apprendimento.
Tornando alla Didattica, che è stata definita come l'arte e
la scienza dell'insegnamento, arte come tecnica dell'insegnamento, come
capacità creativa applicata all'insegnamento, ma anche come rispetto
di alcune regole che bisogna conoscere, in quanto un insegnante che non
conoscesse tali regole o procedure sarebbe comunque un cattivo insegnante,
un insegnante cioè non in grado di fare un bilancio critico della
esperienza didattica che sta producendo, essa può essere definita
una delle Scienze dell'Educazione; ed assurge alla qualità di SCIENZA
in quanto nel suo procedere utilizza il metodo scientifico (o metodo sperimentale).
IL METODO SPERIMENTALE
Il metodo sperimentale consiste di tre momenti fondamentali:
· 1^ Formulazione dell'ipotesi
· 2^ Produzione dell'esperienza (esperimento)
· 3^ Controllo dei risultati
Il terzo momento, cioè il controllo dei risultati rende l'ipotesi
formulata in prima istanza vera o falsa.
Scienza è dunque ricerca della verità per mezzo del metodo
scientifico precedentemente formulato. La didattica può dunque essere
definita una della Scienze dell'Educazione in quanto si avvale del metodo
sperimentale.
Tale metodo applicato alla didattica, diventa
· 1^ Fissazione dei principi
· 2^ Produzione dell'esperienza didattica
· 3^ Bilancio critico dell'esperienza
"Ogni scienza, per essere tale, ha bisogno sia di un apparato teoretico
proprio sia di un percorso sperimentale guidato da una propria metodologia
che non può e non deve essere presa d'accatto da altre scienze (..)
verso la fine degli anni Cinquanta il problema della fondazione dell'educazione,
della didattica e della stessa pedagogia comincia a configurarsi come più
articolato e, comunque, più cautelato: (..)la didattica non è
più solo l'arte di insegnare, ma anche quella di apprendere e di
far apprendere e, soprattutto, di cercare di capire come è possibile
apprendere."
[G.Genovesi-M.Righetti: La didattica, 1999, pag. 57 e 60]
METODOLOGIA
Definiamo meglio il termine METODOLOGIA:
Come ci suggerisce l'etimologia del termine, ma anche il linguaggio
corrente, si definisce metodologia lo studio del metodo, ciò che
si occupa del metodo nei più disparati campi dell'attività
umana.
Di metodo moderno, razionale e scientifico, si occupa il filosofo francese
Cartesio (Renè Descartes, 1596-1650) che con la sua opera "Il discorso
sul metodo" (1637) si può definire il primo filosofo dell'età
moderna che rompe con i retaggi del passato per sviluppare la cosiddetta
rivoluzione scientifica.
La metodologia richiama in sè due concetti chiave per la sua
corretta comprensione, e cioè organizzazione e sistema
Dunque per metodologia si può intendere quella serie di
tecniche organizzative che, applicate ad una qualsiasi attività,
tendono ad un fine, ad un obiettivo; cioè il sistema organizzativo
od organizzazione sistematica dell'attività volta al raggiungimento
dell'obiettivo prefissato.
Ciò è valido in qualsiasi attività umana,
ma soprattutto nella didattica, dove è sempre necessario valutare
le risorse disponibili organizzandole poi al fine di conseguire il risultato
prefissato.
Riepilogando: se per metodologia intendiamo un sistema organizzativo,
cioè un'organizzazione sistematica in previsione del raggiungimento
di un fine, nella didattica con "metodologia didattica" intendiamo le tecniche
e i metodi di insegnamento che hanno per finalità la formazione.
Dopo aver definito i concetti di metodologia e di comunicazione, nell'ambito
della metodologia della comunicazione formativa, didattica, educativa,
come Scienza della formazione, iniziamo a classificare la comunicazione
stessa usando una prima semplice distinzione, elementare classificazione
tra le altre possibili, tra due tipi di comunicazione; distinguiamo cioè
due tipi di comunicazione:
COMUNICAZIONE VERBALE
COMUNICAZIONE NON VERBALE
Nel primo tipo di comunicazione, in quello verbale cioè, il veicolo, il canale della comunicazione è il linguaggio, la parola. Nel secondo tipo il canale della comunicazione sono i gesti, gli atteggiamenti, ecc.., tutto ciò che non è parola. Questi due canali o metodi comunicativi non sono certo da considerarsi mutuamente autoescludentisi, come se in presenza di uno non si possa avere l'altro. E' vero il contrario, in una qualsiasi comunicazione interpersonale, cioè tra soggetti umani, infatti, il più delle volte si è in presenza di entrambe le forme comunicative, verbale e non verbale. Nella didattica il canale verbale, la parola come mezzo, è certamente un canale privilegiato, anche se non unico o esclusivo, pertanto la comunicazione verbale diventa oggetto privilegiato di analisi del corso di metodologia della comunicazione. Iniziamo pertanto un approfondimento, un'analisi più dettagliata della comunicazione verbale, di quella comunicazione che fa della parola, del linguaggio il suo canale preferenziale; è certamente il caso della comunicazione didattica. Una comunicazione verbale può essere analizzata per mezzo delle seguenti discipline:
· ORATORIA intesa come l'arte di saper ben parlare
· RETORICA intesa come l'arte di saper ben parlare utilizzando
artifici tecnici
· DIALETTICA intesa nel suo significato
filosofico di "saper ragionare" e "interpretazione-confutazione"
L'oratoria e la retorica hanno un elemento in comune che è la persuasione, cioè la necessità di persuadere usando una comunicazione verbale più o meno pomposa, più o meno sofisticata.
Diamo la seguenti definizioni:
Retorica:
è l'arte del parlare bene, ossia la teoria della tecnica oratoria.
Il suo scopo è di sfruttare al massimo le potenzialità della
parola, attraverso il ricorso ad opportuni accorgimenti ed artifici espressivi,
mimici, stilistici, topici e dialettici, al fine di indurre a persuasione
l'ascoltatore.
[B. Vertecchi: Dizionario di Didattica, 1999, pag. 215]
Persuasione: è un processo o il
risultato di un processo teso ad indurre un potenziale interlocutore a
riconoscere la verità di una determinata idea o la convenienza di
un certo comportamento
[Ivi, pag. 194]
Nella metodologia della comunicazione formativa interpretiamo il termine
Dialettica come "capacità di ragionamento" attraverso il dialogo.
Nell'antichità il termine "Dialettica" faceva riferimento ad un'esercitazione
che il "maestro" faceva condurre agli allievi, esercitazione in cui cioè
il maestro proponeva una "tesi" compito degli allievi era quello di trovare
tutte le possibili argomentazioni che potessero mettere in difficoltà
tale tesi, vale a dire "confutare" la tesi. Tale esercitazione era chiamata
esercizio dialettico.
Se la tesi superava tutte le argomentazioni proposte dagli allievi,
se ne affermava l'assoluta veridicità, altrimenti, se alcune o tutte
le argomentazioni mettevano in difficoltà la tesi, si arrivava ad
una nuova conclusione detta sintesi, prodotta dalla tesi più le
integrazioni necessarie a contenere le argomentazioni in grado di confutarla.
Da ciò si evince come in questo esercizio il fine ultimo era quello
di indurre gli allievi al "ragionamento" attraverso il dialogo per mettere
in dubbio o confutare una tesi. Nella metodologia didattica l'esercizio
dialettico ha un'importanza straordinaria in quanto tende a sviluppare
nell'allievo la capacità di ragionamento.
Più precisamente:
· in Platone, filosofo greco (427/347 a.C.) si considera la
dialettica come un particolare tipo di processo logico. E' un modo di argomentare
che è stato anche definito "il metodo del caso contrario"; il metodo
funziona nel seguente modo: qualcuno propone una tesi, il passo successivo
consiste nel trovare un caso contrario (antitesi), la riconciliazione di
tesi e antitesi produce una sintesi, che diviene essa stessa una tesi ad
un livello più avanzato.
Noi attribuiremo perciò al termine dialettica il significato di "arte del ragionare" attraverso il dialogo e attraverso la confutazione. Concludiamo che ogni affermazione deve essere resa valida attraverso la sua confutazione, verificando i suoi opposti e le sue contraddizioni. Il fine della dialettica è pertanto quello di persuadere ad una tesi attraverso l'interpretazione.
· Tornando alla comunicazione proponiamo un'ulteriore classificazione
come:
COMUNICAZIONE SPONTANEA
COMUNICAZIONE INTENZIONALE
Per comunicazione spontanea si intende una comunicazione priva di secondi
fini o di scopi, diciamo generalmente imprevista e non programmata. Al
contrario una comunicazione intenzionale ha certamente dei fini o scopi
da raggiungere e pertanto è stata sia prevista che programmata.
Il caso più classico di una comunicazione intenzionale
è quello di un insegnante che tiene una lezione a degli allievi:
è ovvia l'intenzionalità della comunicazione ed è
altrettanto ovvia sia la sua previsione che la programmazione degli argomenti
da trattare. Dunque la comunicazione didattica è classicamente intenzionale.
Resta comunque il fatto che è pur sempre una classificazione
relativa, dato che i due tipi, come peraltro già visto per i casi
di comunicazione verbale e non verbale, non si autoescludono, anzi si può
certamente affermare che una comunicazione che nasce come spontanea, se
protratta nel tempo, può diventare intenzionale e viceversa circolarmente,
trasformandosi continuamente da un tipo all'altro tipo. Pertanto solo nel
momento iniziale della comunicazione se ne può intuire la sua spontaneità
od intenzionalità.
"Non è vero che la comunicazione didattica, essendo la classica
comunicazione intenzionale, azzera la spontaneità e viceversa, perché
nella formazione i soggetti devono essere anche liberi di esprimersi"
[F. Dubla, Corso sugli elementi fondamentali della Didattica e della
Metodologia della Comunicazione formativa, supporto testuale all'ipertesto
omonimo,1999, pag. 4]
COMUNICAZIONE :
"In senso generale il termine indica l'insieme dei fenomeni che presiedono
alla trasmissione di segnali, intesi come stimoli non casuali. (..)
Per riferire questa interpretazione (Jacobson, ndr) alla comunicazione
didattica, è necessario tenere presenti le seguenti condizioni:
l'emittente (ossia il docente) deve conoscere sia le caratteristiche dei
destinatari (ossia degli allievi), sia quelle dei mezzi didattici (tradizionali
e tecnologici) che possono essere utilizzati per la trasmissione del messaggio;
il codice utilizzato deve essere comprensibile agli allievi. In altri termini
occorre accertarsi che i destinatari dispongano del bagaglio culturale
(di decodifica verbale e iconica, di abilità operative e strumentali,
ecc.) indispensabile per accogliere il messaggio".
[B.Vertecchi, op.cit., pag.57]
ANALISI DELLE COMPONENTI DELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE E STRUTTURA
DELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE
Al fine di definire gli elementi di una qualsiasi comunicazione interpersonale
ci si avvale delle teorie dello studioso di linguistica Roman Jakobson
che in una sua opera edita negli anni '50, Linguistica e poetica (1958),
analizza la comunicazione verbale.
L'analisi dello Jakobson può essere calata nella comunicazione
formativa, educativa o didattica in quanto comunicazioni di tipo prevalentemente
verbale.
Le conclusioni dello Jakobson saranno successivamente confermate dalla
rumena Tatiana Slama Cazacu nel 1973. Prendiamo in considerazione entrambi
in quanto pur partendo da punti di vista differenti, arrivano alle medesime
conclusioni. E quello che è comunemente definito "schema di Slama
Cazacu" ha alle spalle anche le ricerche di Jakobson. Quest'ultimo evidenzia
quelli che sono i componenti fondamentali della comunicazione interpersonale,
quegli elementi cioè senza i quali non sarebbe possibile nessuno
scambio comunicativo. I tre elementi di base sono:
. MITTENTE (o EMITTENTE) "codificatore"
. MESSAGGIO (contenuto della trasmissione)
. DESTINATARIO (o RICEVENTE) "decodificatore"
Questi tre elementi, afferma lo Jakobson, sono assolutamente necessari
perché avvenga uno scambio comunicativo. Il mittente è definito
come colui che invia una comunicazione, cioè il soggetto principale
dello scambio comunicativo; il messaggio è l'unità comunicativa
trasmessa; il destinatario è colui che rappresenta il termine rispetto
al quale il messaggio è diretto.
Per poter essere trasmesso il messaggio, è necessario che si
verifichino determinate condizioni.
Cioè occorre in primo luogo che sia identificato un CONTESTO
rispetto al quale esso si riferisce. Il messaggio deve poi essere trasmesso
secondo un CODICE riconoscibile sia dal mittente che dal destinatario della
comunicazione e infine si deve stabilire un CONTATTO tra i due o più
soggetti della comunicazione che consenta di instaurare e mantenere la
trasmissione, trasmissione che avviene attraverso e per mezzo di un CANALE
trasmissivo.
· CONTESTO: situazione ambientale o cornice dell'evento
· CODICE: nella comunicazione verbale è il linguaggio
condiviso
· CONTATTO: riconoscimento reciproco
· CANALE: veicolo della comunicazione (es. la voce)
Individuate le condizioni necessarie perché avvenga una
comunicazione tra soggetti umani, da ciò deriva la necessità
da parte degli stessi di assumere determinate funzioni presupposte dalle
condizioni stesse.
E cioè: l'emittente che deve inviare un messaggio al ricevente,
presupposto che tale messaggio debba essere espresso secondo un codice
condiviso, sceglie il codice e codifica il messaggio secondo il codice
prescelto, e quindi svolge la funzione di codificatore; il ricevente al
fine di interpretare correttamente il messaggio scambiato con l'emittente
secondo il codice prescelto, deve porsi nella condizione di decodificatore.
Questi schemi comunicativi individuati dagli studiosi di cui sopra
e validi per "qualunque" comunicazione interpersonale, devono essere calati
nella realtà di una comunicazione sì interpersonale, ma che
deve anche essere formativa, didattica e educativa, si devono cioè
tradurre gli elementi fin qui individuati in termini educativi.
Certamente l'elemento più complesso da analizzare in questi
termini è il ricevente, nel quale bisogna verificare l'acquisizione
del messaggio trasmesso.
Jakobson individua due fattori che possono interferire con la
corretta comprensione del messaggio da parte del ricevente, e sono: RUMORE
e RIDONDANZA.
Per rumore si intendono le distorsioni e i disturbi che possono verificarsi
nel mezzo trasmissivo (canale) che rendono meno efficace la comunicazione
determinando possibili problemi di decodifica da parte del ricevente. Il
rumore costituisce un elemento importante della comunicazione poiché
può provocare una deformazione del messaggio in senso quantitativo,
ossia una perdita d'informazione, o in senso qualitativo introducendo elementi
non chiari nel messaggio e quindi adulterandolo.
Quantitativo
RUMORE (DISTURBO, DISTORSIONE) (perdita di informazione)
Qualitativo
(fraintendimento)
Per chiarire il concetto di Ridondanza riportiamo la seguente definizione:
misura della ripetizione di informazioni in un messaggio attraverso
più significanti. In condizioni ottimali di comunicazione la parte
ridondante del messaggio può essere eliminata senza perdita di informazione
[B. Vertecchi, op.cit., pag.218]
Vale a dire la ripetizione di uno stesso concetto anche con parole
diverse, e più precisamente il numero di messaggi omologhi inseriti
in un discorso. La ridondanza dal punto di vista della comunicazione interpersonale
può essere intesa in senso negativo come appesantimento di discorsi
poveri di contenuti reali (RETORICA), dal punto di vista invece della didattica
può essere generalmente intesa come positiva laddove ci sia un insegnante
in grado di ben impiegarla.
SCHEMA DI TATIANA SLAMA CAZACU
EMITTENTE canale contesto codice MESSAGGIO RICEVENTE
FEED-BACK DI RITORNO EMITTENTE
Nello schema sopra esposto, detto "Schema di Slama Cazacu", sono presenti
tutti gli elementi fondamentali della comunicazione interpersonale analizzati
anche dallo stesso Jakobson, come analizzato prima. Infatti ritroviamo
l'emittente, il messaggio, il ricevente.
Sono altresì sottolineate le funzioni svolte dai soggetti
della comunicazione, e cioè la funzione di codifica svolta dall'emittente,
la funzione di decodifica svolta dal ricevente; troviamo anche, come condizione
della comunicazione, un codice, scelto dall'emittente per la codifica del
messaggio da trasmettere, che deve essere conosciuto dal ricevente e quindi
condiviso e un contesto inteso come ambiente in cui la comunicazione ha
luogo.
Un nuovo elemento è posto in evidenza:
il FEED BACK
Feed-back: Applicazione nel campo della didattica di un principio originariamente
elaborato nell'ambito della cibernetica. Esso consiste nel far sì
che le informazioni relative ad un processo in corso ne consentano l'immediata
ristrutturazione ai fini del raggiungimento degli obiettivi del processo
stesso.
[B. Vertecchi, op.cit., pag.215].
Nell'ambito didattico per FEED BACK si intende una comunicazione retroattiva,
con l'accento su attiva. Vale a dire che in una comunicazione si ha "feed
back" quando il ricevente si rende soggetto attivo della comunicazione
stessa, non ascolta più passivamente ma ritorna la comunicazione
all'emittente, quindi il feed back è una comunicazione che agisce
sull'emittente, ritorna cioè sul soggetto originario della comunicazione.
Lo schema di Tatiana Slama Cazacu (1973) ci mette in condizione di
trasferire le componenti della comunicazione interpersonale in ambito formativo.
FORMATORE
EMITTENTE ISTRUTTORE Colui che trasmette la competenza
INSEGNANTE
DOCENTE
EDUCATORE
MESSAGGIO UNITA' DIDATTICHE
COMPETENZA
ABILITA'
VALORI
RICEVENTE DISCENTE Il soggetto che attiva un processo di apprendimento
ALLIEVO
DISCENTE
ALUNNO
· CANALE mezzo, ausili didattici, voce.
Canale: mezzo attraverso il quale è trasmessa l'informazione
(per esempio aria, carta, elettricità). E' utilizzato per indicare
anche i canali sensoriali attraverso i quali l'informazione proveniente
dall'ambiente esterno raggiunge il nostro cervello (per esempio la vista
e l'udito) (..)
[B. Vertecchi, op.cit., pag.43].
· CODICE: Linguaggio o meglio livello linguistico. La scelta del codice, nel caso della comunicazione didattica, è di fondamentale importanza. L'insegnante ha la possibilità / necessità di modulare il proprio livello linguistico tra due estremi. Da un lato il livello massimo, cioè il linguaggio tecnico della materia, rivolto a chi è già iniziato agli argomenti in corso di trattazione, dall'altro un livello minimo per chi non è ancora addentro. Tra questi due estremi il docente sceglie il livello linguistico da adottare più idoneo a trasmettere la materia in funzione sempre degli allievi che ha davanti. Il codice è quindi prima di ogni cosa il linguaggio condiviso sia dal docente che dall'allievo, ma è anche il livello linguistico che l'insegnante sceglie di adottare, trovandosi l'allievo ad un livello linguistico certamente inferiore al suo, al fine di portare l'allievo stesso progressivamente alla conquista di una competenza linguistica tecnica adeguata agli obiettivi che ci si è prefissi.
Codice: (..) Nella semiologia, e di conseguenza in informatica, codice
è un sistema di norme che regola la costruzione e l'interpretazione
dei messaggi. Quest'ultima accezione interessa in modo particolare i processi
di apprendimento, molti dei quali consistono proprio nello sviluppo delle
abilità relative all'uso dei diversi codici. (..)
Ogni atto comunicativo consiste in codificazioni di messaggi (formulazioni
e registrazione di informazioni secondo determinati codici), trasmissioni
di segnali, e decodificazioni di messaggi (interpretazioni di informazioni
codificate).
[B. Vertecchi, op.cit., pag.51]
· CONTESTO: l'ambiente scolastico, l'ambiente sociale,
l'ambiente familiare, l'ambiente militare.
Contesto: Dal punto di vista linguistico si tratta della cornice all'interno
della quale si colloca il messaggio che l'emittente indirizza al destinatario.
La conoscenza del contesto riduce l'ambiguità del messaggio agevolando
i processi di comprensione del destinatario.
[B. Vertecchi, op.cit., pag.63]
· DECODIFICA processo di apprendimento
· FEED BACK verifica, controllo, valutazione, comunicazione retroattiva.
"Senza feed back non si ha la verifica della modifica del comportamento.
Il feed back è l'anima della comunicazione didattica"
[F. Dubla, op.cit., pag. 9]
E' chiaro che il concetto di retroazione o di feed back mette in difficoltà tutte le didattiche rigide, non flessibili, tutte le didattiche precostituite, che non prevedono cioè verifiche, ma rimangono immutabili e sempre uguali a se stesse nella convinzione di una propria infallibilità.
Chiariamo meglio il concetto di retroazione, come lo definisce il Vertecchi,
o feed back, come l'azione che il soggetto della comunicazione didattica
adotta in funzione delle risposte ricevute, in una semplificazione del
suo significato più ampio.
Possiamo classificare, in didattica, il concetto di feed back rispondendo
alla seguente domanda:
come agisce l'azione del formatore, in base a quali risultati?
In risposta a questa domanda possiamo definire due tipi di feed back:
feed back positivo
feed back negativo
Il feed back si definisce positivo quando l'allievo risponde positivamente
nella stessa direzione degli stimoli che ha ricevuto.
Il feed back si definisce negativo quando l'allievo non risponde (caso
peggiore possibile, in quanto denuncia la totale passività dell'allievo)
o risponde in una direzione diversa dagli stimoli ricevuti.
All'interno dei due tipi di feed back troviamo un'ulteriore possibile
classificazione:
feed back cognitivo
feed back emotivo
Per feed back cognitivo si intende il feed back che riguarda i contenuti,
risponde cioè alla domanda:
l'allievo ha appreso correttamente i contenuti?
Se la risposta è sì, siamo nel caso di un feed back cognitivo
positivo, altrimenti avremo ottenuto un feed back cognitivo negativo.
Per feed back emotivo si intende il feed back che riguarda la sfera
dei sentimenti, cioè dei fattori psicologici. Anche questo tipo
di feed back ha la sua importanza che è pari a quella dei fattori
cognitivi, questo perché i fattori psicologici vengono anch'essi
coinvolti nell'apprendimento.
Feed back emotivo sta quindi a significare la sintonia tra docente
e allievo, un clima psicologico positivo tra chi invia le informazioni
e chi deve attivare un processo di apprendimento.
Generalmente possiamo affermare che nei bambini il feed back emotivo
riveste un'importanza superiore al feed back cognitivo e viceversa negli
adulti; certo, questa non è una regola matematica, ma tutto dipende
da diversi fattori, ambientali ecc..; resta comunque il fatto che è
sempre compito del docente quello di creare un clima psicologico positivo
in modo che vi sia sintonia psicologica tra lui e l'allievo, il caso contrario
è la distonia, il conflitto psicologico.
Il feed back va programmato e previsto dal docente, questo è
un principio didattico ineccepibile.
Infatti didatticamente parlando non si può certo attendere
che il feed back si produca da solo, magari con una generica partecipazione
dell'allievo, ma bisogna invece prevedere una retroazione in base ai risultati
fin qui ottenuti, una correzione del metodo nel caso di feed back negativo.
Il feed back positivo va dunque preparato, e in questo ci viene
incontro l'analisi di George Herbert MEAD (1934).
Egli individua due possibili attività:
. ROLE TAKING inteso come assunzione di un ruolo. Nel linguaggio
comune diciamo "mettersi nei panni dell'altro".
. ROLE PLAYING inteso come l'assunzione di un ruolo per esercitazione
(gioco di ruolo).
Il "role taking" , che è indubbiamente più utile per la
preparazione del feed back , è un rovesciamento di prospettiva,
mettersi nei panni dell'altro, cercare di assumere un punto di vista diverso
dal proprio. Per l'istruttore è cercare di mettersi nei panni dell'allievo,
assumere cioè il punto di vista dell'allievo.
Il docente dove porsi domande del tipo:
"come reagirà l'allievo agli argomenti che gli proporrò?".
Deve cioè studiare tutte le variabili dal punto di vista
dell'allievo, prima della sua presenza fisica, prepara così il feed
back positivo sia emotivo che cognitivo.
Questo rovesciamento di ruolo, questo "role taking", va inteso come
prendere il posto dell'altro cui è diretta la comunicazione, comunicazione
che come sappiamo è intesa alla trasmissione di competenza, abilità
e valori; dunque è fondamentale per preparare un feed back positivo.
· George Herbert Mead ((South Hadley, 1863-Chicago 1931), filosofo
e psicologo americano, tra le sue opere principali annovera Mente, io e
società, raccolta postuma (del 1934) di manoscritti e appunti non
sempre di semplice interpretazione. Secondo Mead l'esistenza personale
è la continua dialettica del "me", espressione del controllo sociale,
e dell'"io", risposta spontanea e selettiva del soggetto; inscindibile
dal contesto sociale, esso lo modifica attivamente.
DEFINIZIONI E SIGNIFICATI DI INTELLIGENZA E APPRENDIMENTO
Ambito specifico: metodologia della comunicazione didattica.
Rapporti tra intelligenza e apprendimento
Intelligenza: significato nella metodologia didattica.
In ambito didattico non è possibile affermare che un allievo
è "poco intelligente", e a chiunque abbia funzioni didattiche non
è mai permesso fare tale affermazione.
Tutte le opinioni possono essere lecite, tranne la precedente.
Questo si spiega dalla seguente definizione: l'intelligenza è
una capacità potenziale, cioè una possibilità che
noi tutti abbiamo che permette lo sviluppo apprenditivo.
La differenza tra apprendimento e non apprendimento è
che apprendimento è ciò che si acquisisce durante la propria
esistenza, ciò che non è apprendimento vuol dire che è
già interno al corredo genetico del- l'individuo.
Intelligenza: termine estremamente fluido e controverso, di per
sé irriducibile entro i confini di una definizione soddisfacente,
che accenna, in linea generale, ad una particolare capacità di adattamento
mentale a situazioni nuove. - (..) -
[B. Vertecchi, op.cit., pag.137].
Dunque intelligenza è sinonimo di adattabilità, di adattamento,
nel senso di rispondere a problemi nuovi.
L'etimologia della parola intelligenza, dal latino inter lego "lego
insieme", suggerisce altri significati, e cioè s'intende per intelligenza
la capacità di legare insieme, collegare, concetti- nozioni- esperienze
in mappe conoscitive, capaci di aumentare la conoscenza.
Ma ancora intelligenza vuol dire la capacità di penetrare in
profondità, cercare di "vedere dentro le cose" per ricavarne i significati
essenziali. Se l'intelligenza non fosse anche questo certo non ci sarebbe
stata l'evoluzione scientifica che invece c'è stata.
Nella didattica l'intelligenza non si misura in astratto, ma in concreto.
Cioè in didattica si misura l'intelligenza concreta, i risultati
ottenuti, quindi l'apprendimento. Dunque l'intelligenza concreta è
uguale, è sinonimo di apprendimento. In questo senso l'intelligenza
non può essere considerata un dono innato, ma una conquista graduale,
progressiva e faticosa che presuppone, infatti:
- Sforzo
- Impegno
- ricerca
- scoperta.
La definizione che racchiude tutte le precedenti considerazioni è la seguente: per intelligenza s'intende quella capacità mentale, l'insieme di tutte le facoltà cognitive, che permette l'apprendimento in termini di competenze, abilità operative e valori.
Apprendimento: significato nella metodologia didattica.
Etimologicamente per apprendimento s'intende:
· Prendere qualcosa su di sé, acquisire
· Aumentare progressivamente in termini di qualità e
di quantità le proprie competenze, abilità operative e valori
· Processo che permette di decodificare la realtà, produrre
esperienza, operare un bilancio critico della stessa esperienza.
Apprendimento: Processo attraverso il quale l'allievo, in modo più
o meno duraturo, acquisisce nuovi comportamenti o modifica comportamenti
che già possiede, attraverso l'interazione con l'ambiente e con
chi dispone di competenze superiori alle sue.
[B. Vertecchi, op.cit., pag.17].
L'apprendimento è costituito da un certo numero di elementi,
tra i quali i più importanti sono:
· Stimoli e rinforzi
· Intuito
· Intuizione intellettuale
· Capacità di costruire strutture conoscitive
· Esperienza
Gli stimoli sono tutto ciò che ognuno trova fuori di sé,
ad esempio stimoli ambientali, stimoli sociali, stimoli culturali.
Il rinforzo è conseguente allo stimolo, se vi è risposta
positiva essa cementa l'apprendimento, lo rende forte e permanente.
Con un esempio possiamo definire la spinta a mangiare la cioccolata
come stimolo proveniente dall'ambiente esterno. Soddisfatto lo stimolo,
se l'esperienza sarà risultata soddisfacente per i nostri gusti,
questa soddisfazione sarà il rinforzo dell'esperienza e ci spingerà
a ripeterla ogni volta possibile, rendendo permanente il desiderio della
cioccolata.
Stimolo/Risposta: indica in generale il processo dinamico di aggiustamento
- adattamento di un organismo all'ambiente. Tale meccanismo costituisce
secondo le teorie comportamentiste lo schema elementare di ogni processo
di condizionamento / apprendimento.
[B. Vertecchi, op.cit., pag.238].
L'apprendimento si avvale dell'intuito, prerogativa tipica dell'essere umano, che permette di anticipare soluzioni ai problemi, di capire immediatamente, di "intuire" appunto. Quindi l'intuito fa parte dell'intelligenza, ma anche l'intuito va esercitato perché funzioni sempre meglio e di più.
Intuizione: è una modalità conoscitiva caratterizzata
da immediatezza e subitaneità, per la quale il soggetto giunge a
comprendere nessi relazionali o strutturali di una situazione più
o meno complessa in virtù di un'idea o di una "illuminazione" improvvisa.
Non vincolata, in quanto tale, alle forme della conoscenza discorsiva o
concettuale, alla intuizione è stato attribuito, in alcune moderne
teorie dell'apprendimento, un ruolo fondamentale in vista della definizione
di strategie didattiche tese a privilegiare, di contro al nozionismo e
alla memorizzazione, le capacità creative, produttive ed inventive
dell'allievo.
[B. Vertecchi, op.cit., pag.142].
Poi l'apprendimento ha bisogno di intuizione intellettuale, che a differenza
dell'intuito / intuizione, patrimonio di tutti, si conquista e si matura
progressivamente in base alla propria competenza e in base alla propria
capacità.
Definiamo intuizione intellettuale la capacità di scoprire nuove
cose in funzione non di un intuito generico, ma di una comprensione approfondita
degli argomenti appresi o in corso di apprendimento.
L'apprendimento è anche la capacità di costruire delle
strutture conoscitive.
Ogni essere umano ha il suo profilo cognitivo, ha la sua personalità
cognitiva, in quanto ha la capacità di costruire al suo interno
delle vere e proprie strutture conoscitive, delle mappe concettuali, che
consentono di cementare l'apprendimento.
Senza questa capacità non ci sarebbe la possibilità
di apprendimento in quanto non si riuscirebbe a ricostruire la conoscenza
al momento del bisogno.
Quindi queste mappe che si formano durante l'età evolutiva dell'individuo
costituiscono il profilo cognitivo dell'adulto.
E infine l'esperienza che definiamo come l'abilità operativa
che messa in pratica costituisce la concretizzazione di ogni conoscenza
e di ogni competenza. Probabilmente l'esperienza è l'elemento più
importante dell'apprendimento. L'esperienza fissa l'apprendimento, quindi
fissa il comportamento.
Esperienza: un'esperienza [particolare] è un fatto, un avvenimento
che si è "vissuto", a cui si è partecipato più o meno
direttamente, attraverso i propri sensi e che si è eventualmente
elaborato e strutturato con la propria "riflessione". Il termine esperienza
viene a volte usato anche in senso più "tecnico", come sinonimo
di esperimento ["assistere ad una esperienza fisica"]. In terzo luogo la
parola esperienza è utilizzata in senso più lato, per indicare
il complesso dei fatti e dei fenomeni con cui un individuo ha avuto a che
fare nel corso della sua intera vita, con particolare attenzione alle sue
conoscenze "pratiche". In campo didattico si tratta di un concetto così
generico da diventare scarsamente produttivo, in quanto tutto l'apprendimento
si appoggia, in un modo o nell'altro, sull'esperienza dell'allievo. Questo
termine può diventare più utile se accompagnato da opportune
specificazioni ("esperienza sensoriale [diretta]", "esperienza mediata
da strumenti", "esperienza mediata dall'insegnante", ecc.). .
[B. Vertecchi, op.cit., pag. 99]
L'apprendimento come sopra analizzato e definito, è da ritenersi
senza ombra di dubbio il cuore della didattica, e questo perché
nessuno potrebbe mai esercitare il ruolo di insegnante, di docente o anche
solo di formatore senza porsi il seguente quesito:
"come l'allievo, a cui intendo trasferire conoscenza, attiverà
il processo di apprendimento?".
Come risposta potremo dire che: "ognuno apprende a modo suo!".
Ma il compito che la didattica ha è di studiare invece le modalità
generali dell'apprendimento e non certo quelle specifiche.
Quindi sono le modalità generali dell'apprendimento che
vanno analizzate e dentro queste poi ogni singolo individuo inserisce le
proprie specifiche risposte agli stimoli che gli provengono dall'esterno.
Infatti due o più persone inserite nello stesso ambiente possono
rispondere agli stessi stimoli in modo uguale, con buona probabilità,
ma una o più potrebbero rispondere in modo differente; la didattica
non è matematica, e ogni singolo individuo ha le sue specificità
che producono risposte personali e a volte impreviste e imprevedibili.
Ma tutto ciò non modifica il fatto che stimoli positivi produrranno
risposte positive nella maggior parte dei casi come pure che stimoli negativi
produrranno risposte negative nella maggior parte dei casi.
Poniamoci la seguente domanda:
"qual è la differenza tra intuito e intuizione intellettuale?"
La risposta più esatta possibile è la seguente:
"Intuito è una facoltà generica generale dell'individuo,
intuizione intellettuale è la scoperta, che proviene dalla ricerca".
Per scoperta intendiamo certo non solo la scoperta scientifica, ma
anche l'anticipazione, nell'attività professionale di ognuno o nello
studio/approfondimento di interessi particolari, di soluzioni o di nozioni
sulla base del già noto.
Tornando all'apprendimento sottolineiamo come la migliore definizione
che ne possiamo dare è: "la capacità di costruire mappe conoscitive
proprie, personali e interne a ciascuno".
Alimentazione dell'apprendimento è l'esperienza.
LE DUE PRINCIPALI SCUOLE DELLA PSICOLOGIA
GENERALE DEL '900
La psicologia è nata nell''800 con il positivismo, in un clima
generale di fiducia forse eccessiva nella Scienza e nel progresso scientifico.
Ma è nel XX secolo che si sviluppa la vera potenza di questa disciplina.
La Didattica è figlia sia della Pedagogia ma anche della Psicologia,
poiché l'insegnante "gestisce" uomini e deve dunque gestirne anche
i nessi psicologici.
Parlando poi di apprendimento, cuore del programma di studio
della metodologia della comunicazione didattica, educativa e formativa,
come processo che rende o no efficace l'insegnamento, si devono necessariamente
citare studi di Psicologia, e quindi anche l'evoluzione di queste teorie.
IL BEHAVIORISMO
La prima Scuola cui è debitrice la Didattica è il BEHAVIORISMO,
dall'inglese behavior = comportamento. Queste teorie si sono affermate
all'inizio del '900 e il caposcuola di questo indirizzo della psicologia
generale è stato J.B.Watson (1878-1958).
L'esponente più famoso però è stato B.F.
Skinner (1904-1990) che associa il suo nome ad una nuova corrente detta
neo-behaviorismo o neo-comportamentismo.
Qual è la novità scientifica della Psicologia del
Comportamento, o Psicologia degli stimoli e dei rinforzi come può
essere chiamata la Scuola di Psicologia behaviorista?
La novità consiste nell'aver spostato finalmente l'obiettivo
dello studio da teorie tanto astratte quanto inutili sul piano dell'operatività
pratica, allo studio del comportamento, quindi l'oggetto di analisi non
è più la coscienza ma il comportamento.
Tant'è che Freud riteneva i behavioristi non-psicologi.
Il comportamento dunque si può misurare e valutare, ricade pertanto
sotto l'occhio dell'osservazione pratica e della verifica sperimentale.
La definizione con cui i comportamentisti definiscono l'apprendimento è
che per apprendimento si intende una modifica del comportamento.
Da ciò discende che la Didattica è figlia diretta
di questa teoria.
Se apprendimento è una modifica del comportamento, potremo rappresentare
l'acquisizione da parte di un qualsiasi individuo di una certa quantità
n di nozioni nuove, obiettivo di un insegnamento, con la seguente formula:
se Si X=1
Sf X+n
dove Si è lo stato iniziale, i prerequisiti, di competenza dell'individuo
nel merito degli argomenti nuovi che si appresta ad apprendere. Convenzionalmente
è rappresentato con X e posto al valore 1, Sf è lo
stato finale che dopo l'apprendimento raggiunge il valore di X uguale
a 1+n, dove n è la quantità di nuove conoscenze apprese
e che prima non aveva.
Questo processo rappresenta una modifica Sf allo stato di competenza
di un individuo, una modifica al suo comportamento, quindi un apprendimento.
Ricordiamo che per i behavioristi apprendimento è una modifica del
comportamento, modifica sempre valutabile in termini qualitativi
e quantitativi.
Questa definizione di apprendimento consente lo sviluppo di discipline
come la Didattica, in quanto basata non su di una teorizzazione astratta,
ma su una verifica concreta dei risultati che si ottengono in termini di
modifica comportamentale.
Watson introduce questa teoria nel 1913, basandosi anche sugli
studi del fisiologo russo Pavlov sui riflessi condizionati.
PAVLOV E I RIFLESSI CONDIZIONATI
Lo scienziato russo, premio Nobel per la medicina nel 1904, eseguì
un esperimento atto a dimostrare la presenza di riflessi definiti condizionati,
avvalendosi per questo di un cane nel quale era indotta la salivazione
in reazione allo squillo di un campanello, dopo che per un certo numero
di volte a quello squillo era stata associata l'apparizione di cibo, una
bistecca.
R = riflesso incondizionato
Rc = riflesso condizionato
Watson mette in evidenza i risvolti psicologici della scoperta di Pavlov,
evidenziando come anche nell'uomo si possa condizionare l'associazione
di determinate risposte a precisi stimoli.
"Ivan P. Pavlov (1839-1936) iniziò le ricerche sulla riflessologia.
Pavlov era un fisiologo che studiava sperimentalmente la funzione
delle ghiandole gastriche. Le sue ricerche subirono una svolta quando rilevò
che i cani secernevano saliva non solo quando era presentato loro del cibo
ma anche quando era emesso un segnale che preannunciava l'arrivo del cibo.
Pavlov definì condizionata la risposta (in questo caso la salivazione)
ad uno stimolo neutro (il segnale) associato allo stimolo originale (il
cibo). (..) Pavlov definì l'impulso primario, ad esempio la fame,
stimolo incondizionato (S) e la salivazione riflesso incondizionato
(R) ossia innato come la fame; definì invece stimolo condizionato
la carne.
Se lo stimolo condizionato è preceduto da uno stimolo neutro
(ad esempio una luce s1), il cane si mette a salivare come in presenza
della carne: si forma ciò che è stato chiamato riflesso condizionato
(r).
[L.Trisciuzzi: Manuale di Psicopedagogia, Giunti, 1991, pag. 333]
Dall' esperimento di Pavlov trae le premesse Watson per lo studio psicologico,
trasporta l'esperimento in campo psicologico, cambiando l'oggetto stesso
della psicologia che, dalla psiche, diventa il comportamento in quanto
frutto di stimoli incondizionati e condizionati e di riflessi incondizionati
e condizionati.
STIMOLI E RISPOSTE
Watson, che è solo l'iniziatore della teoria behaviorista, afferma
che l'apprendimento nell'uomo può essere condizionato in maniera
operativa, e che il comportamento umano è condizionato in
maniera operativa, quindi l'apprendimento è la modifica del
comportamento, ciò che Vertecchi ha definito l'adattamento.
Il Behaviorismo ha il merito storico di aver tagliato i ponti con le
precedenti teorie sull'apprendimento, teorie innatiste, genetiste, razziste
ecc.., avendo messo in giusto rilievo l'importanza degli stimoli esterni.
Ma al di là di questo, appare evidente la sua limitazione, in
quanto non affronta il problema alla radice, non indaga cioè sulle
cause che muovono i comportamenti.
E pur tuttavia grazie a queste discipline ha occasione di sviluppo
la didattica, tant'è che la didattica modernamente affronta
proprio il problema di portare un allievo con un prerequisito uguale ad
1, ad un livello di conoscenza uguale ad 1+n, n = nuove competenze, obiettivo
didattico prefissato.
La psicologia stimolo-risposta consente lo sviluppo della programmazione,
programmare gli stimoli per prevedere un apprendimento.
Skinner, successore di Watson nelle teorie comportamentiste, supera
in importanza il caposcuola in quanto accentra l'analisi non tanto sugli
stimoli e non solo su questi, ma sui rinforzi.
Per rinforzo abbiamo inteso il cemento dell'apprendimento, e l'esperienza
è il più potente dei rinforzi possibili perché rende
fisso un certo tipo di comportamento.
Il rinforzo positivo fissa in modo definitivo l'apprendimento, ed è
il motore dell'apprendimento anche negli animali.
Abbiamo due tipi di rinforzo:
· Rinforzo positivo
· Rinforzo negativo
Il rinforzo positivo aumenta l'apprendimento in quanto il successo,
la gratificazione in una certa azione determina una esperienza positiva
che cementa il comportamento.
Il rinforzo negativo è la eliminazione di un comportamento indesiderato.
In questo caso, l'apprendimento non aumenta ma è solo inibito
il comportamento, l'azione oggetto di insuccesso.
Non va confusa la punizione con il rinforzo negativo: per Skinner la
punizione, che ha scarsi effetti negli animali, non ha quasi nessuna utilità
nell'essere umano, in quanto un metodo educativo basato sulle punizioni
produce quasi certamente una personalità disturbata.
"In realtà, direbbe Skinner, la punizione è una violenza
gratuita poiché il comportamento punito riappare sempre. Se vogliamo
eliminarlo (concetto di estinzione) è necessario impedire che esso
venga rinforzato e contemporaneamente è necessario invece rinforzare
il comportamento antagonista. La punizione sollecita soltanto azioni collaterali
al comportamento quali frustrazioni, aggressività, stato d'ansia,
incertezza, ecc.."
[Ivi, pag.338]
GESTALTHEORIE
La seconda scuola psicologica cui è particolarmente debitrice
la Didattica, è la scuola europea o meglio mitteleuropea della Gestaltheorie
(dal tedesco gestalt = forma) detta anche psicologia della forma.
Così come nel behaviorismo la chiave di comprensione è
nel "behavior" cioè nel comportamento, nella gestaltheorie il centro
dell'analisi diventa la percezione, l'analisi della percezione.
Perché la percezione?
Perché la percezione è il primo atto che ci mette in
comunicazione con l'esterno, è appunto l'atto immediato,
il contatto come lo chiamerebbe Jakobson nella comunicazione, tutto ciò
che i behavioristi hanno chiamato stimolo esterno.
All'avvento del nazismo (1933) tutti o quasi i rappresentanti di questa
scuola di pensiero, essendo di origine ebrea, dovettero emigrare, rifugiandosi
per la maggior parte negli Stati Uniti, dove incontrarono i rappresentanti
della scuola precedentemente citata, i behavioristi, producendo con gli
stessi uno scontro dialettico. Le due Scuole prima si contrapposero ma
con l'andar del tempo finirono per integrarsi in quanto le suggestioni
dell'una entrarono nell'altra e viceversa.
Ad ogni modo la Didattica si avvale sia dell'una che dell'altra.
Tornando alle teorie della corrente di pensiero che prende il nome
dal termine tedesco gestalt, termine difficilmente traducibile in altra
lingua, l'abbiamo definita come la psicologia della forma, prendendo per
buona la traduzione di gestalt in forma.
In effetti gestalt è questo ma non solo, in quanto gestalt
è sì la forma ma è anche la percezione che di quella
forma noi avvertiamo immediatamente.
Per intendere meglio questo concetto pensiamo all'esperimento che fece
Max Wertheimer (Praga, 1880 - 1943), esponente autorevole della scuola
in questione, quando fece notare che se appendiamo un certo numero di lampade
di qualsivoglia colore ad un filo, queste da vicino ci appariranno distinte
e separate tra loro, ma ad una certa distanza appariranno come un unico
filo di luce. Cioè la percezione è di un'unica striscia di
luce.
Ma l'esempio forse più calzante è la percezione
che abbiamo durante l'ascolto di una melodia, che è quella di un
tutto unico, di un tutto armonico, e non riusciamo certo a percepire il
suono del singolo strumento. Una totalità che non è certo
la mera somma delle singole parti ma un tutto a sé stante. Tant'è
che ogni volta che un'orchestra si cimenta nella esecuzione della melodia
in questione, il risultato sarà diverso volta per volta senza riuscire
mai ad ottenere due riproduzioni uguali tra loro.
La totalità è quindi qualcosa di diverso dalla somma
delle singole parti, è appunto una "gestalt", cioè una percezione
immediata di questa totalità strutturata.
Se osserviamo un panorama dall'alto avremo immediatamente la percezione
di una totalità, e solo successivamente ci soffermeremo ad analizzare
le singole componenti di questa totalità.
L'analisi viene dopo la sintesi, la sintesi, che è la gestalt
in quanto percezione immediata di una totalità precede l'analisi
delle singole parti.
Queste teorie si contrapposero immediatamente alle teorie comportamentiste
e all'associazionismo comportamentista, in quanto per i gestaltisti quando
percepiamo un oggetto non abbiamo a che fare con un insieme di sensazioni
frammentarie che sono analizzate e poi riunite in una sintesi, ma
abbiamo sempre di fronte una unità strutturale; per i behavioristi
è vero l'esatto contrario, in virtù di una serie di
stimoli e risposte, quindi prima un'analisi e poi una sintesi.
Entrambe le Scuole hanno avuto influenza sulla Didattica, ma in particolare
la Gestaltheorie ha dei riflessi psicologici sull'apprendimento. Vale
a dire che secondo le teorie dei gestaltisti nel processo di apprendimento
innanzitutto abbiamo una visione d'insieme, una percezione immediata di
qualcosa, dopodiché, se scatta qualcosa in noi, passiamo all'analisi
delle singole parti che compongono l'unità strutturale.
Un altro esempio viene da Wolfgang Kholer (1887 - 1967), che sperimentò
con delle scimmie antropomorfe la capacità di quest'ultime di pervenire
alla soluzione di un semplice problema, quello di arrivare a prendere del
cibo (banane) appeso al soffitto di una stanza vuota nella quale erano
state poste delle casse rovesciate ed una canna di bambù.
La scimmia sottoposta all'esperimento dopo un certo periodo di esitazione
ha il cosiddetto "lampo di genio", definito da Kholer Insight, e perviene
alla soluzione raggiungendo il cibo dopo essere salita sulla cassa e aver
fatto cadere le banane aiutandosi con la canna di bambù.
Da questo si ricava che non sono sufficienti gli stimoli per pervenire
all'apprendimento, alla soluzione di problemi anche semplici, ma c'è
bisogno anche di ciò che abbiamo definito "intuito", o "intuizione
intellettuale". Questa capacità di trovare soluzioni
che già ha una scimmia antropomorfa, è la premessa dell'intelligenza
umana, che ha quel qualcosa, l'insight, appunto l'intuito, che la
fa andare oltre la percezione immediata. Questo nell'ambito dello
studio sull'apprendimento ha la stessa importanza del behaviorismo, in
quanto significa dare il giusto peso ad altri fattori come la creatività,
la scoperta, l'intuizione intellettuale, che ci mettono in
condizione costantemente di risolvere i problemi che abbiamo
di fronte.
Questa è l'intelligenza, che è la capacità mentale
di risolvere problemi nuovi.
Sintetizzando: il termine gestalt con una singola espressione la definiremo
come la percezione immediata della totalità di una forma.
I riflessi didattici di questa teoria sono stati notevoli con
risvolti molteplici e certo ancora attuali [come, ad esempio, il "metodo
globale" del pedagogista belga Ovide Decroly (1871-1932)]
"Muovendo da un'esperienza analoga a quella dell'italiana Montessori,
il belga Decroly, teorico della funzione e del metodo di 'globalizzazione',
iniziò con l'interessarsi dei soggetti anormali psichici, tradizionalmente
trascurati sul piano educativo. Diversamente dalla Montessori egli cercò
di approfondire la conoscenza, in sede scientifica, dell'esperienza vissuta
soggettiva. (..) La Montessori divenne un po' il simbolo dei procedimenti
di tipo analitico nel campo dell'apprendimento, primo tra questi quello
relativo alla lettura; il Decroly divenne il padre del metodo globale,
cioè dell'apprendimento del significato di intere frasi e parole,
poi del valore delle singole lettere. Nell'opera La funzione di globalizzazione
e l'insegnamento (del '29), il Decroly illustra la sua teoria del globalismo
(..)"
[G.Straniero: Enciclopedia storica della pedagogia, Teti, pag.67/68]
Una celebre affermazione del Decroly è che la madre viene percepita dal bambino "tutt'intera e non nelle sue singole parti": affermazione significativa dell'importanza della Gestalt anche in campo educativo.
ALTRI QUADRI TEORICI
che hanno contribuito allo sviluppo della didattica e alla MCF
. Psicologia dell'età evolutiva
. Jean Piaget (1896-1980) e l'Istituto di Epistemologia genetica di
Ginevra
. Psicologia dell'apprendimento
. David Ausubel (n.1918) "Educazione e processi cognitivi" (1978)
. Robert Gagnè "Le condizioni dell'apprendimento" (1970)
. Psicologia sociale
. Kurt Lewin (1890-1947) (dinamica dei gruppi)
. Psicologia cognitivista e cognitivismo
. Ulric Neisser: "Cognitive Psychology" (1967)
Miller-Galanter-Pribram: "Plans and the Structure of behavior" (1960)
(UNITA' T.O.T.E.è Test-Operate-Test-Exit)
LA MOTIVAZIONE
Poniamoci la seguente domanda: "come apprende l'allievo?"
dove per allievo intendiamo qualsiasi soggetto che attivi un processo
di apprendimento.
Avendo accennato alle teorie delle due importanti scuole psicologiche
di cui sopra, e cioè il gestaltismo e il behaviorismo, possiamo
cercare di analizzare uno degli elementi centrali dell'apprendimento: la
motivazione.
Il termine motivazione è usato correntemente con un significato
abbastanza corretto; infatti, per esperienza quotidiana noi diciamo che
per avere successo o sperare di avere successo in una determinata
impresa c'è bisogno di una forte motivazione.
Una motivazione forte dà certamente risultati egregi, una motivazione
debole o una demotivazione non produce risultati apprezzabili.
Quindi definiamo motivazione la spinta, la molla che ci spinge
a compiere un'azione. D'altra parte il termine stesso motivazione possiamo
interpretarlo come azione motivata, ciò che spinge l'azione, i motivi
che spingono a compiere questa o quella azione.
MOTIVAZIONE: costituisce una delle ipotetiche variabili che sotto varie
forme - istinti, pulsioni, stimoli, inclinazioni, ecc. - possono determinare,
a livello conscio o inconscio, il comportamento di un individuo. Secondo
J. Bruner, tra le motivazioni primarie connaturate nell'uomo vi sarebbe
anzitutto la "volontà di apprendere".
[B. Vertecchi: op.cit., , pag. 174].
Possiamo ipotizzare una prima classificazione della motivazione, pensando
che ne esistano diversi tipi.
Lo intuiamo già dicendo che ci sono motivazioni deboli e motivazioni
forti.
Il circuito della motivazione è il seguente: c'è
un bisogno, si matura una motivazione in base al bisogno, e c'è
la soddisfazione o meno al bisogno stesso: la motivazione consente
il soddisfacimento del bisogno, l'assenza di motivazione presuppone un'assenza
di bisogno. E' pertanto il bisogno che induce la spinta motivazionale.
Quanti tipi di bisogni abbiamo?
Il primo tipo che individuiamo, sono i bisogni vicini alla rete istintiva
che chiamiamo primari, che non sono derivati dall'apprendimento, ma che
sono già inscritti nel codice genetico: bisogno di mangiare, bisogno
di respirare, ecc.. Definiamo bisogni primari tutti quei bisogni che appartengono
all'istinto, non sono acquisiti mediante apprendimento, e naturalmente
presiedono alle funzioni organiche primarie, per istinto di sopravvivenza
e di perpetuazione della specie.
I bisogni primari daranno vita alle motivazioni primarie. Motivazioni
primarie sono quindi quelle che presiedono alle funzioni organiche rispondendo
a bisogni primari, da ciò deriva la loro grande importanza.
Ma non sono certo le sole motivazioni possibili di un individuo, anzi
la gran parte dei bisogni che lo stesso matura nel corso della sua esistenza
si fanno sempre più complessi e danno vita a motivazioni dette secondarie.
Secondarie nel senso di "secondo tipo" di motivazioni e non come motivazioni
di importanza secondaria o minore. Sono i bisogni non geneticamente
trasmessi ma indotti dall'ambiente, che nascono con l'ambiente circostante,
che generano motivazioni secondarie, cioè acquisite per adattamento
all'ambiente stesso.
§ BISOGNI PRIMARI = MOTIVAZIONI
PRIMARIE
§ BISOGNI SECONDARI = MOTIVAZIONI SECONDARIE
Le motivazioni di tipo secondario possono essere distinte a loro volta in:
§ MOTIVAZIONI SECONDARIE ESTRINSECHE
§ MOTIVAZIONI SECONDARIE INTRINSECHE
Dove per motivazioni secondarie estrinseche, cioè esterne, sono
quelle che l'ambiente ci impone, tutte derivate dall'ambiente, servono
proprio all'individuo per adattarsi all'ambiente sociale, al contesto sociale.
Le motivazioni secondarie intrinseche o interne sono quelle che derivano
dalla scelta del bisogno da soddisfare, sempre dettate dall'ambiente ma
interiorizzate a livello di scelta personale.
Possiamo fare l'esempio dell'individuo che va a lavorare, e soddisfa
così una motivazione secondaria dettata dall'ambiente, ma che nel
lavoro trova anche una propria soddisfazione , una forma di
realizzazione, per aver scelto comunque un lavoro che gratifica, e pertanto
la motivazione diventa secondaria intrinseca. La scelta, il bisogno indotto
selezionato conducono ad una motivazione secondaria intrinseca, interiore.
Tutto ciò ha una importanza didattica straordinaria, in quanto
un soggetto motivato avrà certamente risultati migliori di un soggetto
non motivato o non sufficientemente motivato.
Stabiliamo il seguente principio: se un soggetto soddisfa adeguatamente
le motivazioni primarie, avrà poi più possibilità
di maturare motivazioni secondarie.
Tale principio, anche se a prima vista sembra generalmente accettabile,
data però la complessità della psiche umana, non può
essere imposto come legge matematica e dovremo dire che è attendibilmente
vero ma non universalmente valido.
Questo perché, ad esempio, alcuni soggetti contravvengono
a motivazioni primarie per soddisfare scelte di vita estreme, per soddisfare
forti motivazioni secondarie intrinseche.
La spinta, l'intensità motivazionale può essere più
o meno forte. Sarà più forte quella relativa a motivazioni
intrinseche, rispetto a quelle estrinseche, anche se quelle estrinseche
rivestono l'importanza di consentire l'adattamento dell'individuo nella
struttura sociale circostante.
Altro principio che è possibile enunciare è il seguente:
la motivazione secondaria estrinseca, tutta dettata dall'esterno, non può
rimanere a lungo in questa posizione, in quanto, a lungo termine, o
diventa intrinseca, quindi matura in una convinzione interna, o degrada
diventando demotivazione.
Ad esempio, a livello didattico possiamo pensare al caso in cui si
è costretti per lungo tempo allo studio di taluni argomenti, ebbene
o si matura la convenienza di tali studi e ci si appassiona, o si
scade nella demotivazione.
Anche questo principio per lo stesso motivo di cui sopra diremo che
è attendibilmente vero ma non universalmente valido.
All'opposto della motivazione sta la demotivazione che è un
grosso pericolo dal punto di vista formativo, per l'insegnante. Anche
la demotivazione può essere più o meno forte, ne esistono
diversi livelli, noi la divideremo, a seconda della gravità in:
§ DEMOTIVAZIONE ASSOLUTA
§ DEMOTIVAZIONE RELATIVA
La demotivazione assoluta è più grave della demotivazione
relativa temporanea; un soggetto demotivato in modo assoluto è apatico,
assente, e vi sono ben pochi strumenti per rimotivarlo.
Un soggetto che ha gravi problemi a livello primario non troverà
motivazioni estrinseche per riprendere una attività qualsiasi con
sufficiente intensità né, a maggior ragione, troverà
motivazioni per riattivare quel processo di apprendimento necessario, come
sappiamo, per l'acquisizione di nuove competenze.
Solo con una concertazione di energie, che individuino e rimuovano
la causa che ha determinato tale stato, si può pensare di recuperare
l'individuo allo studio o alla socialità.
Invero la gradazione più frequente è quella relativa,
come nel caso di una motivazione estrinseca che è durata troppo,
ed è allora scaduta nella demotivazione. Ad esempio, lo studente
universitario che, non vedendo sbocchi occupazionali, si demotiva allo
studio.
Anche se temporanea e recuperabile, una demotivazione relativa produce
gli stessi effetti di una assoluta.
Questo stato psicologico si può controllare adoperando
opportunamente le motivazioni intrinseche, ad esempio, reinteressando allo
studio o rimotivando all'attività professionale, cercando di ricreare
il bisogno all'apprendimento o all'attività, perché il bisogno
genererà la motivazione, solo così potremo sperare di recuperare
il soggetto.
Possiamo stabilire un ultimo elemento come commento generale, dicendo
che come difficilmente scindibili sono le motivazioni primarie dalle
motivazioni secondarie, altrettanto difficilmente scindibili sono nella
personalità umana i fattori cognitivi dai fattori cosiddetti non
cognitivi, meglio definiti fattori psicologici perché legati alla
struttura psicologica dell'individuo.
Ad esempio di questo assunto, pensiamo alla memoria come sede del ricordo
(fattore cognitivo): ebbene quando l'individuo si trova in uno stato psicologico
particolare come l'angoscia, allora la memoria può non rispondere
correttamente.
In conclusione si distinguono fattori cognitivi da fattori psicologici
per comodità didattica, nella realtà, ripetiamo, sono inscindibilmente
intrecciati nella personalità dell'individuo.
PER UNA TASSONOMIA DELL'APPRENDIMENTO
Dopo aver analizzato l'apprendimento nei suoi componenti fondamentali,
avendo oltretutto richiamato le teorie di importanti scuole psicologiche
come il behaviorismo e il gestaltismo ed altri specifici quadri teorici,
passiamo ad ipotizzare una gradazione di tali elementi, ricavandone un'ipotesi
di tassonomia dell'apprendimento.
Per tassonomia dell'apprendimento, dal greco taxòs/nomos (classifica
dei nomi), intendiamo una classificazione secondo un ordine interno conosciuto,
un criterio esplicito
TASSONOMIA: classificazione gerarchica stabilita secondo uno o più
criteri, per esempio dal più semplice al più complesso.
[B. Vertecchi, op.cit., pag. 246]
Una possibile tassonomia dell'apprendimento andando dall'elemento più semplice a quello più complesso può essere la seguente:
§ Sensazione: è l'attività degli organi di senso, attività che ci mette in contatto con la realtà esterna, con gli stimoli ambientali. Senza organi di senso non c'è comunicazione con la realtà esterna.
§ Percezione: è un gradino più elevato perché inizia un meccanismo, se pur minimo, di coscienza. Per percezione intendiamo la fissazione della sensazione, dell'immagine, del fatto, dell'oggetto, della realtà sensibile. E' elemento centrale di tutta la teoria gestaltista inteso come ricezione immediata degli elementi da apprendere, che arrivano ai sensi come una totalità strutturata. Non offre una possibilità di indagine della realtà ambientale esterna sufficiente per incontrare la coscienza, quindi è passiva.
L'apprendimento basato solo su questi elementi, dove la coscienza non interviene completamente o quasi, sarà di tipo semplice, immediato
Sensazione Apprendimento
semplice Conoscenza
sensibile
Percezione (semplice
- immediato sensibile)
Un apprendimento, come lo schema sopra ci mostra, basato solo sulla
sensazione e sulla percezione, è di tipo semplice, immediato e definito
sensibile perché dovuto solo all'attività degli organi di
senso. La conoscenza che se ne ricava è anch'essa di tipo semplice
e sensibile, e dunque superficiale.
La maggior parte delle conoscenze che l'individuo acquisisce durante
la sua esistenza è appunto di questo primo tipo, anche se questi
poi si specializza in alcune trasformandole in complesse, di tipo
detto "intellettivo".
Questo tipo di conoscenza, se pur superficiale e immediata, è
comunque di fondamentale importanza, in quanto è quella che fornisce
il materiale su cui successivamente la coscienza lavorerà, operando
una selezione delle esperienze da approfondire. Questa selezione o individuazione
scatta quando c'è una spinta motivazionale idonea poiché,
come abbiamo visto, la motivazione muove l'individuo al soddisfacimento
dei suoi bisogni.
La percezione agisce sui sensi facendo in modo che una percezione
motivata diventi attiva, si trasformi da passiva in attiva grazie alla
motivazione. Ad esempio nell'ascolto della radio, all'arrivo della sigla
del giornale radio, quella che era una percezione passiva, intesa solo
come sottofondo musicale, può diventare attiva se sovviene la spinta
motivazionale all'ascolto delle notizie di interesse.
Il ciclo è:
bisogno di informazione motivazione percezione da passiva ad attiva
In caso di una percezione attiva interviene la coscienza, l'apprendimento diviene di tipo complesso. Gli elementi della trasformazione sono ulteriori tre, sempre dal più semplice al più complesso, sempre nell'ambito di un'ipotesi di tassonomia dell'apprendimento:
§ Analisi: scomporre in elementi costitutivi, individuare tutti gli elementi componenti. Primo gradino di difficoltà nell'apprendimento, dopo la conoscenza sensibile, difficoltà nel senso di impegno. Ciò che è arrivato ai sensi come "gestalt" è scomposto, gli elementi sono analizzati.
L'analisi presuppone una scomposizione, ma dopo tale scomposizione
è necessaria una ricomposizione degli elementi analizzati. E questo
avviene nella successiva fase dell'apprendimento che individuiamo.
§ Sintesi: ricomposizione delle parti analizzate, dopo l'analisi
differenziale degli elementi.
§ Interpretazione: formulazione di un giudizio di valore sul materiale
appreso, possibile solo se è stata prima effettuata una analisi
e una sintesi. Quindi giudizio soggettivo, ma su basi oggettive, su basi
di competenza acquisita in precedenza.
Analisi
Sintesi
Apprendimento complesso
Conoscenza intellettiva
(analitico)
Interpretazione
Questa ipotesi di tassonomia ha la "pretesa" didattica di voler mettere
in evidenza quelli che sono i principali elementi costitutivi dell'apprendimento.
Si potrebbe ulteriormente strutturare, aggiungendo ulteriori elementi possibili,
oppure costruire secondo un ordine interno differente. Pur tuttavia una
proprietà di questa è certamente che ogni gradino è
premessa, è propedeutico al successivo. Ogni conoscenza non può
saltare nessun gradino, pur potendosi fermare su uno qualsiasi.
DAVID AUSUBEL E LA PSICOLOGIA DELL'APPRENDIMENTO
Nell'analisi dell'apprendimento non si può fare a meno di ricordare
le teorie di David Ausubel, studioso americano contemporaneo dei
processi cognitivi.
Ausubel ha certamente il merito di non essere solo un ottimo teorico,
ma di aver anche prodotto suggerimenti pratici utili alla metodologia didattica,
in particolare nell'opera Educazione e processi cognitivi (1978), uno studio
particolarmente elaborato del rapporto tra strategie educative e processi
apprenditivi.
Di tutte le sue teorie vedremo solamente alcuni apporti che lo studioso
fornisce all'analisi dell'apprendimento.
Ausubel definisce due caratteristiche dell'apprendimento:
§ Apprendimento quantitativo
§ Apprendimento qualitativo
Per valutare l'apprendimento di un allievo possiamo prendere come parametro
sia la quantità che la qualità. Dove per quantità
si intende esattamente il numero di nuove conoscenze apportate. Per qualità
invece intendiamo le capacità logiche superiori acquisite, conquistate
progressivamente, che costituiscono le premesse per nuove conoscenze.
Nella didattica la qualità dell'apprendimento è certamente
obiettivo di primaria importanza.
Per Ausubel le modalità dell'apprendimento sono la ricezione
e la scoperta. La ricezione dell'apprendimento avviene per trasmissione
di conoscenza dall'esterno, emittente - messaggio - ricevente,
secondo lo schema di Slama Cazacu. Mentre per scoperta l'apprendimento
avviene dall'interno, come conquista dell'individuo, che scopre autonomamente.
Modalità principali dell'apprendimento:
§ Per ricezione
§ Per scoperta
Tipi dell'apprendimento possono essere:
§ Apprendimento meccanico
§ Apprendimento significativo
Dove apprendimento meccanico sta per apprendimento semplice, sensibile,
di primo livello, superficiale. Apprendimento significativo sta per analitico,
complesso, cioè cogliere l'essenza dei significati, quindi conoscenza
intellettiva. Qualitativamente sicuramente l'apprendimento significativo
ha una rilevanza superiore.
Combinando questi elementi avremo quattro tipi di apprendimento, in
riferimento al parametro della qualità:
§ Apprendimento per ricezione meccanico
§ Apprendimento per scoperta meccanico
§ Apprendimento per ricezione significativo
§ Apprendimento per scoperta significativo
Nel primo tipo la conoscenza è acquisita in modo meccanico per
trasmissione dall'esterno. Nel secondo tipo l'acquisizione avviene
per intuito, anche se l'individuo non arriva a cogliere tutti i nessi di
questa scoperta. Nel terzo tipo l'acquisizione è classicamente di
tipo scolastico, dove grazie alla trasmissione di competenze da parte dell'insegnante
l'allievo riesce a cogliere l'essenza delle nozioni trasmesse. E' un ottimo
tipo di apprendimento e risultato. L'ultimo tipo è certamente quello
qualitativamente più significativo ma quantitativamente più
improbabile.
E' tipico di un soggetto che è padrone della disciplina e riesce
a pervenire a nuove soluzioni.
La novità che pone Ausubel nell'analisi dell'apprendimento è
l'individuazione di diversi gradi qualitativi, da quello più basso,
apprendimento meccanico per ricezione a quello più elevato che è
l'apprendimento significativo per scoperta. Qualitativamente differenziati,
però tutti necessari e con proprie caratteristiche. Infatti l'apprendimento
meccanico è un primo apprendimento: quando, cioè, i soggetti
sviluppano i prerequisiti per un apprendimento complesso. L'apprendimento
meccanico, che è basato particolarmente, anche se non esclusivamente,
sulla memoria, è quell'apprendimento che compone la struttura necessaria
di base per un apprendimento significativo. L'elaborazione complessa ha
poi anche un'azione retroattiva: l'esercizio logico e la frequenza rafforzano
l'apprendimento meccanico alimentando quello significativo. Ecco perché
la classificazione tassonomica per qualità è solo di tipo
orientativo-didattico: in realtà vi è un intreccio dialettico
tra i vari tipi di apprendimento, fermo restando la necessità di
porre come obiettivo strategico dell'insegnamento l'acquisizione di apprendimento
significativo.
Dal punto di vista cognitivo, ogni nuova conoscenza, deve, per risultare
significativa, inserirsi organicamente in quelle già possedute,
eventualmente riorganizzandole e orientandole diversamente. Scrive Ausubel:
"Se dovessi condensare in un solo principio l'intera psicologia dell'educazione
direi che il singolo fattore più importante che influenza l'apprendimento
sono le conoscenze che lo studente già possiede. Accertatele e comportatevi
in conformità nel vostro insegnamento"
[D.P.Ausubel: Educazione e processi cognitivi. Guida psicologica per
gli insegnanti, Franco Angeli, 1978, pag.132]
Ausubel inoltre ci avverte che il soggetto che apprende opera sia una
riduzione che un esemplificazione, seguendo il principio della coerenza
interna. Se infatti un apprendimento è significativo quando si inserisce
nella struttura cognitiva già pre-esistente, ogni nuovo apprendimento
è più facilmente innestabile se si fa leva su ciò
che già si conosce, è cioè coerente con la struttura
cognitiva interna dell'individuo.
Per riduzione, come è ovvio, si intende una riduzione del materiale
appreso, mentre esemplificazione significa apprendere per mezzo di esempi.
Come si può ovviare alla riduzione?
Un buon insegnate deve mettere in conto la riduzione, per cui bisogna
tendere maggiormente alla qualità che alla quantità, ed inoltre
deve saper condurre degli esempi. E' inevitabile in una trasmissione didattica
la perdita di una quota-parte delle informazioni trasmesse, mentre sicuramente
degli esempi calzanti aiuteranno la comprensione della sostanza dei significati.
Comprensione sinonimo di apprendimento. L'esemplificazione è sempre
uno scendere di livello, necessario perché il rischio è che
l'allievo conduca degli esempi per conto proprio con una maggiore probabilità
di fraintendimento. E' sempre preferibile una perdita di una certa quantità
di informazione, piuttosto che il completo fraintendimento dell'argomento.
esemplificare [ò] v. tr. [io esemplìfico, esemplìfichi].
Spiegare, chiarire con esempi (anche assol.): Esemplificare per chiarire
una teoria.
[Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000 - Copyright RCS Libri S.P.A.]
memòria s.f. (lat. memoria). Facoltà di conservare oppure
richiamare alla coscienza le esperienze e le conoscenze del passato
[ivi]
Avendo introdotto il concetto di riduzione, questo richiama le funzioni
della memoria.
Definiamo memoria l'elemento base dell'apprendimento umano, poiché
senza memoria non potrebbe certamente esserci nessun tipo di apprendimento,
anche se esercitando solo la memoria l'apprendimento sarà di qualità
molto bassa escludendo la creatività, pertanto di tipo solo meccanico.
Modalità della memoria
Così come abbiamo una struttura fisica che può essere
potenziata, lo stesso processo avviene per le facoltà mentali. La
memoria si misura con l'applicazione sistematica e con l'esercizio continuo.
La memoria (capacità mnemonica), può aumentare il suo rendimento.
Una volta incamerati dei dati, la memoria può attivare:
- RITENZIONE (FISSAZIONE) fissare i dati permanentemente; ritenere
nella mente il dato esterno immesso nella struttura cognitiva; fissazione
permanente dei dati nella memoria, perché particolarmente significativi;
- OBLIO (AMNESIA), dimenticare i dati - temporanea rimozione dei dati;
il dato immesso non è particolarmente significativo e viene automaticamente
espulso con l'immissione di altri dati;
- RIMOZIONE la memoria apparentemente non ricorda. Il dato viene accantonato
e non viene più a galla (esempio in caso di trauma, per istinto
di sopravvivenza): si può ricordare per sollecitazione esterna o
tramite un sogno,
Ricapitoliamo: la ritenzione sarà una delle finalità
dell'insegnamento, attraverso l'applicazione sistematica, l'oblìo
è un pericolo che si evita rendendo significativo l'elemento da
apprendere, la rimozione è un fattore psicologico che scava nella
coscienza e si situa nell'inconscio.
Elementi importanti sono: l'esercizio continuo e l'applicazione sistematica.
[F. Dubla, Corso sugli elementi fondamentali della Didattica e della
Metodologia della comunicazione formativa, 1999, pag. 14]
memoria:
è una funzione che consente ad un organismo animale di richiamare
esperienze ed abilità precedentemente acquisite, in modo che possano
ripresentarsi e svolgersi nuovamente, accompagnate dalla consapevolezza
più o meno distinta del loro costituire comportamenti già
attuati in passato. Opposta all'oblìo essa rende possibile l'apprendimento
nelle sue molteplici forme. In generale, in un sistema cibernetico, la
memoria è un sottosistema capace di conservare dati (in questo senso
sono memorie un blocco per appunti, una lapide o un pallottoliere). In
particolare in informatica vengono chiamati "dispositivi di memoria" (o
semplicemente memorie) tutti i supporti utilizzati a immagazzinare dati
(memorie elettroniche, dischi magnetici, dischi ottici, ecc.), in modo
tale da consentire al momento opportuno il ritrovamento delle informazioni.
[B. Vertecchi, Dizionario di didattica, cit., pag.167].
JEAN PIAGET E LA PSICOLOGIA DELL'ETA' EVOLUTIVA
L'ultimo, e non certo in ordine di importanza, studioso che citeremo
per concludere il discorso sull'apprendimento è Jean Piaget, studioso
della Psicologia dell'età evolutiva, cioè di quel tipo di
psicologia che si occupa dell'età infantile. Infatti Piaget afferma
che l'età evolutiva, cioè l'età dello sviluppo dell'individuo
va dai 0 ai 25 anni circa e che dopo l'età dei 25 anni la
struttura cognitiva dell'individuo si stabilizza, continua a mutarsi, ma
è meno permeabile ai condizionamenti esterni.
"Piaget si è posto il problema della nascita e dello sviluppo
dell'intelligenza umana; ha ricercato, con un largo apporto di strategie
sperimentali, nell'ambito della costruzione e strutturazione delle capacità
di conoscenza. Egli ha cercato di dimostrare come i diversi tipi di apprendimento
si manifestino nel bambino, a diverse fasi dello sviluppo, attraverso una
successione graduale, all'interno della quale il comportamento adattivo
e meccanico si risolve in comportamento intelligente."
[Genovesi-Righetti, op.cit., pag.145]
La novità apportata dal Piaget nel campo dello studio dell'apprendimento
è quella di aver individuato il fattore evoluzionista, lega cioè
le possibilità di apprendere dell'individuo, le sue strutture conoscitive,
all'età. Da una parte i tipi di apprendimento, dall'altra le tappe
dell'evoluzione dell'individuo che a diverse età mette in atto diverse
forme, diverse possibilità di apprendere.
Di tutta la sua complessa analisi noi valorizzeremo solo alcuni elementi
che Piaget ipotizza, tra le quali l'età in cui scatta la capacità
di ragionamento complesso, individuata intorno ai 12/13 anni, e poi
le modalità generali di apprendimento, che sono distinte in tre
fasi:
§ Assimilazione
§ Accomodamento
§ Equilibrazione
Assimilazione è la ricezione dall'esterno. Il materiale assimilato
è accomodato nella seconda fase, cioè è inserito,
adeguato all'interno delle mappe conoscitive già costituite all'interno
della struttura conoscitiva dell'individuo. L'ultima fase, l'equilibrazione,
costituisce la capacità di mantenere in equilibrio tutte le
conoscenze acquisite, cioè l'autoregolazione di tutto il materiale
assimilato, capacità involontaria di mantenere in equilibrio la
struttura psicologica, nonostante il continuo inserimento di materiale
nuovo.
"Se l'individuo si forma delle idee, o meglio le 'costruisce', è
perché egli mette in azione le sue strutture mentali organizzando
la sua esperienza. (..) L'individuo cresce, ossia sviluppa il suo sistema
intellettuale, attraverso la continua ricerca di un equilibrio tra il sé
e il momentaneamente fuori di sé, tra assimilazione e accomodamento".
[Ivi, pag.83]
Nei bambini c'è una prevalenza di assimilazione, in quanto la
struttura conoscitiva è in corso di costruzione. Negli anziani prevale
invece l'accomodamento per i motivi opposti. In tutte le età intermedie
vi è sempre equilibrazione tra i due momenti dell'apprendimento.
In mancanza di tale equilibrio avremo due opposte personalità,
e cioè, se prevale l'assimilazione avremo una personalità
conformista, che accetta tutto senza spirito critico, oppure all'opposto
una personalità dogmatica che non si discosta per nulla dalle proprie
convinzioni.
Si deve a Piaget, come già detto, l'individuazione nel corso
della crescita dell'individuo del momento in cui scatta la capacità
del ragionamento complesso, cioè la capacità di interpretazione,
di ciò che abbiamo anche definito come apprendimento complesso o
analitico o anche la capacità di astrazione logica (deduzione);
tale momento è individuato intorno ai 12/13 anni, all'inizio dell'età
puberale, come momento iniziale, ma è chiaro che essendo una capacità
complessa dopo tale momento continua a crescere e progredire.
L'astrazione logica è la possibilità del pensiero formale,
che segue alla fase del pensiero operatorio concreto, è una progressiva
capacità di generalizzazione astratta (pensare per categorie generali
e astratte).
Si definisce deduzione in quanto si ricava dal caso generale l'esempio
particolare, si ragiona cioè per categorie, per concetti generali
da cui si possono poi estrapolare esempi particolari. Per induzione
si intende il caso contrario quando cioè dai casi particolari si
ricavano concetti generali.
La scuola psicologica di Piaget è denominata strutturalista
proprio perché parte dalla considerazione che l'apprendimento è
una capacità potenziale di costruire le proprie strutture
conoscitive interne, il materiale per questa costruzione è sempre
preso dall'esterno. Questa costruzione diviene stabile intorno ai 25 anni.
Piaget (Jean), psicologo e pedagogista svizzero (Neuchâtel 1896 - Ginevra 1980). Avviato dal Claparède agli studi di psicologia dell'infanzia, si interessò particolarmente ai problemi della formazione e dello sviluppo del pensiero e del linguaggio, costruendo per via sperimentale quella che egli ha chiamato una «epistemologia genetica». Dal 1957 curò la pubblicazione della collana Studi di epistemologia genetica. Opere principali: Il linguaggio e il pensiero nel fanciullo (1923), Il giudizio e il ragionamento nel fanciullo (1925), La rappresentazione del mondo nel fanciullo (1926), Il giudizio morale nel fanciullo (1932), La nascita dell'intelligenza nel fanciullo (1936), La formazione del simbolo nel fanciullo(1945), La psicologia dell'intelligenza (1947), Introduzione all'epistemologia genetica (1949-1951). Pubblicò con P. Fraisse un Trattato di psicologia sperimentale (1963-1966) e con alcuni collaboratori (soprattutto L. De Broglie e A. Lichnerowicz) alcune opere di divulgazione epistemologica (Logica e conoscenza scientifica, 1967; Lo strutturalismo, 1968). Particolarmente importanti le sue opere dedicate all'applicazione dell'epistemologia alle scienze umane: Epistemologia genetica(1970), Epistemologia delle scienze umane (1972).
[Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000 - Copyright RCS Libri S.P.A.]
LEON FESTINGER E LA TEORIA DELLA DISSONANZA COGNITIVA
L'ultima domanda a cui dobbiamo rispondere analizzando l'apprendimento
è : "perché c'è una resistenza all'apprendimento?"
Viene spontaneo chiederci come possa capitare che ci sia resistenza
quando già prima si era individuato un bisogno all'apprendimento,
che era stato collocato addirittura tra i bisogni primari dell'individuo.
Per rispondere a questa domanda ci viene in soccorso l'opera del gestaltista
Leon Festinger Teoria della dissonanza cognitiva del 1957; Festinger
è appunto autore del concetto di dissonanza cognitiva. Nel campo
musicale una dissonanza non è una stonatura, ma è un suono
diverso, non conforme al resto dell'ordito musicale, che l'autore può
inserire per rendere più interessante la trama. L'esempio musicale
ci aiuta a comprendere come per dissonanza si intenda che una nuova conoscenza,
un nuovo concetto, un nuovo modus operandi, possa essere visto dall'individuo,
cristallizzato nelle proprie abitudini, come un elemento di perturbazione.
Festinger non studia l'apprendimento ma le abitudini degli esseri
umani e individua la resistenza a cambiarle, poiché tale cambiamento
produce, dice l'autore di questa teoria, una dissonanza.
Traducendo questa teoria in termini di apprendimento diremo che ogni
qualvolta un allievo è soggetto ad una pressione di nuovi elementi
di apprendimento che deve acquisire, che sono difformi da ciò che
lui già sa, si produce una dissonanza, perciò una resistenza.
Dissonanza è proporzionale a sforzo perché maggiore è
lo spettro di dissonanza maggiore sarà lo sforzo richiesto per superarla.
CARATTERISTICHE DEL METODO DIDATTICO E STRATEGIE DI COMUNICAZIONE EFFICACE
Metodo è rendere consonante ciò che si presenta come dissonante,
volendo intendere tutto quanto possa rendere più facile l'apprendimento,
per renderlo meno difficoltoso certo senza banalizzarlo. Ma sappiamo già
che per metodo didattico intendiamo anche tutte le tecniche organizzative,
un'organizzazione sistematica volte al raggiungimento del fine didattico,
che è quello di trasmettere in maniera ottimale competenze, abilità
operative e valori.
Il metodo ha bisogno della comunicazione formativa, in quanto tramite
tra la disciplina, quindi la struttura logica interna della disciplina
(oggettiva), e la struttura cognitiva soggettiva.
Definiamo il termine comunicazione efficace e diciamo efficace una
comunicazione che coglie gli obiettivi che si è posta intenzionalmente,
quindi sono strategie di comunicazione efficaci quelle strategie che messe
in atto pervengono infine agli obiettivi che erano stati inizialmente prefissati
in maniera intenzionale.
Fatte queste premesse vediamo quali caratteristiche deve avere il metodo
didattico per essere rispondente e coerente con le modalità dell'apprendimento
che sono state studiate da Piaget, da Ausubel, e da altri. Il metodo deve
essere:
§ Attivo: basato sul coinvolgimento attivo, sulla partecipazione del discente al processo formativo, sulla sua motivazione di tipo intrinseco. Quindi metodo che preveda partecipazione, rinforzo, motivazione, feed back costante positivo.
§ Maieutico: come arte di far partorire le idee, richiama
la maieutica socratica, e ricordando le teorie di Ausubel diremo che dà
luogo ad apprendimento significativo per scoperta. E' un metodo basato
su esercizi logici non mnemonici. Presuppone un dialogo formativo.
§ Dialogico: strettamente interconnesso con il tipo precedente,
è basato sul dialogo formativo, sul ragionamento dialettico, dialogo
intenzionale a fini didattici.
§ Collaborativo: metodo basato sulla collaborazione tra tutti
i soggetti interni
della comunicazione formativa e cioè
§ Docente - discenti
§ Discenti - discenti
§ Docente - docente
Nel primo tipo è richiesta la collaborazione da parte
dell'allievo che deve essere sufficientemente motivato, e del docente al
fine di facilitare il più possibile l'apprendimento e venire incontro
alle esigenze che possono sorgere in ambito didattico.
I discenti, se spinti a collaborare e a lavorare per gruppi,
senza che si crei antagonismo all'interno degli stessi, possono rendersi
protagonisti attivi del processo di apprendimento, dietro il vigile controllo
del docente che deve essere in grado di utilizzare e gestire tale collaborazione.
La collaborazione tra docenti di diverse discipline definita
interdisciplinarietà è anch'essa una forma collaborativa
che costituisce una risorsa, una modalità, una strategia del metodo
didattico. Tale collaborazione avviene su tre elementi fondamentali:
§ Accordo sui metodi da impiegare su uno stesso gruppo di allievi.
Questo accordo non può però essere ritenuto vincolante per
i docenti, è l'obbiettivo massimo mentre quello minimo è
quanto meno l'informazione sugli stessi metodi impiegati.
§ Accordo sui contenuti, quando lo stesso argomento può
essere affrontato sotto diversi aspetti disciplinari ciò consente
all'allievo di relazionare i vari argomenti tra loro, di fare collegamenti
intrecciando le varie conoscenze che sta apprendendo.
§ Accordo sui parametri di valutazione; ciò consente di
mettere gli allievi sullo stesso piano offrendo a tutti le stesse
opportunità. E' valido tra gli insegnanti della stessa disciplina
ma anche tra insegnanti di discipline differenti.
L'esigenza di una programmazione collegiale e del metodo collaborativo è sentita come sempre più forte, sia per gli indirizzi legislativi che vanno in questa direzione, sia per una crescente consapevolezza da parte degli insegnanti della necessità di razionalizzare l'intera opera educativa, al di là delle specificità disciplinari, che mantengono ovviamente tutta la loro importanza.
La programmazione collegiale risponde a una duplice esigenza: su un
piano didattico si coglie la necessità di considerare l'alunno in
modo unitario, rendendo coerenti i vari momenti del suo percorso formativo;
sul piano della formazione culturale, si considera sempre più importante
che lo studente comprenda il quadro epistemologico comune ai diversi saperi,
gli aspetti storicamente dati dei vari modelli di conoscenza, i presupposti
(e i problemi) comuni che si articolano poi nei vari settori disciplinari.
[E.Ruffaldi: Insegnare filosofia, La Nuova Italia, 1999, pag.68]
Il limite del metodo collaborativo è naturalmente la libertà didattica che comunque deve essere garantita al docente.
· Metodo analitico: cerca di scomporre in analisi gli elementi
di un sapere, di pervenire cioè da una conoscenza sensibile di primo
livello, ad una significativa di secondo livello, procedendo dal semplice
al complesso per gradi successivi.
Il metodo ha bisogno di una comunicazione efficace, proprio perché
pone in comunicazione l'impianto oggettivo della disciplina con la struttura
cognitiva soggettiva dell'allievo.
Efficace è quella comunicazione che coglie gli obiettivi prefissati
intenzionalmente.
Comunicazione efficace
Obiettivi prefissati
In sintesi:
"- l'insegnamento ha bisogno di una preparazione didattica fatta
di conoscenze teorico-storiche e di abilità pratiche;
- il metodo dell'insegnante deve rendere possibile il metodo degli
allievi;
- il metodo potenzia nell'individuo la sensibilità per i problemi
e la capacità di risolverli;
- il metodo produce non solo apprendimento ma anche la soddisfazione
di bisogni da cui dipende la qualità dello sviluppo personale, cioè
è positivamente correlato con le esigenze affettive e sociali e
consente che la cultura abbia rilievo morale;
- il metodo è al giusto posto nel processo educativo quando
esplichi una funzione liberatrice di energie personali e insieme renda
possibile la loro organizzazione e canalizzazione verso scopi rilevanti".
[F.De Bartolomeis: I metodi nella pedagogia contemporanea, 1958, pag.78]
Struttura degli obiettivi didattici
"Programmare per obiettivi" vuol dire stabilire una serie di obiettivi,
sia disciplinari (competenze e abilità in relazione alla materia)
sia metodologici (contributo che le conoscenze specifiche danno all'acquisizione
di un metodo di rielaborazione generale).
Se non riusciamo a individuare le modalità di verifica degli
obiettivi, vuol dire, di solito, che sono formulati in modo generico, che
non sono sufficientemente analitici o che non sono abbastanza chiari. La
verifica degli obiettivi non è solo verifica del loro conseguimento
da parte degli studenti, ma prima ancora della correttezza della loro formulazione.
Gli obiettivi possono essere di vario tipo, ma in ogni modo è
sempre fondamentale fissarli adeguatamente, perché se i traguardi
sono troppo alla portata dell'allievo, come pure per il caso opposto,
troppo distanti e irraggiungibili, non assolvono la funzione di punto di
riferimento, ma è come se non ci fossero.
Quindi devono rispondere a delle caratteristiche ben determinate:
§ Devono essere preventivamente dichiarati all'allievo.
E' importante questa dichiarazione preventiva per indicare la meta,
il fine a cui si tende, ponendo come punto di riferimento il traguardo
proposto all'allievo, che potrà confrontarsi costantemente con questo
traguardo. Se l'obiettivo è dichiarato, c'è la possibilità
di verifica e correzione conseguente. La mancata dichiarazione degli
obiettivi è un errore didattico da non commettere.
§ Devono essere correttamente formulati.
Come si formulano correttamente gli obiettivi?
Il più famoso studioso di obiettivi didattici è l'americano
Robert Mager (Gli obiettivi didattici, Teramo, EIT, 1972 e inoltre Come
misurare i risultati dell'istruzione e, in collaborazione con P.Pipe Come
analizzare le performances degli allievi, entrambi Giunti, 1990).
La sua è una impostazione marcatamente behaviorista, molto pratica
e molto legata al comportamento. Richiama continuamente gli insegnanti
a formulare gli obiettivi in termini pratici, concreti, non in termini
astratti, usando verbi che indicano azioni. La domanda che si pone nella
formulazione degli obiettivi non è quella classica: "cosa l'allievo
deve sapere" alla fine di un corso di apprendimento, ma è: "cosa
l'allievo deve saper fare" alla fine di, dove per fare si intende una attività
pratica legata al sapere acquisito.
I traguardi devono essere formulati in modo concreto. Con la performance,
parola presa a prestito dalla cinematografia, intesa come prestazione operativa
in termini di comportamento, l'allievo dimostra di aver raggiunto l'obiettivo
prefissato. Tale performance può essere osservata, misurata, valutata.
Si nota una eccessiva praticità nelle teorie del Mager;
infatti è semplice indicare una performance, un'abilità pratica
che l'allievo deve aver raggiunto. Più difficile è indicare
un'abilità superiore, un'astrazione logica, vedi Ausubel o Piaget,
che l'allievo deve aver conquistato. Ciò non toglie che l'indicazione
di Mager è valida sotto il profilo di una chiara indicazione, una
corretta formulazione degli obiettivi didattici che l'allievo deve conoscere,
traducendo alla fine tali obiettivi in termini di performance che l'allievo
stesso deve essere in grado di rendere, intesa come prestazione operativa.
La comunicazione efficace si pone come processo di influenza e mira ad essere persuasiva.
Comunicazione efficace processo di influenza persuasione
didattica
Persuasione
mass media
Scienze dell'organizzazione
Comunicazione efficace come processo di influenza sta a significare che la comunicazione stessa ha una intenzionalità ben determinata, che è quella di influenzare il comportamento di altri. La comunicazione didattica è un processo di influenza perché si pone l'obiettivo di influenzare positivamente il comportamento di soggetti che attivano processi di apprendimento in termini di competenza, abilità e valori.
Il termine di comunicazione persuasiva è applicata in tre campi
in modo particolare:
§ Didattica
§ Mass media
§ Scienze della organizzazione
Il campo della didattica è quello che più ci interessa.
E' chiaro che in termini didattici comunicazione persuasiva ha un significato
diverso che negli altri due campi. In questi termini la persuasività
che si ricerca è il convincimento interno dell'allievo, che è
il convincimento di aver acquisito nuovo valore. Cioè l'allievo
si persuade che il processo didattico gli ha aggiunto valore. Questo valore
è l'allievo che lo valuta per mezzo di un feed back interno detto
appunto intrinseco, ed è attraverso questo che l'allievo raggiunge
il convincimento di aver acquisito nuove conoscenze, abilità operative
e valori, in altre parole valore aggiunto.
La comunicazione persuasiva dei mass media è stata analizzata
da alcuni ricercatori [B.C.Cohen (1963), successivamente ripresa da E.F.
Shaw (1979)] sul concetto di agenda-setting, intesa come programmazione,
pianificazione degli argomenti da trattare. E' pertanto una persuasività
indiretta.
"i media hanno il potere di stabilire la presenza dei temi in agenda
nonché di dar loro un ordine gerarchico; il pubblico costruisce
la propria agenda in conseguenza dell'agenda offerta dai media (..) l'agenda
dei media - intesa come insieme di temi ordinati gerarchicamente - si riflette
nell'agenda del pubblico."
[Sara Bentivegna: Teorie dei media nella società contemporanea,
in
AA.VV.: La Comunicazione, Stampa Alternativa, 1995, pag.43]
In questo trova contatto con l'operato del docente che decide gli argomenti
oggetto del suo insegnamento, la loro pianificazione e le modalità
operative di trasmissione. Pertanto si dice impropriamente che i mass media
formano la coscienza delle masse.
"secondo l'ipotesi dell'agenda-setting, i media risulterebbero particolarmente
efficaci nel costruire l'immagine della realtà che il soggetto viene
progressivamente strutturando."
[Studer-Zonca: Elementi di psicologia, Sansoni, 1994, pag. 287]
Citiamo uno studioso della comunicazione persuasiva: J. T. Klapper,
che in un suo studio degli anni '60 (in it. Gli effetti della comunicazione
di massa, Etas Kompass, 1964) perviene alla conclusione che una comunicazione
di tipo persuasivo (di massa) agisce più come rafforzatore che come
induttore di modificazione del comportamento. Alla comunicazione devono
associarsi altri fattori, quali i processi di esposizione selettiva, le
barriere filtranti, i contesti sociali e familiari, insomma i prerequisiti
già esistenti e che permettono differenziati processi di decodifica.
Infatti
"neppure uno di questi fattori è però in grado di produrre
risultati tali da far pensare a un rovesciamento delle ipotesi di partenza
secondo cui il rafforzamento rappresenta l'effetto più probabile
della comunicazione di massa."
[L.Rossi, op.cit., pag.55]
STILI DEL FORMATORE E TIPI DI COMUNICAZIONE
Insegnare in modo problematico-critico presuppone la realizzazione in
classe di una forma di comunicazione adeguata alle istanze di un processo
dinamico di apprendimento, centrato, come s'è visto, sulla motivazione,
sulla partecipazione autentica degli studenti al dialogo scolastico, sulla
valorizzazione della loro esperienza vissuta, all'interno di un comune
sforzo del gruppo classe orientato alla ricerca della chiarificazione,
della definizione e della soluzione razionali dei problemi. In concreto,
riducendo lo spazio della tradizionale spiegazione (comunque fondamentale),
il formatore dovrebbe proporre e coordinare attività.
Cerchiamo dunque di raccordare elementi della comunicazione con elementi
di didattica. Ci chiediamo cioè quali sono gli stili di insegnamento
possibili che un formatore deve assumere per poter ambire a educare, a
formare e a insegnare, stili che vanno al di là della personalità
e del carattere propri del formatore stesso. In definitiva
lo stile del formatore è una conquista, un traguardo a cui
deve tendere chi ha l'ambizione di essere formatore / educatore / docente.
Tale stile è comunque collegato al tipo di comunicazione che
il formatore decide di mettere in atto nel momento in cui si relaziona
con gli altri. I termini che si usano, rispettivamente uno positivo e uno
negativo, sono comunicazione assertiva e comunicazione anassertiva.
Ricaviamo la definizione del termine assertivo dal "Dizionario
di didattica" di Benedetto Vertecchi che rimanda dal termine asserzione
al termine affermazione, che ne è sinonimo.
Affermazione: tipo di enunciato che può
essere vero o falso. Sinonimo di "asserzione". Lo stesso termine è
usato anche nel senso di "successo" più o meno consolidato.
[B. Vertecchi, Dizionario di didattica, pag.6].
Ricaviamo da quanto sopra che il termine assertivo risulta essere sinonimo
di affermativo, di positivo, di una capacità, se riferita all'individuo,
di relazionarsi positivamente con gli altri, capacità di essere
positivi, assertivi appunto.
Il suo contrario è anassertivo, che, riferito all'individuo
aggettivato come tale, vedrà l'assunzione di tipi di comunicazione
che vanno da un eccesso all'altro.
In termini più comuni, un individuo assertivo, al di là
del suo essere o meno formatore o educatore, ma come persona in relazione
positiva con gli altri, lo definiamo come colui il quale è sicuro
di sé, sa quello che dice, sa quello che fa, ha una buona autoaffermazione
ma nello stesso tempo è tollerante dei comportamenti altrui, non
prevarica i diritti degli altri, non offende, non umilia, è disponibile
ad un confronto. Queste caratteristiche, è intuibile, sono proprie
certamente di chi, nella professione di formatore, adotti un metodo attivo,
maieutico, collaborativo.
Se come assertiva definiamo la comunicazione, non solo tra docente
e allievo, ma nei casi più disparati possibile, è chiaro
da quanto sopra che chi adotta tale tipo di comunicazione sarà certamente
una persona positiva, sicura di sé e allo stesso tempo tollerante,
che rispetta gli altri ed è rispettata. L'assertivo ha lo scopo
di relazionarsi positivamente con gli altri.
L'anassertivo è di conseguenza una persona che ha caratteristiche
totalmente opposte a quelle dell'assertivo, essendone la negazione e il
contrario. Una persona che dunque non cerca di relazionarsi positivamente
con gli altri ma che addirittura arriva a negare questa relazione, ed esprime
questa sua negazione in due modi possibili, opposti tra loro ma con una
radice in comune.
L'anassertivo è chi nega la relazione con gli altri o è
eccessivamente passivo, senza personalità, quindi in continuo adattamento
a quanto gli proviene dall'esterno, o al contrario assume caratteristiche
opposte, aggressive.
"comunicazione anassertiva
caratterizzata da asserzioni indiscutibili, non problematiche da accettare
fideisticamente secondo il "principio d'autorità", che non
richiede dunque interpretazioni - (..) - costituita da
imposizioni che scartano soluzioni creative ai problemi e generatrici di
apprendimento meccanico"
[F. Dubla, I principi costituitivi della metodologia della comunicazione
nella didattica, MARISCUOLA, 1997, pag. 8]
Stile del formatore autoritario Comunicazione anassertiva
Una personalità passiva, timida, non potrà certo adottare uno stile autoritario, come visto sopra, ma adotterà uno stile che definiamo permissivo. E in questo caso diciamo che in effetti c'è una rinuncia alla funzione di formatore, una rinuncia alla personalità e al ruolo.
Stile del formatore permissivo Comunicazione anassertiva
Una personalità assertiva, infine, adotterà, nella sua funzione di formatore, uno stile che definiamo democratico, in quanto basato sulla partecipazione e sul coinvolgimento degli altri.
Stile del formatore democratico Comunicazione assertiva
Lo stile democratico è legato alla capacità di autoaffermazione del formatore, alla sua competenza, e alla sua padronanza di sé.
Un individuo qualunque può avere delle caratteristiche personali che possono essere anche molto distanti da quelle viste sopra, ma nel momento in cui decide di assumere il ruolo di formatore deve necessariamente raggiungere uno stile democratico ed una comunicazione assertiva, in quanto in uno qualsiasi degli altri tipi di comunicazione e di stili formativi sopra analizzati egli si ponga, non raggiungerà altro che risultati poco soddisfacenti sia per sè che delle persone che ha la "pretesa" didattica di formare.
OBIETTIVI DELL'ASSERTIVITA'
AUTONOMIA EMOTIVA
LIBERTÀ' ESPRESSIVA
RISPETTO DI SE' E DEGLI ALTRI
AUTOAFFERMAZIONE
IMMAGINE POSITIVA DI SE'
- Autonomia emotiva = autoregolazione emotiva, non lasciarsi travolgere
dagli eventi
- Libertà espressiva = la capacità di esprimere senza
timore le proprie idee, in modo autonomo e nel rispetto delle idee degli
altri.
- Rispetto per sé e per gli altri
- Autoaffermazione = capacità di affermare la propria personalità
sempre nel rispetto delle personalità esterne alla propria
- Immagine positiva di sé = consapevolezza delle proprie capacità
che si conquista con sforzo e impegno costante.
CARATTERISTICHE DELLA PERSONA ASSERTIVA
1. Fa valere i suoi diritti e rispetta i diritti altrui
2. Raggiunge i propri obiettivi senza offendere gli altri
3. Ha una buona immagine di sé
4. Si esprime in maniera chiara ed autonoma
5. Decide per sé
CARATTERISTICHE DELL'ANASSERTIVO PASSIVO
1. Permette che siano violati i suoi diritti e che gli altri ne traggano
vantaggio
2. Non raggiunge i propri obiettivi
3. Si sente frustrato infelice
4. E' inibito
5. Consente che gli altri scelgano per lui
CARATTERISTICHE DELL'ANASSERTIVO AGGRESSIVO
1. Viola i diritti altrui per trarne vantaggio
2. Raggiunge i propri obiettivi a spese degli altri
3. È belligerante e sulla difensiva
4. È ostile, umilia e disprezza gli altri
5. Si intromette nelle scelte altrui
La persona anassertiva può assumere uno dei due atteggiamenti
sopra descritti, o quello passivo o quello aggressivo.
I tipi di comunicazione anassertiva e assertiva sono tipici di
comportamenti umani validi sempre, in qualsiasi comunicazione interpersonale.
Nel caso di una persona che faccia della comunicazione la sua professione
specificatamente nella didattica, lo stile comunicativo che essa
assumerà sarà certamente coerente con i lineamenti caratteriali
che la contraddistinguono e pertanto potrà assumere uno stile
aggressivo o uno stile permissivo, o infine nel migliore dei casi uno stile
democratico ed una comunicazione assertiva.
I confini tra questi tipi di comportamenti non sono, come tutto ciò
che riguarda le caratteristiche psicologiche umane, nettamente delineate
e pertanto la stessa personalità potrà presentarsi, a seconda
dei casi, o come assertiva o come anassertiva.
Solo con un esame critico costante su se stessi si può tendere
a migliorare le proprie caratteristiche per avvicinarle a quelle migliori
possibili.
Nei casi patologici non basta un lavoro introspettivo autonomo, ma
si ricorrerà all'aiuto di specialisti del settore.
RUOLO RESPONSABILITÀ' E COMPETENZA
Ruolo è la posizione sociale che l'individuo assume all'interno
di una organizzazione sociale, quindi è lo status. Ad ogni ruolo
è collegata una funzione individuale che è la responsabilità,
funzione che individua le capacità e la rispondenza a queste capacità.
La competenza è il sapere, le competenze personali adeguate ai compiti
previsti dalla funzione svolta.
Da quanto sopra possiamo ricavare il principio che: il ruolo, la responsabilità
e le competenza sono direttamente proporzionali tra loro.
Significa che un ruolo sociale più elevato comporta una responsabilità
maggiore e un bagaglio di conoscenze e competenze certamente più
ampio, e viceversa.
Se questa corrispondenza diretta non è soddisfatta, si verifica
una disfunzione organizzativa.
Ruolo, responsabilità e competenza entrano nello studio della
comunicazione perché comunicazione è scambio e relazione,
e la relazione è determinata dai ruoli.
Una struttura sociale caratterizzata da una comunicazione formale,
dove per formale si intende che è regolamentata, si definisce rigida.
COMUNICAZIONE FORMALE STRUTTURA SOCIALE RIGIDA
Una struttura sociale caratterizzata da una comunicazione, al contrario,
libera, detta informale si definisce elastica, flessibile.
COMUNICAZIONE INFORMALE STRUTTURA SOCIALE ELASTICA
Una struttura sociale sopravvive se e solo se ad una comunicazione formale,
rigida, regolamentata, che definisce ruoli e responsabilità, si
intreccia una comunicazione informale, libera. Non può sopravvivere
una struttura che faccia esclusivo uso di comunicazione formale o di una
comunicazione libera pena la decadenza della struttura stessa, in
quanto le informazioni necessarie al suo funzionamento non circolerebbero
in modo corretto e tempestivo.
E' necessaria una interazione dialettica dei due tipi di comunicazione,
facendo prevalere di volta in volta l'uno o l'altro tipo.
Quanto sopra è vero sia nelle scienze dell'organizzazione sociale,
ma è anche vero nella didattica.
Ruolo: indica l'insieme delle norme e delle aspettative che si sviluppano nei confronti di una persona che occupa una determinata posizione in un sistema sociale. Sono legati al ruolo i diritti e i doveri connessi con quella posizione. Con il medesimo significato qualifica un tipo di gioco basato su regole. Riferito alla professione docente "ruolo" indica l'appartenenza all'organico del personale in servizio. [B. Vertecchi: Dizionario di Didattica, 1999, pag. 222].
Competenza: caratteristica positiva dell'individuo che testimonia della
sua capacità di svolgere determinati compiti. L'abbattimento della
competenza consiste nella perdita progressiva da parte dell'allievo dei
comportamenti positivi acquisiti nel corso di un determinato processo didattico
- (..)
[Ivi, pag. 54].
Una definizione il più generale possibile di struttura rigida
è la seguente: si definisce rigida una struttura impermeabile ai
cambiamenti e dove prevale la comunicazione formale.
Al contrario in una struttura flessibile prevale una comunicazione
informale, spontanea, non rigidamente regolamentata, e le regole, i codici
di comportamento, sono adottate altrettanto spontaneamente.
Ricordiamo che nessuna struttura organizzativa può essere eccessivamente
rigida o eccessivamente flessibile, pena la decadenza dell'organizzazione
stessa, ma è necessaria una interazione dialettica tra le due tipologie.
PAUL WATZLAWICK E LA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE
In una seppur breve, come la nostra, trattazione sulla comunicazione
in funzione didattica, non possiamo non citare gli studi di P. Watzlawick,
(Pragmatica della comunicazione umana, trad. it., Astrolabio, Roma, 1967)
polacco naturalizzato americano, studioso che molto ha contribuito all'analisi
della comunicazione interpersonale, ed è stato uno degli scienziati
più importanti del "Mental Research Institute" di Palo Alto in California.
Insieme a Gregory Bateson, ha dato un contributo straordinario
all'analisi sulla comunicazione, all' "ecologia della mente", alla necessità
che gli uomini si incontrino sul terreno della comunicazione, stabilendo
relazioni valide tra di loro.
L'istituto di cui fanno parte è stato pertanto una fucina di
ricerche, di studi su come è possibile curare alcuni disturbi
della comunicazione e su come cercare di stabilire corrette relazioni tra
gli individui e per quanto riguarda la fenomenologia, la descrizione degli
atti comunicativi, ha costituito senza dubbio un contributo fondamentale
per il secolo ventesimo.
"Uno dei modelli teorici che si è occupato più in profondità
della problematica comunicativa, mettendone in evidenza il valore per ciò
che riguarda la strutturazione delle relazioni interpersonali umane è
senza dubbio la scuola di Palo Alto e i contributi di coloro che ad essa
hanno fatto riferimento come Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Janet H.
Bavin, Don D. Jackson, John Weakland e C.Sluzky, per citare i più
famosi. A partire dalle loro riflessioni ha avuto origine un orientamento
terapeutico noto come modello relazionale-sistemico che nello studio e
nel trattamento delle patologie familiari ha avuto il suo maggiore campo
di applicazione"
[L.Rossi, op.cit., pag.25]
Watzlawick incentra i suoi studi sulla analisi della relazione
interpersonale all'interno della comunicazione, campo nel quale resta insuperato.
Nel campo della fenomenologia della comunicazione, intesa come semplice
osservazione e descrizione del fenomeno comunicativo, bisogna citare gli
studi del Watzlawick, gli assiomi che ricava per mezzo dello studio della
pragmatica della comunicazione lo avvicinano al comportamentismo, tanto
che può essere considerato un neo-behaviorista.
pragmatismo s.m. (dal gr. prágma -atos, azione). Concezione
filosofica secondo la quale il valore di verità di un'idea è
funzione delle conseguenze pratiche di questa. ??Per estens. Atteggiamento
di chi subordina la teoria alla pratica.
La parola pragmatismo, intesa nel suo senso storicamente determinato,
designa un indirizzo particolare della filosofia moderna, emerso nella
cultura americana e, in alcuni casi di riflesso, in altri autonomamente,
in quella europea, tra la fine del XIX e il principio dei
XX sec. (..) Lo strumentalismo di Dewey è una versione del pragmatismo
assai più sorvegliata e rigorosa. Qui l'accento cade sulla funzione
pratico-vitale dei processi conoscitivi i quali sono risposte all'insicurezza
esistenziale e si traducono in progetti miranti a rendere l'esperienza
meno instabile e precaria. Quello che in ogni caso il pragmatismo in tutte
le sue versioni esclude è che abbia un qualche senso la nozione
di sapere disinteressato, di conoscenza puramente contemplativa
[Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000 ]
Pragmatica significa dunque studio teorico delle azioni pratiche e pertanto
la pragmatica della comunicazione studia l'atto comunicativo, osserva misura
e valuta il comportamento comunicativo.
Dalle sue osservazioni Watzlawick ricava una serie di assiomi, ed è
talmente comportamentista nelle sue conclusioni che il primo di tali assiomi
può essere inteso nel senso che tutto l'atto comunicativo
altro non è se non un comportamento, e viceversa nessun comportamento
può essere privato di una componente di comunicazione.
Assiòma s.m. (gr. axíoma -atos, da áxios, degno,
valido). Proposizione evidente di per sé e che non ha bisogno di
dimostrazione. ? Per estens. Proposizione o massima indiscussa, ammessa
da tutti: Abbitelo per assioma.
Nelle matematiche si distinguono gli assiomi dalle definizioni e dai
postulati.
[Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000 ]
1^ ASSIOMA: NON SI PUO' NON COMUNICARE
L'intero comportamento ha valore di messaggio.
2^ ASSIOMA: OGNI COMUNICAZIONE HA UN ASPETTO DI CONTENUTO ED UN ASPETTO DI RELAZIONE DI MODO CHE IL SECONDO CLASSIFICA IL PRIMO ED E' QUINDI "METACOMUNICAZIONE"
Vale a dire che è la relazione che classifica il contenuto,
non il contenuto che classifica la relazione, pertanto è la relazione
che fornisce il senso del contenuto.
In una comunicazione distinguiamo due aspetti:
- Uno detto report, è l'aspetto di notizia e trasmette l'informazione
- Uno di command, definisce la relazione e impone un comportamento
Non ci si può sottrarre ad una relazione, e nella comunicazione
è preminente la relazione perché dà senso e significato
ai contenuti.
3^ ASSIOMA: LA NATURA DI UNA RELAZIONE DIPENDE
DALLA PUNTEGGIATURA DELLE SEQUENZE DI COMUNICAZIONE TRA I SOGGETTI COMUNICANTI
(definito anche l'assioma del "marito e moglie")
Watzlawick afferma che per analizzare una comunicazione non possiamo fotografare un singolo istante della stessa, pretendendo poi di comprendere tutta la catena di stimoli risposte e rinforzi che essa comporta. Dunque bisogna andare alla radice di un comportamento, alla radice dell'atto comunicativo per comprendere le cause del rapporto comunicativo, che è fatto appunto di stimoli, di risposte agli stimoli e di rinforzi, di stimoli dopo i rinforzi che si ripetono circolarmente secondo una punteggiatura di sequenze di comunicazione.
4^ ASSIOMA: GLI UOMINI COMUNICANO SIA CON IL MODULO NUMERICO (VERBALE) CHE CON IL MODULO ANALOGICO (NON VERBALE)
Vale a dire che qualsiasi comunicazione è composta da due momenti
contemporaneamente presenti: un momento verbale, espressione verbale della
comunicazione, ed un momento gestuale e quant'altro non sia solo verbale,
espressione mimica, prossemica, ecc., della comunicazione stessa.
Queste due diverse componenti devono necessariamente essere coerenti
tra loro per dare luogo ad una comunicazione definita come sana, nel caso
contrario si assiste ad una comunicazione definita paradossale.
Il livello di contenuto è trasmesso di preferenza con il modulo
numerico.
Il livello di relazione è trasmesso di preferenza con il modulo
analogico.
5^ ASSIOMA: TUTTI GLI SCAMBI DI COMUNICAZIONE SONO SIMMETRICI O COMPLEMENTARI A SECONDA CHE SIANO BASATI SULL'UGUAGLIANZA O SULLA DIFFERENZA.
La comunicazione formativa è tipicamente caratterizzata
da una relazione di tipo complementare perché richiede coscientemente
al soggetto che attiva il processo di apprendimento di porsi in posizione
complementare, con la consapevolezza di essere nella necessità di
apprendere dal preminente, discente in questo caso, il valore aggiunto
in termini di competenze, che questi gli trasmetterà.
Definiamo il seguente principio: una relazione interpersonale non può
permanere a lungo in termini di complementarietà, ma necessita,
per poter perdurare, di opportuni bilanciamenti, di momenti di simmetria
tra i soggetti in relazione.
"secondo l'approccio sistemico la stessa natura del comportamento, in
termini di fisiologia o di patologia, deve essere compresa facendo riferimento
agli eventi comunicativi che caratterizzano il mondo relazionale di ogni
persona. La dimensione della soggettività deriva da quella del contesto
relazionale in cui il soggetto vive e senza del quale viene a mancare un
fattore imprescindibile di analisi"
[Ibidem]
ELEMENTI PRINCIPALI DELLA PROGRAMMAZIONE DIDATTICA
Programmazione: pianificazione degli interventi relativi ad una qualsiasi
attività. Nella storia della didattica il termine programmazione
viene associato al termine curricolo, che richiama a sua volta il termine
curriculum con il quale ha in comune la radice dal verbo latino currere,
correre - percorrere - camminare speditamente.
La teoria del curricolo, associata alla programmazione didattica, si
è sviluppata dall'opera di Ralph Tyler del 1949.
Tyler, americano, si dedicò completamente al rinnovamento dell'organizzazione
scolastica statunitense; egli infatti considerava la scuola americana fortemente
in ritardo rispetto ai nuovi compiti che erano richiesti nella preparazione
degli studenti. Propagandò le sue teorie sulle tecniche educative,
sulla programmazione didattica, proponendole a molte scuole che visitò
personalmente nel corso della sua attività.
I suoi studi si concretizzano nella pubblicazione di molte opere di
cui la più importante è quella che tradotta letteralmente
in italiano ha per titolo: "Principi di base del Curricolo e istruzione"
(1949)
Venne introdotto questo termine volendo significare la progettazione
in avanti, contrapposto al percorso già compiuto nella professione
che definiamo curriculum, cioè la programmazione didattica o pianificazione
degli interventi didattici.
Tyler dedicò tutta la sua vita alla diffusione di queste teorie
che grazie al suo contributo fecero il giro del mondo ed ebbero il merito
di rinnovare programmi scolastici e tecniche educative.
Egli individua i quattro elementi principali del curricolo, quattro
elementi che sono l'asse portante della programmazione didattica:
- CONTESTO
- OBIETTIVI
- STRATEGIE
- VALUTAZIONE
Ognuno degli elementi sopraelencati deve entrare nella pianificazione,
e ad ognuno deve corrispondere un' azione didattica specifica.
Alcuni di questi elementi sono già stati individuati, come ad
esempio il contesto descritto in funzione della struttura della comunicazione
e gli obiettivi descritti in funzione della comunicazione educativa didattica.
Brevemente ricordiamo che il contesto costituisce la cornice entro
la quale avviene l'evento comunicativo, e l'azione didattica che deve essere
associata a questo elemento è l'analisi preliminare, intesa come
indagine conoscitiva che il docente deve svolgere sull'ambiente entro il
quale è chiamato ad operare.
Sia nel senso di macrocontesto, inteso come l'ambiente scolastico,
la città, il quartiere in cui è chiamato ad operare, ma anche
come microcontesto nel senso ad esempio dell'indagine che deve svolgere
per appurare i prerequisiti posseduti dagli allievi la prima volta che
essi si presentano.
In definitiva il docente deve sempre condurre un'analisi preliminare
del contesto inteso sia come macrocontesto, ma anche del microcontesto
come sopra evidenziato.
Secondo elemento del curricolo sono gli obiettivi, anch'essi già
in precedenza descritti: essi devono essere preventivamente dichiarati
e correttamente formulati; ricordiamo le prescrizioni operative
del Mager.
Sulle strategie didattiche formuliamo la seguente definizione: organizzazione
dei percorsi didattici.
Contenuti
STRATEGIE Mezzi
Tempi
Metodi Tecniche specifiche
Evidenziamo che i metodi didattici sono una componente delle strategie.
Le strategie costituiscono l'organizzazione dei contenuti da trasmettere,
l'organizzazione dei mezzi da impiegare (ausili didattici, ecc.), l'organizzazione
dei tempi e dei metodi (es. attivo, maieutico, collaborativo, ecc.), intesi
anche come insieme di tecniche didattiche specifiche.
Organizzare i contenuti significa organizzare le sequenze di apprendimento,
organizzare i piani di lezione, avvalendosi di programmi modulari secondo
sequenze di unità didattiche intese come insieme di argomenti, concetti
e principi autosufficienti.
All'interno dell'unità didattica troviamo
a) Frames: e cioè singoli argomenti ; (paragrafo);
b) Items specifici concetti, domande; (singolo concetto);
Infine per valutazione intendiamo l'autoregolazione della programmazione.
Diciamo, anche se sembra una contraddizione, che la valutazione
pur se soggettiva in quanto espressa da un soggetto, deve essere il più
oggettiva possibile, nel senso di equilibrata e non condizionata da fattori
extracurricolari. Questo risultato si ottiene solo se gli obiettivi sono
stati, come già più volte sottolineato, dichiarati preventivamente
e correttamente formulati; la valutazione stessa, in questo caso, sarà
anche più agevole per il valutatore, in quanto meno soggetto a condizionamenti
del tipo ad esempio dell' "effetto Pigmalione".
Con tale espressione si vuole qui indicare ad esempio la soddisfazione
che prova il docente nel caso dell'allievo che va inizialmente bene, e
che poi riesce a vivere sulla rendita di posizione conseguita.
STRATEGIE DIDATTICHE:
Modelli di intervento didattico in base ai quali, una volta analizzate
le variabili di ingresso di una determinata situazione di insegnamento/apprendimento,
si configura una specifica interazione comunicativa e si organizza una
successione ordinata di eventi allo scopo di conseguire, anche mediante
l'impiego di mezzi adeguati, gli obiettivi prefissati.
[B. Vertecchi: Dizionario di Didattica, 1999, pag. 239]
Obiettivo:
Derivato dall'inglese objective = relativo all'oggetto, il termine
definisce il traguardo che un particolare intervento educativo si propone
di raggiungere, descritto come un comportamento osservabile che si desidera
far acquisire all'allievo. Nella stesura dei curricoli la definizione degli
obiettivi è un'operazione che consente di classificare i risultati
della mediazione compiuta dall'allievo per manifestare all'esterno le abilità
e le conoscenze che ha acquisito. In altri termini, la definizione degli
obiettivi consiste in una descrizione analitica dei comportamenti ritenuti
desiderabili al termine di ciascun segmento della proposta di apprendimento
(obiettivi intermedi) e alla fine del corso (obiettivi finali)
[Ivi, pag. 181]
CURRICULO:
Corso articolato di studi che presuppone le seguenti condizioni:
a) Una pluralità organizzata di contenuti cognitivi (se ci si
riferisce ad una singola materia si parla di programma non di curricolo);
b) Una scansione temporale ben definita che fissa l'ordine successivo
dei singoli interventi;
c) Un processo di insegnamento/apprendimento che si svolge nel quadro
di un'istituzione formale.
Per curricolo implicito (o latente) si intende invece il bagaglio di
conoscenze che l'allievo costituisce al di fuori della struttura scolastica
formale, attraverso l'interazione con il suo ambiente di appartenenza e
le opportunità formative integrative che esso gli offre (corsi di
lingue, lezioni di musica, ecc.) Il curricolo implicito è dunque
fortemente condizionato dallo status socioculturale dell'allievo.
[Ivi, pag. 69]
· VALUTAZIONE: Per valutare è richiesta esperienza e preparazione didattica specifica. La valutazione si occupa fondamentalmente del metodo e non dell'allievo. I tipi della valutazione sono:
PREDITTIVO - DIAGNOSTICA : analisi del contesto e preparazione del metodo
formativo, le quali ci indicano quali unità didattiche sviluppare.
Uso dei test per l'accertamento dei prerequisiti;
- FORMATIVA: valutazione nel corso dell'attività didattica,
attraverso il feed-back costante per il controllo del metodo;
- SOMMATIVA: valutazione che va a confermare i risultati con gli obiettivi
prefissati, quindi valutazione finale;
- QUALITA' DELL'ISTRUZIONE: valutazione condotta dall'insegnante riguardo
le strategie impiegate, quindi bilancio consuntivo.
Componenti della valutazione che si rifanno alla responsabilità
del formatore, chiamato ad esprimere un giudizio sono:
- SOGGETTIVA: espressa dal solo giudizio del formatore (abilità
logiche, stile cognitivo, comportamento);
- OGGETTIVA: espressa da ciò che l'allievo ha prodotto (test,
prove) per rendere la valutazione quanto più precisa possibile.
La valutazione soggettiva e quella oggettiva ovviamente, per esprimere
un giudizio completo e attendibile, si intrecciano.
"La valutazione, cioè, giudica, accerta il senso, imprime significatività
a quanto si è determinato in rapporto agli obiettivi perseguiti
nel tentativo di colmare l'inevitabile divario tra intenzionalità
e successo che sempre si dà in ogni attività di comunicazione,
in special modo in quella educativa.
[Genovesi - Righetti, La didattica, PARAVIA, 1999, pag. 121]
VALUTAZIONE:
Modalità di interpretazione dei dati raccolti attraverso la
verifica delle prestazioni degli allievi, della adeguatezza della proposta
didattica, dell'efficienza della struttura organizzativa e destinata alla
formulazione di un giudizio.
La valutazione della qualità dell'istruzione consiste nella
rilevazione e nell'interpretazione di informazioni relative allo svolgimento
di un processo didattico destinate a fornire elementi sui quali basare
decisioni in vista del raggiungimento del migliore equilibrio tra caratteristiche
dell'istruzione ed esigenze di apprendimento degli allievi. Le informazioni
possono riferirsi alla fase iniziale, intermedia e finale del processo
e prendere in considerazione aspetti didattici (corrispondenza della proposta
formativa alle caratteristiche del pubblico, efficacia delle procedure
compensative, livello dei risultati, ecc.), aspetti organizzativi (disponibilità
di spazi adeguati, disponibilità di mezzi tecnologici, ecc.), aspetti
economici (disponibilità di risorse, rapporto costi/risultati ecc.)-(..)
[B. Vertecchi: Dizionario di Didattica, 1999, pag. 255]
MOMENTI DELL'ISTRUZIONE DI GAGNE'
Lo schema di R. Gagnè, derivato dai suoi studi, consente di ripercorrere
le tappe della didattica operativa, delle azioni del formatore.
Egli si pone infatti la seguente domanda:
"qual è l'organizzazione che il formatore deve dare ai momenti
dell'istruzione?"
R. Gagnè è uno studioso della psicologia dell'apprendimento,
anch'egli americano, che nel 1970, poi tradotto in italiano nel 1973, pubblica
un libro dal titolo "Le condizioni dell'apprendimento".
Già dal titolo si evince qual'è la teoria che viene svolta
nella sua opera, e cioè Gagnè sviluppa la tesi secondo la
quale ottimizzando le condizioni esterne dell'apprendimento, facendo svolgere
al docente tutte quelle azioni che migliorano dall'esterno le condizioni
dell'apprendimento, si riescono ad ottenere migliori risultati da parte
di chiunque; è chiaramente una prospettiva marcatamente posta tra
il neobehaviorismo e la psicologia dell'apprendimento.
Perché si ottengono migliori risultati?
Perché sono proprio le condizioni esterne a influire in modo
positivo o negativo sulla possibilità di apprendimento dell'allievo,
sono cioè gli stimoli positivi e i rinforzi positivi ad apportare
miglioramenti nell'apprendimento.
Gagnè pone all'attenzione del formatore nove momenti dell'istruzione
di cui i primi cinque hanno la funzione di stimolo; si tratta infatti di
migliorare dal punto di vista qualitativo le condizioni dell'apprendimento,
gli altri quattro momenti hanno la funzione di rinforzo.
1. Primo gruppo: funzione di stimolo (dal
1° al 5°)
2. Secondo gruppo: funzione di rinforzo (dal 6° al 9°)
1° Attirare e controllare l'attenzione. Attenzione è la capacità
di concentrazione, l'esclusione delle interferenze esterne rispetto ad
un compito dato. Ma è anche tensione intellettiva verso qualcosa,
verso una direzione. Nella didattica la tensione intellettiva dell'allievo
deve essere evidentemente rivolta verso il docente, verso le sue argomentazioni.
Facendo riferimento alla curva di Gauss, possiamo vedere come alla base
della curva dell'attenzione sia posta la motivazione.
Questo vuol dire che l'attenzione nel suo sviluppo, che assume la forma
di "u" rovesciata, è spinta dalla motivazione; il punto più
alto di questa curva è il punto C detto concentrazione, ed in questo
punto l'attenzione è massima con la conseguente esclusione di ogni
interferenza esterna rispetto al compito richiesto.
Dopo questo sforzo energetico, vi è inevitabilmente un decadimento
dell'attenzione di cui il docente deve tener conto nella programmazione
didattica.
Esistono diverse tecniche che consentono di riconquistare l'attenzione
per consentire il proseguimento di una unità didattica. Sta all'abilità
del docente, conoscendo la parabola dell'attenzione, organizzare tempi,
risorse e contenuti.
2° Informare sugli Obiettivi. Gagnè raccomanda di dichiarare preventivamente l'obiettivo da raggiungere, affinchè l'allievo conosca il traguardo a cui si tende e possa costantemente confrontarsi con questo.
3° Stimolare il ricordo delle capacità prerequisite pertinenti. Significa richiamare ciò che è già presente nella struttura cognitiva dell'allievo e che riguarda il contenuto, l'insegnamento che deve essere appreso. Questo permette di meglio predisporre la struttura cognitiva all'apprendimento.
4° Presentazione dei nuovi stimoli. Vengono presentati i nuovi contenuti dall'istruttore. Questo punto è legato al successivo.
5° Fare da guida all'apprendimento. In conseguenza al punto precedente, dove gli argomenti da trattare sono presentati come stimolo all'apprendimento, in questa fase Gagnè presuppone che l'istruttore guidi l'allievo all'apprendimento esercitando una funzione maieutica, ricercando quindi, nel limite del possibile, un apprendimento significativo per scoperta. Significa non trasferire meccanicamente nozioni dall'esterno ma favorire la scoperta (scoperta di definizioni, concatenazione logica, ecc.) perché in questo modo è maggiore la facilità di ritenzione.
6° Fornire il Feed Back. Fondamentale per la verifica concreta. Significa operare per ottenere sempre un riscontro costantemente positivo da parte dell'allievo. Ricordiamo che il feed back è l'anima della didattica.
7° Valutare la performance. Più precisi e dettagliati sono gli obiettivi, più precisa e dettagliata sarà la valutazione della prestazione operativa in termini di comportamento (performance), che l'allievo deve essere in grado di fornire.
8° Provvedere al transfer. Significa porre quanti più esercizi possibili all'allievo. Esercizi che devono essere posti in maniera individuale e non generica.
Esistono tre tipi possibili di transfer:
- Docente - discente
- Discente - discente
- Discente - attività operativa pratica.
Il primo tipo risponde alle seguenti domande:
"l'allievo ha compreso l'argomento o non lo ha compreso?"
"lo ha trasferito internamente a se stesso?" (transfer logico)
Il secondo tipo risponde alle seguenti domande:
"l'allievo è capace di trasferire l'argomento appreso agli altri?"
"l'allievo è capace di comunicarlo agli altri?"
(transfer comunicativo)
Il terzo tipo risponde alla seguenti domande:
"l'allievo sa applicare praticamente quanto appreso?"
"l'allievo sa trasferire in ambito operativo il sapere appreso?"
(transfer operativo)
Per verificare le domande di cui sopra bisogna porre degli opportuni esercizi
9° Assicurare la ritenzione. Permanenza a lungo termine nella memoria
dell'apprendimento acquisito. Quando è avvenuto un apprendimento
significativo.
MAPPE CONCETTUALI
Con l'espressione "mappe concettuali" si intende un tipo di rielaborazione
specifico, diverso dai semplici schemi in quanto, risultando da strategie
di organizzazione dei dati, aiuta ad "imparare ad imparare". L'apprendimento,
in questo senso, è acquisizione di abilità procedurali e
il discente impara in quanto è in grado di rielaborare da sé
il materiale di studio e se apprende, appunto, strategie di rielaborazione.
Una mappa è fondamentalmente una struttura concettuale organizzata
secondo una determinata finalità; si può schematizzare questo
procedimento in tre punti:
1. individuare i concetti fondamentali e le corrispondenti parole chiave.
2. Stabilire le connessioni tra i concetti
3. Organizzare reti concettuali che colleghino i diversi elementi in
una struttura unitaria e significativa
L'utilità delle mappe concettuali è strettamente legata
alla loro produzione, cioè l'allievo impara sviluppandole autonomamente.
Compito dell'insegnante sarà quello di sviluppare il confronto critico
fra le varie strategie di rielaborazione.
ORIENTAMENTI BIBLIOGRAFICI
Ferdinando Dubla: "I principi costitutivi della metodologia della comunicazione
nella didattica", dispensa Mariscuola, 1997
Anche scaricabile in Internet all'indirizzo
http://venus.unive.it/
digita poi ~fasolo/filosofia/
Ferdinando Dubla: "Corso sugli elementi fondamentali della Didattica e della Metodologia della Comunicazione - Appunti e promemoria per futuri formatori", testo di supporto a CD-rom titolo omonimo, Micla multimedia, 1997
Testi per lo studio e l'approfondimento delle unità didattiche:
- Lino Rossi: "Comunicazione didattica e tecnologie dell'istruzione",
Paravia, 1999;
- G.Genovesi-M.Righetti: "La didattica - Lineamenti storici dal XIX
secolo ai nostri giorni", Paravia, 1999;
Testi di consultazione generale:
- La didattica: parole e idee- Dizionario di didattica", a cura di
Benedetto Vertecchi, Paravia, 1999;
- L.Trisciuzzi: "Psicologia, Educazione, Apprendimento - Manuale di
Psicopedagogia", Giunti, 1991;
- Zeller/Zonca: "Elementi di psicologia", Sansoni, 1995
Approfondimenti tematici specifici:
- Ferdinando Dubla: "Metodo come creatività e liberazione- Sul rapporto tra strategie didattiche e processi cognitivi", Taranto, 1997;
- Ferdinando Dubla: "Introduzione al ruolo del formatore militare
in connessione con i principi della didattica generale contemporanea",
Taranto, 1996
Informazioni a:
dubladidattica@tin.it