DIDATTICA: Materiali
 

UN ESEMPIO DI TESINA
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Esercitazione didattica sull’interpretazione testuale e contestuale

(a cura del prof. Ferdinando Dubla)

 

Jerome Bruner e la cultura dell’educazione

 

Biografia, antologia e commento

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Jerome Seymour Bruner (New York, 1915),

  è stato professore di psicologia all’Università di Harvard.; attualmente professore emerito alla New York University Dopo le prime ricerche sulle conseguenze del dopoguerra nella psicologia sociale,  B. si è occupato costantemente di processi percettivi e dell’influenza dei fattori sociali nello sviluppo cognitivo. Il suo nuovo indirizzo di ricerche, che contrastava il comportamentismo pragmatista (fino a giungere alla polemica distanza dal “gigante” della pedagogia americana, J.Dewey) fu chiamato New look on perception, e sosteneva, tra l’altro, la continuità tra l’attività percettiva e quella concettuale.Nel 1959 fu animatore della Conferenza di Woods Hole, tesa a migliorare e rendere più efficienti  i programmi scolastici e i metodi di insegnamento. Nell’analisi dei processi di apprendimento, è partito dalla prospettiva di J.Piaget, per cercare successivamente di “ampliarne” la prospettiva con la decisiva influenza, per B., dei fattori socio-culturali rispetto a quelli genetici. L’ultimo lavoro di Bruner, La cultura dell’educazione (1996), conferma la fondazione e il tentativo di sviluppo della prospettiva psicologico-culturale sull’educazione. I tratti distintivi della sua teoretica e prassi educativa sono:

-         B. riafferma il primato del pensiero sull’attività umana, individuale e sociale;

-         Importanza della categorizzazione dell’oggetto: la categorizzazione inizia già nel momento percettivo e dunque il soggetto è agente di percezione, la percezione è attiva e non passiva;

-         Il pensiero analitico e razionale deve essere affiancato dal pensiero intuitivo e creativo, due sfere indispensabili per l’attività cognitiva.

Per liberarsi dalle accuse di essere uno dei portavoce della cultura dominante mercantile nell’educazione, B. prende le distanze da Dewey e dal suo concetto di adattamento: l’ideale educativo come adattamento sociale è troppo limitativo, in quanto preclude all’individuo la critica dell’eredità e del patrimonio culturale e la ricerca di alternative alla cultura esistente. La passività e la subalternità dell’adattamento sociale sono propri di un certo comportamentismo pragmatista.

B. è giunto negli ultimi tempi alla psicologia culturale anche per la sua grande sensibilità per i temi del multiculturalismo, dell’integrazione e delle eguali opportunità per i soggetti delle classi svantaggiate: e si comprende la sua insistenza sulla scuola come strumento e organo privilegiato per il miglioramento e la radicale trasformazione dell’educazione e della società.

Principali opere:

Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture (1964)

Lo sviluppo cognitivo (1966) Il conoscere. Saggi per la mano sinistra (1968)

Il significato dell’educazione (1971) La mente a più dimensioni (1984)

Verso una teoria dell’istruzione (1991) La ricerca del significato. Per una psicologia culturale (1992) La cultura dell’educazione (1996)

 

  ANTOLOGIA da LA CULTURA DELL’EDUCAZIONE (1996), trad. italiana Feltrinelli, 1997 (7^ ed.2000)

 

1. sintesi

“Più come post scriptum che come conclusione generale, vorrei fare un’ultima riflessione sull’insieme dei principi che ho illustrato nello spirito di una prospettiva psicologico-culturale sull’educazione. Mi rendo conto, rileggendoli, di quanto pongano l’accento sul valore della coscienza, della riflessione, di un dialogo ampio e della negoziazione. In tutti i sistemi che dipendono da un’autorità, anche da un’autorità legittima e rappresentativa, tutti questi fattori sembrano presentare dei rischi perché aprono una discussione sull’autorità costituita. E sono pericolosi. L’educazione è pericolosa, perché alimenta il senso della possibilità. Ma mancare l’obiettivo di attrezzare le menti con le abilità necessarie per capire, sentire e agire nel mondo della cultura non significa semplicemente ottenere un risultato nullo dal punto di vista pedagogico. Significa anche correre il rischio di creare alienzazione, atteggiamenti di sfida e incompetenza pratica. Tutte cose che minano la validità di una cultura.

Vorrei tornare infine al tema con cui ho aperto questo ca­pitolo. Ho cercato di dimostrare, all’inizio, che l’educazione non è semplicemente una questione tecnica di buona gestione dell’elaborazione delle informazioni, né si può limitare all’applicazione di “teorie dell’apprendimento” o all’impiego dei ri­sultati di un “test delle prestazioni” centrato su soggetto. E’ in­vece un’attività complessa, che si propone di adattare una cul­tura alle esigenze dei suoi membri e di adattare i suoi membri e i loro modi di conoscere alle esigenze della cultura. (..)

pp.55/56, sottolineature nostre

 

2.      La realtà scolastica

“La realtà scolastica, naturalmente, non è mai legata a un unico modello di discente o a un unico modello di insegna­mento. Per lo più l’educazione quotidiana nelle scuole si pro­pone di coltivare competenze e abilità, di impartire una co­noscenza di fatti e di teorie e di stimolare la comprensione delle convinzioni e delle intenzioni sia di chi è vicino che di chi è lontano. Qualsiasi scelta pedagogica pratica comporta un modo di concepire il discente e, col tempo, può essere adottata da lui o da lei come il modo adeguato di riflettere sul processo di apprendimento. Perché una scelta pedagogi­ca comunica inevitabilmente una concezione del processo di apprendimento e del soggetto dell’apprendimento. La peda­gogia non è mai ingenua. E uno strumento che trasmette un proprio messaggio.”

pag.76

 

3. processo dialogico

  “Nella visione che presuppone un intervento attivo la mente viene concepita come proattiva, orientata ai problemi, selettiva, interpretativa, diretta verso gli scopi. Quello che “entra nella” mente è più una funzione delle ipotesi fatte che non di ciò che bombarda il sistema sensoriale. Decisioni, strategie, euristica: sono questi i concetti chiave dell’approccio attivo alla mente. Grazie a un’intera generazione di ricercatori, (..) è stato rilevato che anche la vita dei neonati umani è molto più attiva di quanto si pensasse.

Adesso sta emergendo anche che l’idea di una mente come agente solitario è molto fuori strada, ed è probabilmente la proiezione della nostra ideologia occidentale individualistica. Non impariamo un modo di vivere e dei modi di dispiegare la mente senza assistenza, senza aiuto, nudi davanti al mondo. Questo non deriva dalla semplice acquisizione del linguaggio. E’ piuttosto il dare e prendere del dialogo che rende possibile la collaborazione. Perché la mente, intesa come agente, non è attiva  solo nella natura, ma ricerca il dialogo e il discorso con altre menti attive. Ed è attraverso questo processo dialogico, discorsivo che giungiamo a conoscere l’Altro e i suoi punti di vista, le sue storie. Attraverso il discorso con gli Altri impariamo una quantità enorme di cose non solo sul mondo, ma anche su noi stessi.”

pag.106

[su questo tema vedi in questo stesso sito Io psicologico e filosofia di Mead]

 

4. definizioni di cultura

  “Ora, la scuola è essa stessa cultura, e non solo una “preparazione” per la cultura, un riscaldamento. Come amano dire alcuni antropologi, la cultura è una cassetta degli attrezzi di tecniche e di procedure per capire e gestire il proprio mondo. Ed era in questo senso procedurale che intendevo il fatto cui accennavo in precedenza, vale a dire che un esame più approfondito della struttura narrativa può aiutare gli studenti a capire le storie che costruiscono sul proprio mondo. Ovvia­mente le semplici procedure tradizionali di cui parlavo posso­no essere potenziate mediante il ricorso alle nuove tecnologie, che possono aiutare gli studiosi a padroneggiare le attività in­terpretative: strumenti di ricerca ad alto potenziale come i CD-ROM, oppure strumenti analitici come gli ipertesti, stru­menti organizzativi con strutture ramificate, e via dicendo. I bambini imparano rapidamente a usare questi ausili tecnici e a mettere in comune con altri i risultati che hanno ottenuto.

Ma il punto non è la tecnologia protesica, anche se è essenziale per una cultura. Il punto è la metodologia di ricerca, di uso della mente, che è centrale per il mantenimento di una collettività interpretativa e di una cultura democratica. Un primo passo può essere quello di scegliere i problemi cruciali, in particolare quelli che provocano il cambiamento nella nostra cultura. Facciamo in modo che quei problemi e le nostre pro­cedure per riflettere su di essi entrino a far parte della scuola e del lavoro che si svolge in classe. Questo non significa che la scuola debba diventare un luogo di riunione dove discutere dei fallimenti della cultura. Ma come Ann Brown, che nella sua classe di Oakland utilizzò un fatto agghiacciante come il disastro della petroliera Exxon Valdez per indagare sui proble­mi dell’habitat umano, anche noi dovremmo cominciare la no­stra esplorazione della condizione umana Passata, Presente e Possibile partendo dai problemi che rendono questo argomento più che mai attuale. Come abbiamo fatto, ad esempio, partendo dall’affermazione che “tutti gli uomini sono stati creati liberi e uguali” ad arrivare allo squilibrio del nostro si­stema di distribuzione della ricchezza? Ricordiamo quello che ho detto prima: la crisi è il motore della narrativa e la giustificazione per rendere pubblica una storia. E la folata della crisi che ci induce a cercare nella narrazione gli elementi che la costituiscono e che ne sono responsabili, al fine di convertire la crisi grezza in un problema gestibile che può essere trattato con piglio ed energia procedurale.

Fin qui niente di nuovo. La cultura non è altro che questo; non è costituita semplicemente da poemi antropologicì scritti in prosa su situazioni esemplari, ma è un modo di venire a capo dei problemi umani, delle transazioni umane di ogni tipo,rappresentate in forma simbolica.” (..)

  pag.111, sottolineature nostre

 

COMMENTO

Il primo e più evidente elemento costitutivo dell'educazione è dato dal fatto che essa è un "rapporto", una "relazione reciproca" fondata sulla "comunicazione interpersonale" tra almeno due soggetti: l'educatore e l'allievo.

Certamente non ci può essere educazione al di fuori di una relazione interpersonale che, nel suo essere "possibilità", può concretizzarsi in molteplici modalità. Così come è impensabile che essa non dia luogo ad un fenomeno di socializzazione e di inculturazione/acculturazione.

 

 La ricerca sulle finalità in educazione

In che senso Bruner lavora alla sua teoria dell’istruzione come se fosse una teoria dell’educazione? In che senso egli attribuisce alla teoria dell’istruzione un carattere “ scientificamente “ fondato? Che cosa egli intende per “teoria”, e che ruolo giuoca , nel suo lavoro scientifico, la base empirica della teoria, le scelte euristiche, le regole di indagine, la storia esterna del problema? E in che modo egli giustifica a se stesso il passaggio da un quadro indagativo e descrittivo, di carattere eminentemente psicologico, sui processi dello sviluppo mentale, ad un quadro esplicativo - interpretativo dei processi educativi? In che modo cioè egli spiega quei particolarissimi eventi di trasformazione culturale, linguistica e sociale che l’educazione dichiara di produrre in ogni caso? E quale ruolo egli assegna ai processi intenzionali che animano lo spazio intersoggettivo e responsabile della comunicazione umana?

  Le opere più recenti di J. Bruner,  Acts of Mind e The Culture of Education,  riprendono e sviluppano, portandoli alle estreme conseguenze, gli assunti che hanno guidato la rivoluzione cognitiva nella psicologia contemporanea e di cui Bruner è stato uno dei corifei più importanti. Ciò che, tuttavia, insieme distingue e qualifica la sua proposta per la prospettiva pedagogica è lo spostamento del baricentro dell’indagine psicologica che egli promuove: dall’analisi delle rappresentazioni mentali a quella delle pratiche dialogiche come spazio originario e costituivo dei processi di costruzione del Sé. L’analisi delle implicazioni di tale assunto è centrale per le teorie della formazione.

  I nodi

·      Dalle rappresentazioni mentali alle pratiche dialogiche. La svolta di Bruner costituisce la terza rivoluzione psicologica

·      I condizionamenti culturali sono intesi come schemi cognitivi.

·      La natura metacognitiva dei condizionamenti culturali ne fa materia dei processi di apprendimento.

·      Ma i condizionamenti culturali sono le pratiche d’azione del nostro conoscere ed esperire quotidiano. Esse hanno trama narrativa. Le loro relazioni fanno la trama di comunicazione tra i saperi e le forme di vita.

I concetti di mappe cognitive e di modelli mentali consentono di analizzare e spiegare le forme di apprendimento prossimale attraverso cui matura la formazione del Sé.

  I nuovi traguardi formativi rispondono ormai ad una cifra comune, sintetizzabile nei seguenti :

1 - Imparare ad incardinare esperienze di ricerca, progettazione e azione intorno a concetti-base capaci di essere chiavi interpretative della realtà tecnologica, culturale e linguistica che ci circonda, utilizzando al contempo, con un approccio continuo “a geometria variabile”, modelli aperti e multipolari per il nostro orientamento e per le nostre scelte e decisioni;

2 - Abituarsi a fare dell'approccio basato su modelli e paradigmi il punto di comunicazione e di raccordo tra le varie culture e i diversi saperi, in modo da facilitare una riorganizzazione unitaria delle nostre basi di conoscenza ; e questo affinché i diversi stadi di sviluppo della civiltà possano essere da noi rivissuti e compresi attraverso filtri multilaterali, capaci cioè di offrirci senso e misura dei limiti, degli sviluppi e delle sinergie tra i linguaggi e le culture;

3 - Sviluppare una forma mentis capace di riconoscere le interdipendenze esistenti tra sviluppo della mente ed evoluzione della vita e dell'ambiente tanto negli individui che nelle culture, e con essa maturare stili personali di competenza comunicativa e di realizzazione del Sé.

Di tutto questo la società mondiale è oggi consapevole e portatrice. In questo si inscrive il destino di mobilità culturale, professionale e geografica che tutti ci accomuna. Con conseguenze per la formazione e lo sviluppo personale del Sé in ciascuno di noi che J. Bruner ha individuato e indagato anzitempo. Molto dell’attualità delle prospettive bruneriane è dovuto alle trasformazioni multiculturali e multietniche che hanno interessato la società americana dalla Guerra del Vietnam ad oggi.

Ogni atto privato è già un atto pubblico. Ogni scelta privata matura su un piano ed entro contesti di responsabilità pubblica.

E’ qui il succo di quella svolta che Bruner impone alle prospettive della ricerca psicologica e formativa degli ultimi anni.

  Il disagio di comunicare ha le proprie radici in due terreni diversi e complementari che riguardano e le "abilitá" linguistiche, e l'atteggiamento verso l'esperienza del comunicare. Nel primo caso rientrano tutti quei soggetti che, per una molteplicità di ragioni, hanno, ad un dato momento della vita, un linguaggio scarsamente organizzato, di efficacia limitata, perché utilizzato "non per segnalare e simbolizzare abbastanza esplicitamente la separazione e la diversità dell'individuo, ma per accrescere il consenso". Possedere scarsi strumenti per comunicare verbalmente conduce ad una scadente qualità della vita.

Ma, per converso considerare la comunicazione verbale come qualcosa di superfluo o pericoloso è una condizione che indirizza verso comportamenti relazionali di forte disagio psicologico e di difficoltà non solo nella propria socializzazione, ma anche nella partecipazione attiva al consenso.

Gli studi che vedono uno stretto parallelismo tra il tipo di abilitá linguistica posseduta e, in qualche misura, la collocazione socioculturale del soggetto sono numerosi e, nella maggior parte, orientati ad individuare approcci educativi favorevoli a "ridurre" lo svantaggio dei soggetti provenienti dalle classi subalterne, in modo che anche per essi sia ipotizzabile una migliore qualità della vita.

Gli individui, non solo si differenziano in rapporto al comportamento linguistico, per età, sesso e gruppo etnico - che sono tutti fattori di carattere "naturale - sociale, ma anche per quei fattori che sono di ordine esclusivamente sociale, e cioè la classe socioeconomica e il livello di istruzione.

 

 

 

Bibliografia

Bruner, J.S. (1996) The Culture of Education. Cambridge, MA: Harvard University Press

Per l'aspetto "liberante" della relazione educativa si veda: B. ROSSI, Intersoggettività e educazione, Brescia, ed. La Scuola, 1992, pp. 185-240. Per una analisi psicopedagogica sulla relazione educativa si veda H. FRANTA, Atteggiamenti dell'educatore. Teoria e training per la prassi educativa, Roma, ed. LAS, 1988: "La comunicazione pedagogica si presenta come un processo molto complesso in cui possiamo globalmente distinguere aspetti contenutistici (...) e relazionali, cioè fenomeni legati al rapporto interpersonale. Entrambe le dimensioni sono interdipendenti e vengono a costituire, nella loro reciproca dinamica, l'interazione educativa" (p. 9). Per una riflessione sulla relazione educativa in ambito scolastico si veda M. POSTIC, La relazione educativa. Oltre il rapporto maestro-scolaro, Roma, ed. Armando, 1983, prima rist. 1986, [ed. or. La relation éducative, Paris, ed. Presses Universitaires de France, 1979]. Per una lettura storico-filosofica della natura relazionale dell'educazione, con riferimenti al pensiero di G. Gentile, G. M. Bertin, M. Peretti e G. Flores D'Arcais si veda C. XODO CEGOLON, Trasparenze. Studi sulla comunicazione educativa, Padova, ed. Cleup, 1992, pp. 52-56. In un'altra sua opera C. XODO CEGOLON definisce il rapporto educativo come "entità minima elementare complessa, sotto la quale la pedagogia non può scendere, pena la trasformazione dell'oggetto della sua ricerca"(Educazione senza banalità, op. cit., p. 78).

  W. Brezinka, La scienza dell'educazione, Armando, Roma 1986,. pp. 127-202

S. De Giacinto, Educazione come sistema, La Scuola Editrice, Brescia, 1976)

P. Bertolini, L'esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1990

A.Musgrave, (a cura di), Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1980

 



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