DIDATTICA: Scienza dell'Organizzazione

 

Erodoto, (484/424 a.C.) padre della scienza storica

materiali liberamente utilizzabili, citando la fonte

  Ferdinando Dubla

PROMEMO

sui princìpi di

SCIENZA DELL’ORGANIZZAZIONE

Edizione 2000

 

 

PRINCIPI DI SCIENZA DELL’ORGANIZZAZIONE

 

prof. Ferdinando Dubla                                           

corsi  Mariscuola Taranto

 

Avvertenze:

il riferimento semplice alle pagine deve intendersi al testo-guida di questo promemoria:

M.Caltabiano: Comandanti e dirigenti - Management in un’ottica militare, Il Sole-24 ore, 1991

La sigla SIN preceduta da un numero di paragrafo, si riferisce alla sintesi dello stesso testo-guida, elaborata dal dott. Walter Amorosini, per il gruppo-docenti del corso S-AIT/ Mariscuola-Taranto, anno 1997.

Paragrafi relativi alla SIN:

par.1 - Organizzare

par.2 - Decidere

par.5 - Comunicare

par.6 - Dirigere

 

INDICE

  Introduzione....................2

  Organizzazione:

1. I quattro principi fondamentali (4)

2. L’autorità (5)

3. L’influenza e il potere (5)

4. La responsabilità (6)

5. Le possibili forme organizzative (6)

6. L’organizzazione formale e informale (7)

7. La struttura organizzativa (7)

  Decidere:

1./2. Definizione e analisi del problema (8)

3. Ricerca o sviluppo delle soluzioni possibili (9)

4. Scelta della soluzione (10)

5. L’azione o l’attuazione della decisione (10)

  Comunicare:

1./2. Funzioni e responsabilità del comunicare (11)

3. I problemi delle comunicazioni (12)

4. L’efficacia delle comunicazioni (13)

5. Le comunicazioni e la struttura dell’organizzazione (14)

6. Il flusso delle comunicazioni (14)

  Dirigere:

1. Comunicare per dirigere (16)

2. Motivare per dirigere (18)

3. Guidare per dirigere (21)

  ITEMS di controllo   (23)

Introduzione

Scienza dell’organizzazione: scienza o arte?

Scienza= legata alla verifica empirica e sperimentale (in termini di efficacia)

Arte=creatività e tecniche applicative

Continuo bilancio delle esperienze e rivalutazione del concetto di qualità

riportare la qualità dell’organizzare nelle strutture militari

Scienza dell’organizzazione e teoria del management

dirigenti-comandanti-manager: “coloro che hanno il compito di organizzare le attività dei singoli per conseguire degli obiettivi” [pag.9]

Rapporto organizzazione/lavoro: lavoro organizzato perchè lavoro collettivo:

“Non più lavoro isolato, quindi, ma lavoro in comune; a stretto contatto con altri esseri umani che, anche se con compiti e mansioni differenti, concorrono al perseguimento degli stessi obiettivi” [pag.11]

Per quanto organizzato, nelle strutture organizzative operano uomini (ritorna il problema scienza/arte, verifica di efficacia-creatività)

Definizione di Presthus di ORGANIZZAZIONE:

“l’ORGANIZZAZIONE PUO’ DEFINIRSI COME UN SISTEMA DI RELAZIONI STRUTTURALI FRA PERSONE (...) gli individui si differenziano per attività, il ruolo e lo stato in modo da rendere necessaria un’interazione fra le varie persone (..)Hanno tendenza a svilupparsi reazioni prevedibili e l’ambiguità e la spontaneità vengono ad essere diminuite” [pag.12]

Definizione Caltabiano di ORGANIZZAZIONE:

“Definiamo ORGANIZZAZIONE la struttura e il processo attraverso i quali un gruppo coordinato di persone distribuisce i compiti tra i propri membri, ne definisce le relazioni ed integra le singole attività verso obiettivi comuni” [pag.382]

I concetti di organizzazione connessi ai concetti di sistema e metodo [riprendere ipertesto]:

pianificazione/programmazione/obiettivi/valutazione:

attraverso l’ottimizzazione delle risorse umane all’interno di un gruppo organizzato, vanno perseguiti gli obiettivi istituzionali dell’organizzazione; valutazione dei risultati conseguiti a fronte degli obiettivi prefissati

Tutta l’attività deve trovare la sua espressione concreta nell’iniziativa creatrice degli organi dirigenti dei quadri e dei membri dell’organizzazione, nel senso di responsabilità e nell’energia di cui essi devono dare prova nel lavoro, nella maniera audace ed abile di risolvere i problemi, nella espressione delle loro opinioni, nella critica delle insufficienze e nel controllo del lavoro degli organismi superiori e dei dirigenti, controllo fondato sulla sollecitudine di tutti gli appartenenti alla struttura organizzativa.

La Scienza dell’organizzazione risiede nell’integrazione e applicazione delle conoscenze; si esplica attraverso le funzioni specifiche:

  - organizzare

il principio principale, che conviene citare prioritariamente, è il principio di eccezione che:

“prescrive di non riportare verso l’alto i problemi che sono risolvibili a livello più basso”

la capacità di ‘problem solving’ presuppone l’abbandono del conformismo, dell’opportunismo (gli ‘yes man’), a favore di un metodo basato sulla collaborazione, la discussione e il confronto. Per questo ‘dirigere’ significa innanzitutto sapersi rapportare, relazionare, sempre in vista di un comune traguardo, raggiungibile e misurabile in termini di efficacia.

I problemi si cerca di affrontarli attraverso capacità previsionali (vedi dopo), cercando di anticipare soluzioni che altrimenti diventano, una volta evidenziatosi il problema, a senso unico (senza alternative) alzando in maniera troppo onerosa, per l’organizzazione, i fattori di rischio che pure sono sempre presenti, ma vanno calcolati, cioè gestiti con calcolo ponderato. Il calcolo ponderato può considerare l’organizzazione e le sue strutture, ma deve altresì considerare l’imprevedibilità e l’irriducibilità dell’esperienza umana, che in ogni momento deve avere la prevalenza. Se cioè non è vero che l’organizzazione è la mera somma dei membri che la compongono, è altresì vero che non esiste e non va oltre (non è una sur-determinazione) le risorse umane complessive di cui dispone.

Differenza tra line e staff, ripropone, a nostro avviso, la divisione sociale del lavoro che bisogna al contrario superare (lavoro intellettuale/direttivo/staff e lavoro manuale/esecutivo/line), [cfr. pag. 386]

-staffing

-pianificare

“quale domani dovrò tener presente nelle decisioni di oggi? Le decisioni di oggi hanno influenza sul futuro?”

modalità della capacità previsionale (che non è mettere brache al futuro o alla storia), ma organizzare ipotesi per verificare risultati in termini di obiettivi

I piani devono aderire alla realtà e per questo hanno necessità di essere flessibili

La versatilità e la flessibilità non devono intaccare gli obiettivi strategici, ma stabilire le tattiche opportune. Una tattica si definisce opportuna quando attraverso l’aderenza alla realtà, invera una strategia, cioè rende concreti e reali gli obiettivi strategici.

-controllare

-decidere

-comunicare

-dirigere

[definizioni pag.16]

Efficienza od efficacia? L’importanza di misurare gli obiettivi (performance)

 

ORGANIZZAZIONE

 

1. I quattro principi fondamentali che debbono regolare l’- sono:

 

a) il principio dell’ampiezza di controllo

[la qualità dell’intervento direttivo è inversamente proporzionale al numero di controlli necessari per il conseguimento dei fini]. Tra i fattori che influenzano l’ampiezza di controllo vi è la qualificazione formativa dei soggetti implicati nel processo e la relativa adeguata metodologia di comunicazione.

Ristretta ampiezza di controllo= verticalizzazione dei livelli, organizzazione ‘magra’, poca competenza-autorità-responsabilità nei livelli, perchè + distribuite

Maggiore ampiezza di controllo= livelli di tipo orizzontale, organizzazione ‘grassa’, molta competenza-autorità-responsabilità nei livelli, perchè - distribuite.

La funzione direttiva è principalmente di supporto/assistenza, non di controllo/sorveglianza.

b) il principio dell’unità di comando

[ad ogni funzione dell’organizzazione deve corrispondere un livello determinato, dunque “nessun membro in un’organizzazione deve, per ogni singola funzione, render conto a più di un superiore”] [pag.57]

c) il principio di eccezione

[non riportare verso l’alto i problemi che possono essere risolti al proprio livello]

“Non è importante avere collaboratori che riferiscono su ogni più piccola sciocchezza, in quanto il capo che pretende di venire comunque a conoscenza di tutto, avendo tempo e capacità limitati, si ritroverà ben presto saturato e, quindi, impossibilitato a svolgere quelle funzioni che gli sono proprie.”

[1.pag. 15/SIN]

d) il principio scalare

[La linea dell’autorità e della responsabilità deve essere chiaramente rapportata al livello di appartenenza; maggiore il livello, maggiori autorità e responsabilità]

“Ogni subordinato deve essere posto in grado di conoscere chi è chiamato a delegargli parte della propria autorità ed a chi devono essere riportate tutte le questioni che vanno oltre i limiti dell’autorità assegnatagli.” [pag.63]

Il principio scalare deve evitare due pericoli speculari:

la tendenza alla delega e l’abuso di potere.

 

 2. L’autorità

deriva dalla responsabilità e dalla capacità di conseguire obiettivi, fornendo i mezzi necessari, per ogni livello decisionale previsto

“L’autorità è sempre congiunta alla responsabilità, in quanto quest’ultima è un corollario della prima, la sua conseguenza naturale, la sua necessaria contropartita. Ovunque si eserciti l’autorità, sorge la responsabilità. “ [H.Fayol, pag. 68]

‘La vera natura dell’autorità risiede nella sua accettazione da parte dei dipendenti’, [1.pag.20/SIN],

in ambito militare è necessario che al grado corrisponda un’effettiva capacità direttiva, la sola che fornisce reale autorità non formalistica.

 

3. L’influenza e il potere

più che dal condizionamento e dall’’addestramento comportamentista’, come asserisce il Caltabiano, evidentemente convinto del ‘dono carismatico’ che alcuni avrebbero rispetto ad altri di condizionare il prossimo (naturalmente già formalmente in posizione subordinata), l’influenza deve essere assimilata al modello comportamentale dell’esempio coerente e della priorità dell’etica collettiva su quella individuale; nel senso che chi ha potere formale, rilascia potere sostanziale in quanto dimostra abilità decisionali e operative nello stesso tempo, in uno spirito disinteressato che dimostra nei fatti e non formalmente la volontà e la capacità effettiva di perseguire e raggiungere i fini dell’organizzazione.

L’unico potere effettivo è quello che promana dall’influenza dell’esempio, dalla capacità di ‘problem solving’, dall’abilità di emanare regole e norme condivise perchè eticamente rispondenti ai fini della propria attività, funzionale al raggiungimento degli scopi strategici.

Perciò. autorità può essere definita il ‘diritto formale di dare ordini e prendere decisioni’,

potere il ‘diritto, di fatto, di comandare’ [1.pag.24/SIN]

Leadership istituzionale/riconosciuta è nell’ambito militare devono coincidere. In ambito formale è opportuno parlare di headship quando la leadership non è fondata su un’ effettiva designazione del gruppo su cui i leaders dovranno poi esercitare il comando. (cfr. Anzera: Headship e leadership a confronto, in ‘Sociologia e ricerca sociale’, 46, pp.24/26)

 

4. La responsabilità,

correlata all’autorità essa non è delegabile.

E’ il dovere di assolvere ai compiti assegnati direttamente o indirettamente derivati dalla propria funzione e dal proprio livello.

Se l’autorità è un diritto, formale e/o sostanziale, la responsabilità ‘è l’insieme dei doveri che un superiore ha nei confronti dei propri dipendenti’ (1., pag.27/SIN]

 

5. Le possibili forme organizzative,

devono tener conto della razionalità di una struttura in modo da ottimizzare tempi (in relazione alla quantità delle risorse) e migliorare costantemente la qualità delle prestazioni, facendo in modo che la struttura correli correttamente la prestazione individuale con quella dell’insieme in rapporto agli obiettivi e alla costante valutazione di questi in termini di efficacia

Per questo gli obiettivi devono essere concreti e il flusso di informazioni costantemente adeguato.

Differenza tra line e staff.

Se la ‘line’ è l’insieme dei livelli decisionali/operativi, lo ‘staff’ è l’insieme dell’elaborazione specialistica di supporto.

Pertinenza della ‘line’ è l’azione, pertinenza dello ‘staff’ è il pensiero.

Da qui la possibile confusione di ruoli direttivi (quello formale decisionale, della ‘line’-azione,  può essere ‘scavalcato’ da quello informale decisionale dello ‘staff’-pensiero). Il lavoratore dello ‘staff’ corrisponde ad un soggetto portatore di creatività e di conoscenze, e, per quanto la sua mansione sia parcellizzata e specialistica, ne deriva una funzione assai più vicina di un tempo alla creazione di ‘idee generali’ per la struttura in cui è inserito. Bisognerebbe evitare la possibile sovrapposizione dando potere-autorità-responsabilità alla reale competenza, intendendo questa come complessiva in un’organizzazione e non solo settoriale: è l’organizzazione di funzione o ‘autorità funzionale’.

La competitività per il potere è una ‘malattia fisiologica’, che può essere combattuta, ridotta o eliminata con l’autorità funzionale

“che deve essere considerata come una parte dell’autorità di un superiore della line che viene ceduta per consentire - in un particolare campo che necessita di elevata specializzazione - che determinate strutture possano usufruire del miglior coordinamento possibile e della migliore razionalizzazione di procedure e modalità di operazioni”, [pag.101]

 

6. L’organizzazione formale e informale

rimanda alla struttura formale, ai suoi livelli, alle sue gerarchie, alle norme e regole previste dall’organizzazione, al controllo del rispetto di queste,

e a quella informale, quella cioè che si crea in base non ai preordinati livelli gerarchici, ma alla sostanziale relazione che si stabilisce tra gli individui in base alle loro effettive capacità di conseguire obiettivi concreti e cioè in base alla loro abilità relazionale non astratta, ma correlata al ‘problem solving’.

Le norme e regole non devono mai soffocare la creatività e devono essere funzionali all’effettivo perseguimento di risultati.

Ecco l’importanza di far coincidere leadership istituzionale e leadership riconosciuta. Quando questa coincidenza non c’è o viene a mancare, può generarsi una ‘dannosa confusione di identità tra le due strutture’ [1., pag.48/SIN]

 

7. La struttura organizzativa,

è formata dai suoi livelli e può assumere configurazione ‘larga’ o ‘stretta’ (vedi precedentemente)

E’ necessario che sia flessibile e può essere composta:

- per funzione

- per area geografica

- per prodotto

Nei criteri di strutturazione è conveniente tenr conto delle motivazioni adeguate di chi esplica le funzioni direttive ed evitare sovrapposizioni di responsabilità e competenze.

 

 DECIDERE

Il processo decisionale può essere suddiviso in cinque fasi correlate tra di loro:

definizione-analisi-ricerca-scelta-azione esecutiva

A queste fasi deve seguire il controllo della congruità fra risultato e obiettivi strategici dell’organizzazione.

Nell’analisi, dobbiamo inoltre individuare il ‘chi’:

“chi dovrà essere responsabile della decisione,

chi sarà necessario consultare prima di prenderla,

chi dovrà trasformarla in azione ed, infine,

chi ne dovrà essere informato”

[pag.164]

 

1./ 2. Definizione e analisi del problema

Una delle prerogative più importanti del dirigente è nel processo decisionale; peculiarità di questa prerogativa è la caratteristica di ‘problem solving’.

Il ‘problem solving’, derivante dalla capacità creativa e di elaborazione del dirigente, può definirsi in quanto qualità fondamentale solo se viene preceduta da una corretta impostazione/definizione analitica del problema stesso; nella tradizione orientale, la corretta definizione problematica non è solo propedeutica al ‘problem solving’, è essa stessa ‘problem solving’.

In ogni problema che può essere risolto (da qui la prima domanda: vi è una soluzione?), ci sono diversi lati: la corretta definizione, lo scandaglio analitico, deve individuare correttamente i lati principali e i corollari del problema; così come in ogni contraddizione vi è un aspetto principale e uno o più aspetti secondari.

Il lato principale di un un fenomeno problematico può essere indicato come fattore critico:

“Isolare il fattore critico di un problema, significa, quindi, giungere fin dall’inizio al suo nocciolo; significa, in ultima analisi, porsi la giusta domanda.” [2.pag.398/SIN]

Nella definizione sono possibili errori, tutti rimediabili, tranne uno: sbagliare la domanda.

IL METODO DIAGNOSTICO:

UN METODO è DIAGNOSTICO quando è “basato sull’analisi dettagliata ed obiettiva del fenomeno” (2.pag.398/SIN)

La diagnosi è il fulcro dell’esame degli aspetti del problema (rivenienza dei sintomi-aspetto superficiale/apparente, indicazioni; terapia corretta con assunzione di responsabilità). Sia la sintomatologia, diagnosi e ipotesi di intervento problematico, devono dar vita ad un processo collaborativo, vale a dire a uno sviluppo collettivo di elaborazioni-opinioni (anche contraddittorio, purchè solvibile), per almeno due ordini di ragioni:

- l’assunzione del rischio e la sua calcolabilità (sebbene la responsabilità riveniente dall’autorità non sia divisibile)

- la reale esecutività dell’intervento, che deve far leva su alte motivazioni dei soggetti implicati.

Se nella corretta definizione e analisi dei problemi, che s’è già rilevato come debbano essere opportunamente anticipati bandendo i falsi conformismi e tenendo ben fermi gli obiettivi strategici dell’organizzazione, può giocare un ruolo fondamentale l’esperienza, questa non deve essere resa assolutamente necessaria alla soluzione da trovare.

Es.: se ho l’automobile in avaria posso procedere in questo modo:

a) smonto tutti i pezzi dell’auto, cambio quelli usurati, sicuramente risolvo il problema. Lo risolvo con gran dispendio di tempo e di risorse, cioè in modo non razionale

b) l’esperienza mi guida a rilevare il guasto dal sintomo, mi reco dal tecnico opportuno;

c) la logica mi guida a formulare delle ipotesi e recarmi dal tecnico opportuno.

La differenza di b) con c) non è la qualità finale dell’intervento, ma il rapporto tempo/risorse. L’esperienza è così resa sussidiaria, ma non indispensabile.

Il conseguimento di obiettivi immediati e strategici propri dell’organizzazione, deve dunque guidarci nella classificazione dei problemi, cioè a tener conto de:

“- la proiezione nel futuro della decisione (..)

-l’influenza che la decisione eserciterà su altre aree e funzioni;

- la specie e la valenza delle considerazioni di carattere qualitativo che condizionano la soluzione;

-la caratteristica di unicità o di periodicità della decisione.”

[pag.165]

  3. Ricerca o sviluppo delle soluzioni possibili

La prima alternativa che ci si presenta è: agire o non agire. Anche questa, però, è una decisione, e chiama in causa il calcolo del rischio e la responsabilità.

Può darsi anche il caso che la definizione/analisi, ci porti a prospettare un’unica soluzione:

quest’eventualità deve porci l’interrogativo sulla validità della metodologia seguita nella fase di sviluppo delle soluzioni.

èE’ evidente che ottimale sarebbe la possibilità di scelta tra possibili soluzioni o prospettare almeno un’alternativa.

 

4.  Scelta della soluzione

Nella scelta possono essere utilizzati almeno quattro parametri:

“- il rischio

-il rapporto costo/efficacia

-la sequenza temporale

-la disponibilità delle risorse” [2.pag.13/SIN]

 

·     Il rischio è la possibilità di subire conseguenze, ma non esiste decisione priva di rischi. Il calcolo del rischio fa parte integrante della responsabilità del dirigente, che proprio per questo chiede la massima collaborazione e partecipazione non solo nella fase esecutiva, ma già in quella consultiva (‘general intellect’).

 

·     Il rapporto costo/efficacia deve tener conto del parametro della qualità; tenendo saldo questo parametro, l’efficacia sarà valutata in termini di opportunità utilizzate al meglio.

 

·     La sequenza temporale deve essere prevista come parte integrante della soluzione: il tempo necessario è in relazione alla qualità dell’intervento. Se bisogna agire con tempestività, è necessario tener conto che la soluzione trovata può non essere la migliore qualitativamente.

 

·     La disponibilità delle risorse parte da un postulato: ogni azione, rispetto alla pianificazione e ai programmi, ha risorse limitate. Postulare la limitatezza delle risorse, può però anche significare due conseguenze positive:

- la razionalizzazione e ottimizzazione di tutte le risorse strumentali esistenti

- l’utilizzazione, piena e appagante, delle risorse umane.

 

5. L’azione o l’attuazione della decisione

Un’organizzazione tende alla conservazione dell’equilibrio raggiunto. Per questo, ogni innovazione, può turbare l’equilibrio. Ma un’organizzazione che nè adotta decisioni nè si rinnova, è destinata a perire. Dunque è necessario il massimo coinvolgimento delle energie disponibili non già in mera fase esecutiva, ma, s’è già scritto, in fase di elaborazione (è un altro dei tipici problemi dello staff, quando si mantiene la distinzione elaborazione/decisione, a cui si viene ad aggiungere la distinzione decisione/esecuzione):

“Per riuscire ad ottenere questo tipo di coinvolgimento e di partecipazione altamente motivata è indispensabile che tutti gli interessati all’azione si sentano non solo promotori ma anche responsabili della decisione.” [2.pag.28/SIN]

 

 

      

COMUNICARE

 

1./2. Funzioni e responsabilità del comunicare

 

Nella struttura organizzativa, riveste una straordinaria importanza il globale processo comunicativo: verso l’esterno e verso l’interno della struttura stessa. Comunicare, per l’organizzazione, significa soprattutto garantire un flusso di informazioni adeguato (dall’esterno all’interno e intraorganizzativo fra i vari livelli della struttura), una chiarezza e intellegibilità dei messaggi emittente/ricevente, dunque un feed-back costante.

Partire dall’analisi del contesto, quindi, vuol dire trovare la comunicazione rispondente alla struttura organizzativa e mirare all’aumento delle conoscenze effettive di ogni membro impegnato nei lavori di direzione e coordinamento. 

Comunicazione rispondente e aumento delle conoscenze, e dunque di abilità decisionali e di ‘problem solving’, sono possibili solo se le interpretazioni dei flussi di messaggi provenienti dall’interno o dall’esterno, sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi strategici e ai valori della struttura organizzativa.

Ha scritto M.Tomassini:

“(..) La comunicazione non è semplice trasferimento di informazioni, ma un insieme complesso di pratiche, interazioni, impegni espliciti e impliciti. (..) la comunicazione crea impegni (.) e genera quindi implicitamente tutta la trama delle relazioni organizzative nelle quali si esercitano le attività di lavoro”

[cfr. Alla ricerca dell’organizzazione che apprende, Roma, 1993, pag.81, che cita gli studi di Winograd e Flores in proposito].

·     Le decisioni non possono scaturire se non da corretta analisi e diagnosi, dunque da un corretto flusso di informazioni che permea di sè, a forma di rete, fitta trama di fili e connessioni, l’organizzazione stessa.

Attenzione: il corretto processo comunicativo, innanzitutto riveniente da un’analisi contestuale primaria, va esso stesso organizzato, pianificato e calibrato a seconda delle esigenze e dei fini strutturali. In altre parole, è il dirigente stesso che deve organizzare la comunicazione, in modo che ogni livello venga potenziato, corroborato dal flusso di conoscenze necessario. Esso dunque non è un processo spontaneo, ma intenzionale.

“Se non saremo in grado di costruire e gestire la nostra organizzazione come un’entità pervasa dallo scambio di informazioni, ben difficilmente potremo attenderci risultati di qualità.” [5., pag.5/SIN]

Saper comunicare significa sia emettere messaggi che giungano chiari e comprensibili al destinatario, sia saper ascoltare.

Saper ascoltare “è un buon investimento”, a condizione che:

- non si sia guidati da preconcetti nei confronti dell’emittente

- si mantenga alta la soglia dell’attenzione

- non si rifiuti lo sforzo cognitivo (di comprensione) adeguato

 

3. I problemi delle comunicazioni

 

La rete comunicativa organizzata e prevista in relazione agli obiettivi che la struttura organizzativa si è posti, sia come recettiva/emittente da e verso l’esterno, sia come intraorganizzativa, può essere incrinata o resa inunfluente/inefficace da barriere e ostacoli che possono attraversare le maglie della rete stessa, in senso orizzontale (tra uguali livelli con funzioni diverse) e in senso verticale (tra livelli diversi con diversa autorità e responsabilità).

Innanzitutto possono incontrarsi ostacoli di ordine psicologico:

il rapporto subordinato senza processo collaborativo, può portare a demotivazione relativa o assoluta dei membri dei livelli inferiori, che pure sono preposti all’esecutività delle decisioni. E’ importante quindi che si inneschi quel processo collaborativo che solo può aumentare le spinte motivazionali degli appartenenti ad un’organizzazione. Si ricordi che ogni messaggio è soggetto ad interpretazione da parte del soggetto che lo riceve, e quest’ultimo, in assenza di motivazioni adeguate e/o sufficienti, può oggettivamente o soggettivamente interpretare i massaggi ricevuti in modo totalmente difforme dai significati e modalità voluti dall’emittente.

Possono esistere poi ostacoli di ordine sociale:

tra emittente e ricevente deve esserci mutua comprensione; ma questa si matura e non è spontanea. Può maturare attraverso lo sviluppo di comuni esperienze. Se gli appartenenti allo ‘staff’ fisiologicamente partecipano ad esperienze che li pongono in condizione di annullare (di fatto o potenzialmente) i ‘disturbi’ e ‘rumori’ nella comunicazione, gli appartenenti allaline’ debbono ricercare in modo pianificato la costruzione dell’esperienza condivisa.

·     ‘Rumori’ e/o ‘disturbi’ sono aspetti indesiderati della comunicazione, ma che l’attraversano inevitabilmente: l’organizzazione tecnica deve dunque tendere ad abbassarne l’intensità a tutto vantaggio delle corrette interpretazioni del flusso comunicativo e informativo.

“Una delle misure più idonee a combattere il rumore, assicurando l’efficacia della nostra comunicazione, consiste nell’impiego della ‘ridondanza’ nel corso della trasmissione, cioè nel ripetersi delle parole chiave per un’interpretazione corretta del messaggio. La ridondanza, tuttavia, va usata con estremo discernimento per evitare la saturazione delle linee di comunicazione.”

[5., pag.14/SIN]

4. L’efficacia delle comunicazioni

 

Una comunicazione è tanto più efficace, potenzialmente,  quanto più è diretta, cioè non vi sono passaggi di livello tra emittente e ricevente.

Nelle strutture organizzative i passaggi di livello del flusso comunicativo sono possibili, innanzitutto in senso verticale, secondariamente in senso orizzontale.

“(..) i problemi di efficacia aumentano in proporzione diretta con le dimensioni verticali delle organizzazioni.” [5, pag.15/SIN]

In questo caso vi sono barriere che possono impedire un corretto sviluppo del processo comunicativo e quindi ostacolare gli stessi processi di conoscenza dei membri della struttura organizzativa:

“Le organizzazioni burocratiche ostacolano il processo di apprendimento in quanto impongono strutture di pensiero frammentate, non facilitano lo scorrere delle informazioni, favoriscono atteggiamenti difensivi”

[Tomassini, op.cit., pag.54]

E’ da tener presente che uno scambio insufficiente di informazioni, un inadeguato processo della comunicazione, sia esterno che interno, inevitabilmente finiscono per sclerotizzare la struttura, a tutto svantaggio dell’innovazione, dell’adeguamento, dei risultati. E una organizzazione che non si rinnova, è destinata a perire.

Ecco il ruolo importante che riveste il superamento delle barriere, e tra queste se ne sottolineano tre che assumono particolare rilevanza:

a. la distorsione

b. il filtraggio

c. la saturazione

 

a. un livello di distorsione, s’è già rilevato, dipende ‘fisiologicamente’ da ‘rumori’ e/o ‘disturbi’ propri di ogni processo comunicativo. Questo livello può essere attenuato dalla chiarezza e precisione della comunicazione o aggravato dall’ambiguità e genericità dei messaggi che l’emittente invia.

Importante è strutturare un’organizzazione che curi l’aggiornamento continuo e l’allargamento delle conoscenze dei suoi membri. L’organizzazione stessa, cioè, diventa veicolo di formazione permanente e rende adeguato il flusso di comunicazioni, curando la specializzazione ma non a compartimenti-stagno, cioè specializzazione senza comunicazione e comprensione degli obiettivi/ fini che tutti debbono contribuire a perseguire.

‘Empatia’ e ‘role taking’ possono eliminare la distorsione.

Per ‘empatia’ intendendo la sintonia, cognitiva ed emotiva, tra gli appartenenti ad un’organizzazione, dovuta a compartecipazione e allo sviluppo di comuni esperienze.

Per ‘Role taking’, intendendo il concetto espresso da Mead nel 1934, il ‘rovesciare la prospettiva’, in sintesi, ‘mettersi nei panni dell’altro’,  preparare il ‘feed-back’ positivo.

b. filtraggio è la selezione preventiva del flusso comunicativo in chiave di ‘accomodamento’. E’ tipica delle comunicazioni in verticale, da un subordinato verso un superiore. Anche in questo caso, diventa fondamentale un processo collaborativo, in modo da stemperare timori conformistici (dal basso verso l’alto) e accentramenti decisionali di tipo autoritario (dall’alto verso il basso).

c. la saturazione avviene quando si privilegia la quantità indifferenziata di informazioni e conoscenze alla qualità delle comunicazioni. L’invio di messaggi di scarsa o di nessuna importanza, intasa i canali comunicativi e questo accade quando nell’organizzazione prevale la routine consuetudinaria piuttosto che l’efficacia e la congruità con gli obiettivi.

Per questo:

“(..) dobbiamo essere in grado di modificare periodicamente sistemi e procedure per rimanere al passo con i tempi. Ma è altresì necessario avere la piena coscienza del fatto che, dopo un tempo più o meno lungo, qualsiasi sistema deve essere necessariamente sottoposto ad un esame critico, che permetta di liberarsi del superfluo e di ciò che non è più utile, al fine di scongiurare il pericolo, sempre incombente, che possa saturarsi e quindi paralizzarsi.” [pag.261]

 

5. Le comunicazioni e la struttura dell’organizzazione

 

La validità e l’efficacia di una struttura si misurano, dal punto di vista comunicativo, dal flusso di conoscenze che la attraversano ad ogni livello.

Per questo, ad ogni modifica della struttura, deve corrispondere un adeguamento della rete di comunicazione.

·     Obiettivo è quello di rendere la comunicazione uno strumento valido di apprendimento, una comunicazione formativa che contribuisce all’innovazione continua, all’aggiornamento in tempo reale, a rendere costantemente consapevoli dei fini i quadri dell’organizzazione, ad affinare le capacità di ‘problem solving’, che, non si è mancato di rilevare, ha assoluta necessità di un costante e adeguato flusso delle comunicazioni.

 

6. Il flusso delle comunicazioni

 

Può essere indirizzato dall’esterno verso l’interno e viceversa, o essere intraorganizzativo.

E’ bene che l’organizzazione curi il feed-back generale con l’esterno, in quanto così aggiornerà in maniera costante la propria struttura e nello stesso tempo proietterà verso l’esterno un’ immagine adeguata, corrispondente alla sostanza dei propri fini, evitando l’autoreferenzialità e la burocratizzazione sclerotizzante.

Lo scambio comunicativo intraorganizzativo avviene sia in senso orizzontale sia in senso verticale.

 

Senso orizzontale= livelli di pari ordine, ma con funzioni diverse (cfr. lo ‘staff’)

Senso verticale= livelli svolgenti uguali funzioni, ma con un diverso grado di responsabilità e di autorità (cfr. la ‘line’)

·     Bisogna tener conto che la comunicazione, in una struttura organizzativa, pur essendo intenzionale, non azzera, nè lo potrebbe, la comunicazione spontanea. Questa è tipica della struttura informale che si viene a creare nell’organizzazione, a prescindere dai livelli gerarchici e dalle previste ‘linee verticali’.

I dirigenti terranno conto di questa comunicazione di tipo spontaneo, che può essere preziosa fonte di conoscenze necessarie e informazioni utili all’espletamento efficace dei compiti e delle mansioni.

L’utilizzo strumentale, invece, di questo flusso di comunicazione informale, può risultare deleterio se le conoscenze non sono necessarie nè utili le informazioni, anzi di serio impedimento al raggiungimento degli obiettivi.

Per questo, l’utilizzo di queste comunicazioni (tra pari livello, dal basso verso l’alto, dall’alto verso il basso) deve risultare perfettamente in linea con gli scopi strategici dell’organizzazione, altrimenti può diventare un’arma impropria a doppio taglio.

 

DIRIGERE

E’ da premettere che la funzione del ‘dirigere’ non corrisponde a quella insita nel concetto puro e semplice di ‘comandare’: in quest’ultima accezione le funzioni si limitano a erogare disposizioni, norme e compiti di natura prescrittiva e deliberativa; nella prima, l’accezione rimanda a funzioni più complesse, quale quella del coordinare i complessi di attività, supportare e guidare i compiti, discutere per deliberare nell’ambito di un processo collaborativo, positive capacità che inneschino favorevoli dinamiche relazionali, comunicare correttamente e garantire un adeguato flusso di comunicazioni nella e per l’organizzazione, aumentare le spinte motivazionali degli appartenenti alla struttura organizzativa, guidare per dirigere.

Nella struttura militare, il dirigere appartiene al comandare, in quanto vi è prevalenza di fattori gerarchico-formali che ne sostanziano le funzioni; praticamente, però, anche nella struttura militare è il comandare che è dentro il dirigere, cioè non è possibile ottenere validi risultati in termini di efficacia se non si sanno assolvere a tutte le prerogative insite nel ‘dirigere’. Questo è possibile se il comando puro e semplice (prescrizione o atto deliberativo) viene preceduto dalle funzioni direttive reali, frutto e risultato del complessivo processo collaborativo di cui s’è già scritto.

Per dirigere è necessario soprattutto sviluppare e potenziare i fattori alla base del comunicare, motivare e guidare.

 

1. Comunicare per dirigere

 

La responsabilità del comunicare appartiene a tutti i membri di un’organizzazione,  a qualsiasi livello essi operino. Naturalmente maggiore è il livello di appartenenza, maggiore sarà la responsabilità del comunicare in maniera corretta ed adeguata. Per l’avvio di un processo di comunicazione che risponda ai requisiti di chiarezza, precisione e massima intellegibilità, dunque di massima tensione alla comprensione interpretativa corretta dei messaggi, è necessario sapere:

- il quando comunicare (opportunità temporale)

- il che cosa comunicare (essenzialità dei contenuti)

- conoscenza dei canali attraverso i quali avviene la comunicazione (le strade della comunicazione)

- controllo dei risultati del processo (corretta interpretazione-esecuzione)

 

Il dirigente sa e comunica ciò che egli considera essenziale; in questo modo ricerca un feed-back positivo, particolare e generale, perchè anche la comunicazione di ritorno conterrà l’essenzialità dei contenuti e non gli elementi secondari e/o sussidiari, che inevitabilmente ‘appesantiscono’ le comunicazioni e intasano i canali, saturandoli. La saturazione delle informazioni verso l’alto, verso i livelli direttivi, è tipica delle organizzazioni burocratiche ormai sclerotizzate dalle routine consuetidinarie; ma questa sclerosi viene favorita proprio dai livelli direttivi, quando non si sa organizzare un filtro-selettivo verso le comunicazioni che rivestono carattere principale. Nell’organizzare questo ‘filtro’, il dirigente valuti i pericoli del ‘filtraggio’ come barriera alla corretta comunicazione (vedi precedentemente).

La rigida compartimentazione è nemica del flusso comunicativo: si rischia infatti di irrigidire i codici specialistici, in modo tale da rendere le parti di un insieme organizzativo incomunicanti tra di loro:

“Un’organizzazione strutturata è necessariamente suddivisa in divisioni, reparti, uffici, che rappresentano sovente delle vere e proprie scatole chiuse ai fini dell’informazione.” [6., pag. 35/SIN]

Si forma uno ‘spirito di gruppo’ e ‘sottogruppo’ grandemente deleterio per i fini dell’organizzazione, una visione ‘frantumata’ della realtà complessiva che genera prima e riproduce poi l’immobilismo burocratico e la demotivazione. Spetta al dirigente far sì che la chiusura entro il proprio ambito non avvenga, proprio permettendo una circolazione continua di adeguate e corrette informazioni, sapendo che è proprio questo flusso la base ottimale per il raggiungimento degli obiettivi.

Per garantire questa base ottimale occorre:

- la formazione permanente e l’aggiornamento continuo (farsi promotori e organizzatori di questa esigenza)

- mettere ognuno in condizione di guardare alle attività della struttura organizzativa da vari punti di vista (evitare il frazionamento delle conoscenze e lo spirito settario, non certo la specializzazione, purchè questa venga continuamente attraversata da una visione ‘integrata’)

La comunicazione scritta è certamente più ‘fredda’ della comunicazione interpersonale: è comunque una prova documentale e va curata nel massimo grado di precisione.

La certezza della corretta interpretazione dei messaggi, dei contenuti, ci giunge solo attraverso la comunicazione diretta e interpersonale: molte incomprensioni, equivoci, ambiguità e genericità, possono essere evitate con una linea ‘diretta’ ed esplicita di comunicazione:

“La personalizzazione può essere concessa unicamente da una significativa ed approfondita conoscenza tra chi scrive e chi legge. (..) E non si può trascurare di far notare la vera e propria carica di motivazione che può essere trasmessa al collaboratore nel momento in cui le sue idee vengono ascoltate, considerate, dibattute, magari anche contrastate, ma con un rapporto diretto e lineare fra chi espone ed il superiore che lo ascolta e lo valuta.” [pag. 325]

E infatti ben comunicare per ben dirigere è fondamentale per potenziare quanto più è possibile le spinte motivazionali intrinseche di ogni appartenete all’organizzazione.

 

 2. Motivare per dirigere

La motivazione come fattore cognitivo e non cognitivo (psicologico) e come i fattori dinamici della personalità, influenza i processi di apprendimento.

La più semplice definizione è azione motivata, le cause che spingono a modificare il comportamento., la spinta che determina una azione e quindi una modifica comportamentale. E’ una spinta ad una soddisfazione di bisogni. Il bisogno di apprendimento si conquista come bisogno intrinseco all’evoluzione intellettiva.  Bisogna analizzare le spinte motivazionali.

La base motivazionale primaria è fornita dai  bisogni dei nostri istinti :

Þ  la rete istintiva è formata da bisogni elementari, di primo livello, (quali nutrizionali, riproduttivi, ecc).

 

MOTIVAZIONE

ê

SPINTA MOTIVAZIONALE

               

Il 2° livello si chiama secondario perché devono essere soddisfatte dopo i bisogni primari. Si collegano direttamente ai processi di apprendimento e  sono di carattere culturale (adattamento all’ambiente sociale).

Possono essere di diverso tipo :

Þ Estrinseche  (esterne, ambientali)

Þ Intrinseche (all’interno dell’individuo)

 Per fare un banale esempio,  colui che va a lavorare solo per lo stipendio avrà una motivazione ed una spinta secondaria estrinseca in quanto ha soddisfatto la primaria che è alla base della motivazione in se stesso (senza lavoro non si mangia), mentre colui che va a lavorare con piacere e viene gratificato da tutto ciò che lo circonda, avrà una motivazione ed una spinta secondaria intrinseca, avendo già soddisfatto o potendo soddisfare contemporaneamente la primaria e la secondaria estrinseca. Infatti l’esempio ci porta a pensare alla ‘’demotivazione’’ all’apprendimento che può essere a sua volta assoluta o relativa.

 

·     Assoluta = quando non sono soddisfatti i bisogni primari ;

·     Relativa = quando non si è maturata una motivazione intrinseca.

        

Nell’apprendimento la motivazione secondaria di tipo intrinseco è fondamentale perché qualitativamente porterà il processo di apprendimento a degli ottimi risultati.

         Quindi, tornando alla demotivazione, possiamo senz’altro affermare che la motivazione, in assenza della piena soddisfazione alla spinta primaria, darà luogo ad una demotivazione di tipo ‘’assoluto’’.

         La motivazione è intesa come azione motivata e cioè è determinata dalle cause che spingono il soggetto a compiere una determinata azione e quindi a modificare il comportamento. Da questo la definizione di spinta motivazionale.

La motivazione all’apprendimento è emblematica delle differenti motivazioni possibili nei confronti delle varie attività umane:

- motivazione al lavoro

- motivazione al lavoro in un’organizzazione

Nella scienza dell’organizzazione è altresì fondamentale:

- l’azione motivante dell’organizzazione

- il comportamento motivante del dirigente

 

Nella motivazione specificatamente al lavoro all’interno di una struttura organizzativa, sono importanti i presupposti, che possono essere così individuati:

a) i bisogni

(primari-secondari; è possibile anche una conflittualità tra essi)

b) le risorse

[limitate, fungibili-polifunzionali (stessa risorsa per più e differenti bisogni) o specifiche (ogni bisogno chiede una specifica risorsa)]

c) gli obiettivi

possono essere perseguiti con risorse adeguate, se diventano bisogni supportati da desiderio e impegno.

La risultante deve essere un comportamento adeguato (‘performance’) in relazione agli obiettivi da raggiungere.

Esistono vari modelli motivazionali:

A.H.Maslow [Motivation and Personality, New York, 1954] individua una vera e propria scala dei bisogni, che propone in classificazione gerarchica

 

TASSONOMIA DEI B (BISOGNI) DI MASLOW

A) B di autorealizzazione

B) B di successo o di stima

C) B di appartenenza sociale

D) B di sicurezza

E) B fisiologici

 

Secondo Maslow, l’uomo è soddisfatto da ciò che ha, ma è motivato da ciò che non ha.

 

I modelli motivazionali di Mc Gregor [Leadership and Motivation, Boston, 1966], si è soliti definirli sinteticamente come TEORIA X E TEORIA Y.

 

 

  TEORIA X Mc GREGOR (modello autocratico)

- il non piacere del lavoro

- la costrizione per l’espressione della qualità

- comandare e non ricercare i motivi della deresponsabilizzazione

- motivazione unica al profitto economico

- creatività solo se sollecitata da prescrittività assoluta

 

TEORIA Y Mc GREGOR (modello democratico)

- piacere del lavoro, realizzazione nel lavoro

- obiettivi condivisi, disciplina consapevole e autodisciplina

- accettazione di  responsabilità e non eterodirezione

- motivazione alla realizzazione di obiettivi come misura delle proprie capacità

- creatività diffusa e tolleranza all’errore

 

I fattori di contesto favorevoli allo sviluppo e al potenziamento delle spinte motivazionali al lavoro in un’organizzazione, sono definiti fattori igienici da Herzberg [Work and the nature of man, New York, 1966], favorevoli ma non coincidenti con i  fattori di contenuto che producono fattori motivanti.

·     E’ evidente infatti che una retribuzione corrispondente alla quantità e qualità del lavoro erogato, discrete condizioni di lavoro, la certezza normativa e contrattuale lavorativa, buoni rapporti interpersonali, favoriscono la motivazione, anche se non la producono automaticamente. Al limite possono produrre un’integrazione passiva, ma se non si sviluppano contemporaneamente i fattori di contenuto, le opportunità di sviluppo, le professionalità richieste, i riconoscimenti per i risultati e adeguati rinforzi, non sarà possibile neanche un’attiva identificazione del singolo nell’insieme, una scarsa consapevolezza dei fini, una scadente spinta a raggiungerli.

Esistono poi tanti altri modelli motivazionali:

·     da quello di Mc Clelland (1961) che afferma “che esiste una stretta correlazione tra alti bisogni di realizzare ed elevate prestazioni: i primi sono indispensabili per avere le seconde” [6., pag.20/SIN], ‘combattenti che accettano le sfide’,

a quello di

·     Hamner e Tosi (1974), che stabiliscono alcune regole per potenziare le motivazioni, basandosi prevalentemente sulla meritocrazia, sulla discrezione e moderazione (“non premiate tutti in modo eguale, non punite qualcuno di fronte agli altri, siate moderati”, ecc..) [6., pag.21/SIN], a quello di

·     Nadler e Lawler (1977):

“il comportamento di ciascun dipendente è influenzato principalmente da due fattori:

-le conseguenze che egli suppone possono derivargli dal comportamento stesso;

- la ‘valenza’, che varia da individuo a individuo.” [6., pag.22/SIN], a quello di

·     Mc DERMID (1960) [6., pag.23/SIN], che per le funzioni direttive propone semplici regole quali il non affidarsi a rinforzi di tipo economico o similari (carriera ecc..) per ben motivare, ma a quelli propri di autostima e fiducia nei propri mezzi.

Motivare per dirigere è dunque la ricerca dell’incentivazione alla qualità e alla realizzazione dei fini, che implica forse più degli altri compiti, la necessità di curare gli aspetti psicorelazionali come fondanti di una sana struttura organizzativa.

 

3. Guidare per dirigere

 

Dirigere è saper guidare, in questo simile alla funzione del docente (dal latino doceo, saper condurre): e come il docente deve essere guida per l’apprendimento, non mera fonte di nozioni da acquisire passivamente, così guidare nel senso della funzione direttiva significa assistere, aiutare, istruire, indirizzare; in breve, essere punto di riferimento attivo per lo svolgimento ottimale dei propri compiti ed essere capace di ‘problem solving’.

Deve essere in grado di valutare e impostare correttamente un problema (cfr. precedentemente DECIDERE, 1./2.), cioè avere capacità di problem-setting,

“ossia tutto ciò che ha a che fare con le modalità di impostazione dei problemi e di definizione delle finalità da raggiungere”, [Tommasini, op.cit., pag.104],

di scanning, ovvero trarre dall’impostazione e soluzione dei problemi visioni innovative su quello e su altri ordini di questioni,

essere continua fonte di conoscenza, organizzare la formazione continua,

“‘continua’ può effettivamente assumere un significato legato al divenire dei sistemi organizzativi e alle loro capacità di assolvere le loro diverse finalità attraverso lo sviluppo incessante della conoscenza”. [ivi, pag.151].

Il dirigente cercherà, per guidare correttamente il o i gruppo/i, di assumere una connotazione democratica, evitando il modello motivazionale autocratico (teoria X-McGregor) a favore della teoria Y.

·     Secondo il diagramma di Tannenbaum e Schmidt (1957) [6., pag.54/SIN] vi è un rapporto inversamente proporzionale tra l’uso dell’autorità e l’area di libertà dei dipendenti: per cui il massimo di efficacia si ottiene quando il dirigente, definiti i limiti e i vincoli, chiede al gruppo le soluzioni dei problemi, accrescendo la sua autorità con la competenza e l’esperienza al servizio dell’organizzazione, senza aver bisogno di ricorrere al potere piramidale nè al personalismo esasperato, che produce conflittualità permanente, antagonismo e degenerazione burocratica.

·     Secondo Fliedler (1965), [6., pag.55/SIN], il dirigente democratico è colui che ha un alto LPC (Least Preferred Co-worker), cioè descriverà con meno negatività il meno preferito dei suoi colleghi o collaboratori o dipendenti o subalterni.

Dunque, guidare per dirigere significa sviluppare la responsabilizzazione degli appartenenti alla struttura organizzativa in termini di massimo autocontrollo, basato sulla chiara visione degli obiettivi strategici e degli inteventi necessari per modificare il processo nel caso che non vengano raggiunti secondo la pianificazione iniziale (quella diagnostico-predittiva). Per questo il dirigente, piuttosto che ricercare potere fittizio e autorità solo formale, deve continuamente affinare maggiori capacità tecnico-professionali, richiedendo autonomia in funzione di una maggiore qualificazione, e maggiori livelli di conoscenze, perchè maggiore conoscenza è sempre sinonimo di vera autorità e di leadership conquistata sul campo, l’unica che viene realmente riconosciuta.

 

 Per la bibliografia, oltre quella citata nel testo

Consultazione anche da F.Dubla: DK-IPERTESTO “DIDATTICA E METODOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE”, versione 3.0, Catania-Taranto 1997

per chiave di lettura dei concetti di

ORGANIZZAZIONE/SISTEMA/METODO/OBIETTIVI/

PROBLEM SOLVING/VALUTAZIONE

 

  ITEMS DI CONTROLLO

 

-Le varie possibili definizioni di organizzazione in rapporto alla scienza ed alla teoria del management

 

- Quali sono le funzioni specifiche della scienza dell’organizzazione

 

- Quali sono i quattro princìpi fondamentali che debbono regolare la scienza della organizzazione

 

 - Spiegare il pricipio dell’ampiezza di controllo

 

- spiegare il principio dell’unita’ di comando

 

- Spiegare il principio d’eccezione

 

- Spiegare il principio scalare

 

- Da cosa deriva l’autorita’

 

- Differenza fra autorita’ e potere

 

- Ruolo dell’esempio  e dell’etica collettiva nel processo d’influenza

 

- Differenza fra headship e leadership

 

- Perche’ l’autorita’ e’ delegabile

 

- Perche’ la responsabilita’ e’ individuale - qual’e’ il suo significato pieno

 

- Quali sono le possibili forme organizzative

 

- Quale e’ la differenza fra ‘line’ e ‘ staff’ e quali i loro rapporti

 

-  Cosa si intende per autorita’ funzionale

 

- Come si forma l’organizzazione informale e quali sono i rapporti con quella formale

 

-Quali sono le fasi del processo decisionale

 

- Spiegare il concetto di ‘fattore critico’

 

- Quando un metodo puo’ essere definito diagnostico

 

- Qual’e’ l’importanza del processo collaborativo

 

- Il processo decisionale e calcolo del rischio nella responsabilita’

 

- Efficienza o efficacia : spiegare i concetti

 

- Cosa e’ il rapporto costo/efficacia

 

- Il corretto impiego delle risorse umane, strumentali ed economiche

 

- In una struttura organizzativa quali sono le vie di comunicazione

 

- Quali sono i problemi (barriere- disturbi- rumori) della comunicazione

 

- Quando la comunicazione e’ efficace

 

- Quanti e quali sono le barriere che assumono importanza nella comunicazione

 

- Perche’ empatia e ‘Role-taking’ possono eliminare la distorsione e cosa sono

 

- Quale e’ l’obiettivo della comunicazione in rapporto alla struttura dell’organizzazione

 

- Cosa si intende per Feed-back generale e come si evita la degenerazione burocratica dell’organizzazione

 

-  Che differenza c’e’ tra comandare e dirigere

 

- Per decidere e’ necessario............................

 

- Cosa e’ necessario sapere per avviare un processo di comunicazione positivo

 

- Quali sono i presupposti essenziali per garantire la base ottimale del flusso di comunicazioni

 

- Perche’ risulta fondamentale ben comunicare per ben dirigere

 

- Cosa si intende per spinta motivazionale

 

- Quanti e quali tipi di motivazione ci sono in rapporto all’organizzazione

 

- Quali sono i presupposti della motivazione al lavoro in una organizzazione

 

- Spiegare la classificazione dei bisogni di Maslow

 

- La teoria di Mc Gregor  a quali modelli si riferisce

 

- La spinta motivazionale in rapporto ai fattori di contesto, igienici, e di contenuto

 

- Quali altri modelli motivazionali possono risultare utili per la scienza dell’organizzazione

 

- Cosa si intende per ‘problem setting’, cosa per ‘scanning’, e cosa per formazione continua

 

- Cosa spega il Diagramma T.S. (Tannenbaum e Schmith)

 

- Cosa significa guidare per decidere

 

- Perche’ e’ importante il controllo

 

- Che rapporto c’e’ tra controllo e responsabilita’

 

- Quale e’ l’importanza del controllo in rapporto agli obiettivi

 

- Scienza o arte dell’organizzazione ?

 

 

 

©Ferdinando Dubla, 1997-2000

L’uso di questo promemoria è consentito solo per uso didattico. E’ vietata la riproduzione parziale o integrale senza l’esplicita autorizzazione dell’autore

 

 


 
 

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