UN ESEMPIO DI TESINA
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Esercitazione didattica sull’interpretazione testuale e
contestuale
(a cura del prof. Ferdinando Dubla)
Jerome
Bruner e la cultura dell’educazione
Biografia, antologia e commento
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Jerome
Seymour Bruner (New York, 1915),
-
B.
riafferma il primato del pensiero sull’attività umana, individuale e sociale;
-
Importanza
della categorizzazione dell’oggetto: la categorizzazione inizia già
nel momento percettivo e dunque il soggetto è agente di percezione, la
percezione è attiva e non passiva;
-
Il pensiero
analitico e razionale deve essere affiancato dal pensiero intuitivo e creativo,
due sfere indispensabili per l’attività cognitiva.
Per liberarsi dalle accuse di essere uno dei portavoce della cultura
dominante mercantile nell’educazione, B. prende le distanze da Dewey e dal suo
concetto di adattamento: l’ideale educativo come adattamento sociale è
troppo limitativo, in quanto preclude all’individuo la critica dell’eredità
e del patrimonio culturale e la ricerca di alternative alla cultura esistente.
La passività e la subalternità dell’adattamento sociale sono propri di un
certo comportamentismo pragmatista.
B. è giunto negli ultimi tempi alla psicologia culturale anche per la
sua grande sensibilità per i temi del multiculturalismo, dell’integrazione e
delle eguali opportunità per i soggetti delle classi svantaggiate: e si
comprende la sua insistenza sulla scuola come strumento e organo privilegiato
per il miglioramento e la radicale trasformazione dell’educazione e della
società.
Principali opere:
Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture (1964)
Lo sviluppo cognitivo (1966) Il conoscere. Saggi per la mano sinistra (1968)
Il significato dell’educazione (1971) La mente a più dimensioni (1984)
Verso una teoria dell’istruzione (1991) La ricerca del significato. Per una psicologia culturale
(1992) La cultura dell’educazione (1996)
1. sintesi
“Più
come post scriptum che come conclusione generale, vorrei fare un’ultima
riflessione sull’insieme dei principi che ho illustrato nello spirito di una
prospettiva psicologico-culturale sull’educazione. Mi rendo conto,
rileggendoli, di quanto pongano l’accento sul valore della coscienza, della
riflessione, di un dialogo ampio e della negoziazione. In tutti i sistemi che
dipendono da un’autorità, anche da un’autorità legittima e
rappresentativa, tutti questi fattori sembrano presentare dei rischi perché
aprono una discussione sull’autorità costituita. E sono pericolosi.
L’educazione è pericolosa, perché alimenta il senso della possibilità. Ma
mancare l’obiettivo di attrezzare le menti con le abilità necessarie per
capire, sentire e agire nel mondo della cultura non significa semplicemente
ottenere un risultato nullo dal punto di vista pedagogico. Significa anche
correre il rischio di creare alienzazione, atteggiamenti di sfida e incompetenza
pratica. Tutte cose che minano
la validità di una cultura.
Vorrei tornare infine
al tema con cui ho aperto questo capitolo. Ho cercato di dimostrare,
all’inizio, che l’educazione non è semplicemente una questione tecnica
di buona gestione dell’elaborazione delle informazioni, né si può
limitare all’applicazione di “teorie
dell’apprendimento” o all’impiego dei risultati di un “test delle
prestazioni” centrato su soggetto. E’ invece un’attività complessa, che
si propone di adattare una cultura alle esigenze dei suoi membri e di adattare
i suoi membri e i loro modi di conoscere alle esigenze della cultura. (..)
pp.55/56,
sottolineature
nostre
2.
La realtà scolastica
“La realtà
scolastica, naturalmente, non è mai legata a un unico modello di discente o a
un unico modello di insegnamento. Per lo più l’educazione quotidiana nelle
scuole si propone di coltivare competenze e abilità, di impartire una conoscenza
di fatti e di teorie e di stimolare la comprensione delle convinzioni e delle
intenzioni sia di chi è vicino che di chi è lontano. Qualsiasi scelta
pedagogica pratica comporta un modo di concepire il discente e, col tempo, può
essere adottata da lui o da lei come il modo adeguato di riflettere sul processo
di apprendimento. Perché una scelta pedagogica comunica inevitabilmente una
concezione del processo di apprendimento e del soggetto dell’apprendimento. La
pedagogia non è mai ingenua. E uno strumento che trasmette un proprio
messaggio.”
pag.76
3. processo dialogico
Adesso sta emergendo anche che l’idea di una mente come agente solitario è molto fuori strada, ed è probabilmente la proiezione della nostra ideologia occidentale individualistica. Non impariamo un modo di vivere e dei modi di dispiegare la mente senza assistenza, senza aiuto, nudi davanti al mondo. Questo non deriva dalla semplice acquisizione del linguaggio. E’ piuttosto il dare e prendere del dialogo che rende possibile la collaborazione. Perché la mente, intesa come agente, non è attiva solo nella natura, ma ricerca il dialogo e il discorso con altre menti attive. Ed è attraverso questo processo dialogico, discorsivo che giungiamo a conoscere l’Altro e i suoi punti di vista, le sue storie. Attraverso il discorso con gli Altri impariamo una quantità enorme di cose non solo sul mondo, ma anche su noi stessi.”
pag.106
[su questo tema
vedi in questo stesso sito Io psicologico e filosofia
di Mead]
4. definizioni di cultura
Ma il punto non è la
tecnologia protesica, anche se è essenziale per una cultura. Il punto è la
metodologia di ricerca, di uso della mente, che è centrale per il mantenimento
di una collettività interpretativa e di una cultura democratica. Un primo
passo può essere quello di scegliere i problemi cruciali, in particolare quelli
che provocano il cambiamento nella nostra cultura. Facciamo in modo che quei
problemi e le nostre procedure per riflettere su di essi entrino a far parte
della scuola e del lavoro che si svolge in classe. Questo non significa che la
scuola debba diventare un luogo di riunione dove discutere dei fallimenti della
cultura. Ma come Ann Brown, che nella sua classe di Oakland utilizzò un fatto
agghiacciante come il disastro della petroliera Exxon Valdez per indagare sui
problemi dell’habitat umano, anche noi dovremmo cominciare la nostra
esplorazione della condizione umana —
Passata,
Presente e Possibile — partendo
dai problemi che rendono questo argomento più che mai attuale. Come abbiamo
fatto, ad esempio, partendo dall’affermazione che “tutti gli uomini sono
stati creati liberi e uguali” ad arrivare allo squilibrio del nostro sistema
di distribuzione della ricchezza? Ricordiamo quello che ho detto prima: la crisi
è il motore della narrativa e la giustificazione per rendere pubblica una
storia. E la folata della crisi che ci induce a cercare nella narrazione gli
elementi che la costituiscono e che ne sono responsabili, al fine di convertire
la crisi grezza in un problema gestibile che può essere trattato con piglio ed
energia procedurale.
Fin qui niente di
nuovo. La cultura non è altro che questo; non è costituita semplicemente da
poemi antropologicì scritti in prosa su situazioni esemplari, ma è un modo
di venire a capo dei problemi umani, delle transazioni umane di ogni tipo,rappresentate
in forma simbolica.” (..)
Il primo e più evidente elemento costitutivo dell'educazione è
dato dal fatto che essa è un "rapporto", una "relazione
reciproca" fondata sulla "comunicazione interpersonale" tra
almeno due soggetti: l'educatore e l'allievo.
Certamente non ci può essere educazione al di fuori di una
relazione interpersonale che, nel suo essere "possibilità", può
concretizzarsi in molteplici modalità. Così come è impensabile che essa non
dia luogo ad un fenomeno di socializzazione e di inculturazione/acculturazione.
La
ricerca sulle finalità in educazione
In
che senso Bruner lavora alla sua teoria dell’istruzione come se fosse una
teoria dell’educazione? In che senso egli attribuisce alla teoria
dell’istruzione un carattere “ scientificamente “ fondato? Che cosa egli
intende per “teoria”, e che ruolo giuoca , nel suo lavoro scientifico, la
base empirica della teoria, le scelte euristiche, le regole di indagine, la
storia esterna del problema? E in che modo egli giustifica a se stesso il
passaggio da un quadro indagativo e descrittivo, di carattere eminentemente
psicologico, sui processi dello sviluppo mentale, ad un quadro esplicativo -
interpretativo dei processi educativi? In che modo cioè egli spiega quei
particolarissimi eventi di trasformazione culturale, linguistica e sociale che
l’educazione dichiara di produrre in ogni caso? E quale ruolo egli assegna ai
processi intenzionali che animano lo spazio intersoggettivo e responsabile della
comunicazione umana?
·
Dalle
rappresentazioni mentali alle pratiche dialogiche. La svolta di Bruner
costituisce la terza rivoluzione psicologica
·
I
condizionamenti culturali sono intesi come schemi cognitivi.
·
La natura
metacognitiva dei condizionamenti culturali ne fa materia dei processi di
apprendimento.
·
Ma i
condizionamenti culturali sono le pratiche d’azione del nostro conoscere ed
esperire quotidiano. Esse hanno trama narrativa. Le loro relazioni fanno la
trama di comunicazione tra i saperi e le forme di vita.
I
concetti di mappe cognitive e di modelli mentali consentono di analizzare e
spiegare le forme di apprendimento prossimale attraverso cui matura la
formazione del Sé.
1
- Imparare ad incardinare esperienze di ricerca, progettazione e azione
intorno a concetti-base capaci di essere chiavi interpretative della
realtà tecnologica, culturale e linguistica che ci circonda, utilizzando al
contempo, con un approccio continuo “a geometria variabile”, modelli aperti
e multipolari per il nostro orientamento e per le nostre scelte e decisioni;
2
- Abituarsi a fare dell'approccio basato su modelli e paradigmi il punto
di comunicazione e di raccordo tra le varie culture e i diversi saperi,
in modo da facilitare una riorganizzazione unitaria delle nostre basi di
conoscenza ; e questo affinché i diversi stadi di sviluppo della civiltà
possano essere da noi rivissuti e compresi attraverso filtri multilaterali,
capaci cioè di offrirci senso e misura dei limiti, degli sviluppi e delle
sinergie tra i linguaggi e le culture;
3
- Sviluppare una forma mentis capace di riconoscere le interdipendenze
esistenti tra sviluppo della mente ed evoluzione della vita e dell'ambiente
tanto negli individui che nelle culture, e con essa maturare stili
personali di competenza comunicativa e di realizzazione del Sé.
Di
tutto questo la società mondiale è oggi consapevole e portatrice. In questo si
inscrive il destino di mobilità culturale, professionale e geografica che tutti
ci accomuna. Con conseguenze per la formazione e lo sviluppo personale del Sé
in ciascuno di noi che J. Bruner ha individuato e indagato anzitempo. Molto
dell’attualità delle prospettive bruneriane è dovuto alle trasformazioni
multiculturali e multietniche che hanno interessato la società americana dalla
Guerra del Vietnam ad oggi.
Ogni
atto privato è già un atto pubblico. Ogni scelta privata matura su un piano ed
entro contesti di responsabilità pubblica.
E’
qui il succo di quella svolta che Bruner impone alle prospettive della ricerca
psicologica e formativa degli ultimi anni.
Ma,
per converso considerare la comunicazione verbale come qualcosa di superfluo o
pericoloso è una condizione che indirizza verso comportamenti relazionali di
forte disagio psicologico e di difficoltà non solo nella propria
socializzazione, ma anche nella partecipazione attiva al consenso.
Gli
studi che vedono uno stretto parallelismo tra il tipo di abilitá linguistica
posseduta e, in qualche misura, la collocazione socioculturale del soggetto sono
numerosi e, nella maggior parte, orientati ad individuare approcci educativi
favorevoli a "ridurre" lo svantaggio dei soggetti provenienti dalle
classi subalterne, in modo che anche per essi sia ipotizzabile una migliore
qualità della vita.
Gli
individui, non solo si differenziano in rapporto al comportamento linguistico,
per età, sesso e gruppo etnico - che sono tutti fattori di carattere
"naturale - sociale, ma anche per quei fattori che sono di ordine
esclusivamente sociale, e cioè la classe socioeconomica e il livello di
istruzione.
Bruner, J.S. (1996) The Culture of Education.
Cambridge, MA: Harvard University Press
Per
l'aspetto "liberante" della relazione educativa si veda: B. ROSSI, Intersoggettività
e educazione, Brescia, ed. La Scuola, 1992, pp. 185-240. Per una analisi
psicopedagogica sulla relazione educativa si veda H. FRANTA, Atteggiamenti
dell'educatore. Teoria e training per la prassi educativa, Roma, ed. LAS,
1988: "La comunicazione pedagogica si presenta come un processo molto
complesso in cui possiamo globalmente distinguere aspetti contenutistici (...) e
relazionali, cioè fenomeni legati al rapporto interpersonale. Entrambe le
dimensioni sono interdipendenti e vengono a costituire, nella loro reciproca
dinamica, l'interazione educativa" (p. 9). Per una riflessione sulla
relazione educativa in ambito scolastico si veda M. POSTIC, La
relazione educativa. Oltre il rapporto maestro-scolaro, Roma, ed. Armando,
1983, prima rist. 1986,
[ed. or. La relation éducative, Paris,
ed. Presses Universitaires de France, 1979]. Per
una lettura storico-filosofica della natura relazionale dell'educazione, con
riferimenti al pensiero di G. Gentile, G. M. Bertin, M. Peretti e G. Flores D'Arcais
si veda C. XODO CEGOLON, Trasparenze.
Studi sulla comunicazione educativa, Padova, ed. Cleup, 1992, pp. 52-56. In
un'altra sua opera C. XODO CEGOLON definisce il rapporto educativo come
"entità minima elementare complessa, sotto la quale la pedagogia non può
scendere, pena la trasformazione dell'oggetto della sua ricerca"(Educazione
senza banalità, op. cit., p. 78).
S. De Giacinto,
Educazione come sistema, La Scuola Editrice, Brescia, 1976)
P. Bertolini, L'esistere
pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente
fondata, La Nuova Italia, Scandicci
(Firenze), 1990
A.Musgrave, (a cura di), Critica
e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1980