DIDATTICA: Materiali
 

INTEGRAZIONI PEDAGOGIA ITALIANA
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  La Pedagogia del Risorgimento

 

A cura di: 

Fabrizio Anzolin, Domenico Cacciola, Fabio Leoni, Vincenzo Bombaci, seminario nell'ambito del 18° corso 'P'. MRS  esami: febbraio 2004

prof. Ferdinando Dubla           

 

La legge Casati e la Regia Scuola Italiana

Legge Boncompagni (1848)

La prima scuola elementare 

Le scuole tecnico-professionali

Il mondo universitario 

La pedagogia italiana dell’età del Positivismo  

Carlo CATTANEO (1801- 1869)

Valutazione della scuola post-unitaria 

L’analisi delle menti associate 

Dalla Legge Casati e l’attuazione dell’istruzione popolare 

Introduzione storica 

DE SANCTIS 1817 – 1885 

ANDREA ANGIULLI (1837-1890)

Roberto Ardigò - (Casteldidone, 1828 - Mantova, 1920)

Gabelli, Aristide (Belluno 1830-Padova 1891)

Altri esponenti del Positivismo italiano 

LA LETTERATURA PER L’INFANZIA

Raccordo storico – politico  

Conclusioni

 

 


La legge Casati e la Regia Scuola Italiana

  La legge Casati che fu promulgata nel novembre 1859 e che contemplava le sostanziali linee guida degli ordini e gradi dell’Istruzione Pubblica dalle elementari alle Università, ha risposto in maniera limitata a quelli che furono i timidi tentativi di riforma dell’Istruzione nel periodo post  risorgimentale, di connotazione borghese, che prevedeva come momento topico dell’Istruzione la preparazione degli allievi al mondo del lavoro ed alle attività produttive, necessarie in un periodo dei ricostruzione dell’unità d’Italia. Al contrario la legge Casati (1859), così come le altre due fondamentali leggi dalle quali trasse ispirazione, la Boncompagni del 1849 e la Lanza del 1857, ribadiva fortemente il principio dello studio fatto a tavolino, ignorando qualsivoglia connessione con le attività produttive e/o l’integrazione di discipline “tecniche” che fossero preparatorie al lavoro, salvo che nelle nascenti scuole tecniche o professionali dove pero’ l’attività pratica era un mero “addestramento”. La legge piemontese del 1859, sottolineava tutto il carattere di centralità e di rigidità ed apertura a quei tentativi degli studiosi ed educatori liberali del tempo, gestito da canali fortemente burocraticizzati, che spesso determinavano fortemente anche le scelte pedagogiche, culturali e di metodo. Ma come si perviene alla legge Casati? Nel 1814, il Re V.E. I, abrogando tutte le allora vigenti disposizioni in materia di istruzione pubblica, pose l’ordine ecclesiastico dei Gesuiti alla guida  delle scuole secondarie, i cui professori erano ecclesiastici o comunque laici dotati di una certificazione vescovile che attestava che essi avrebbero agito nel supremo interesse dello stato e della Religione. La scuola primaria era invece letteralmente abbandonata a sé stessa, poco diffusa e si tendeva inoltre a perseguire qualsiasi tentativo di innovazione in proposito, fino al 1848, anno in cui divennero pressanti le esigenze di istruzioni di massa per rispondere alle nuove esigenze produttive post unitarie. Nel 1838 il Conte Carlo Boncompagni, avvocato e filantropo fonda con Cavour ed altri riformatori moderati la Società  per l’istituzione degli asili infantile e circa  sei anni dopo a TORINO UNA Scuola di metodo, ora magistrale per la formazione dei futuri maestri primari che ebbe un gran successo, tanto che si diffuse ben presto anche in altre città del Piemonte. Un anno dopo presso l’università apriva una scuola superiore di Pedagogia per preparare i professori secondari. Ma, il diffondersi di queste nuove tendenze tra i docenti del mondo universitario, desto’ dei spetti nelle autorità civili e religiose Gesuite che proprio sotto la guida di V.E. I  avevano trovato nuovi impulsi. Le scuole di metodo elementari non furono chiuse perché vi era estrema necessità di formare maestri e perché era considerato un livello talmente “infimo” da non poter intaccare le prerogative dei ceti abbienti o inquinare il mondo politico ed ideologico. Non fu così per gli ambienti universitari e pertanto il monopolio dei Gesuiti che gestivano le università, ne decretarono la chiusura mentre le scuole elementari erano gestite dal clero minore; ma i tempi non erano più quelli di una volta, l’esigenza di studi tecnico-professionali e l’istruzione  primaria erano così pressanti che i Gesuiti non riuscirono a contenerla e fu proprio su questo che fecero leva gli studiosi liberali piemontesi. Lo stesso Cavour promosse la Società Agraria; il momento storico dunque ed una forte ripresa economi a avvio’ la corsa all’educazione ed alla sua diffusione.

 

Legge Boncompagni (1848)

La legge Boncompagni fu approvata nel 1848 dal governo e prese il nome da uno dei membri della commissione  che la preparo’. L’istruzione veniva divisa in 3 gradi: universitario, classico, tecnico o speciale, primario e popolare, tutti posti sotto la tutela pedagogica ed amministrativa del Ministero della P.I., che subentrava al controllo dei Gesuiti. Per questo la legge Boncompagni fu il primo tentativo radicale di laicizzazione dell’ordinamento scolastico , estendendo il controllo del governo anche alla scuola privata ed a quelle ecclesiastiche. Ma malgrado cio’ le innovazioni pedagogiche furono blande, si centralizzo’ soltanto il controllo, l’insegnamento della religione rimase garantito dalla presenza nelle scuole di un direttore spirituale nominato dal vescovo e le innovazioni chieste dai liberali rimasero inascoltate. Era confermato il primato dell’indirizzo umanistico e delle discipline classiche, furono  appena introdotte le discipline scientifiche e matematiche. Il movimento ideologico che ispiro’ la legge Boncompagni, avrebbe voluto contrapporre alla pedagogia dei gesuiti una pedagogia di matrice militare sul modello dell’accademia ma ben presto questo si rivelo una mera velleità ed anzi il processo di laicizzazione si mostro piu’ lento del previsto. La legge Casati, approvata direttamente dal re V.E.I  nel novembre del 1859, ribadisce il centralismo già espresso dalle leggi Boncompagni prima e Lanza poi, la dipendenza diretta dal consiglio della Pubblica Istruzione nominato direttamente dal Ministro. Era tipico della classe borghese piemontese non confrontarsi con le realtà così diverse di un’Italia appena riunita ma di riferirsi ai modelli istituzionali. Questo fattore creo’ non pochi problemi e ritardi soprattutto nel momento in cui il modello dell’ordinamento scolastico elaborato in Piemonte venne esteso ad altre regioni quali la Lombardia, Toscana, Marche ed al regno delle due Sicilie.  Il primo censimento post-unitario del 1861, rivelo’ e rilevo’ una media di analfabetismo del 75%, un dato drammatico tanto piu’ si andava a sud e piu’ diffuso tra la popolazione di sesso femminile. Ancora le differenze linguistiche da regione a regione ed i diversi dialetti nell’ambito della stessa regione erano diversissime  e scarsa era la conoscenza della lingua nazionale, parlata solo dai letterati, funzionari, avvocati da quelli insomma che conoscevano anche il latino. Si penso’ allora di istituire una vigilanza all’insegnamento della lingua nazionale con la diffusione dei provveditorati agli studi e come modello fondamentale per la didattica fu scelto quello tedesco o prussiano, sia per scelte di matrice politica quali il centralismo e la forte burocrazia ma anche per contenuti e metodi didattici ministeriali cui il cittadino si doveva conformare passivamente con il versamento del tributo. L’impianto didattico prevedeva la divisione in classi per anni di corso, la priorità alle discipline letterarie e classiche anche negli indirizzi tecnici, la svalutazione della scuola di base e la super valutazione di quella secondaria classica ed universitaria, gli orari rigidi e l’eliminazione di ogni attività non prevista dai programmi ministeriali. Altra affinità con il modello della dotta Germania, fu il concetto di libertà accademica, in particolare del mondo universitario dalla passata egemonia ecclesiastica dei gesuiti in Piemonte come dei luterani in Germania, infine la concessione classista di separare nettamente la scuola antica classica dalla nuova scuola tecnica ed entrambe ancora dal grado di istruzione elementare, ribadendo il concetto delle differenze sociali dei ceti e della divisione sociale del lavoro.

 

La prima scuola elementare

 

Tuttavia le novità della legge Casati non furono poche: venne istituita la prima scuola elementare per tutti, di quattro anno con un biennio inferiore ed uno superiore; si insegnavano materie quali la religione, lettura e scrittura, aritmetica e sistema metrico, la lingua italiana , la geografia elementare e la storia nazionale. Scienze fisiche e naturali applicabili principalmente agli usi della vita quotidiana. Un ulteriore divisione era tra corsi per maschi e per femmine in cui si insegnavano anche i “mestieri donneschi”. L’istruzione elementare era a carico dei comuni, restando pero’ di competenza del ministero della pubblica istruzione i programmi e le didattiche. La scuola elementare è stato detto essere obbligatoria per tutti ma occorrerà attendere sino al 1877 per ribadire il connotato di obbligatorietà. La scuola elementare fu frequentata prevalentemente dai figli del popolo ed in misura ridotta dai figli della piccola borghesia, che attendevano ad attività commerciali, d’artigianato ed a piccoli impieghi. La media ed alta borghesia la disdegnarono a lungo, provvedendo in altro modo ad un’istruzione classica ed umanistica, alimentai dalla preoccupazione di trovarsi seduti sui banchi con i figli di operai e contadini.

Le scuole tecnico-professionali

 

A similitudine delle scuole elementari, che dipendevano direttamente dia Comuni, le scuole ad indirizzo tecnico e professionali avevano chiaramente la finalità di formare i futuri operai specializzati da avviare nel mondo industriale che si stava lentamente costruendo nell’Italia post risorgimentale. La legge Casati dunque, come per le scuole elementari, ancora una volta tutelava i licei, i ginnasi ed il mondo universitario, i quali invece dipendevano direttamente dal Consiglio Superiore della P.I., volti questi ultimi alla formazione delle future classi dirigenti.

 

Il mondo universitario

Il canale scuola classica – università, era evidentemente una realtà ancora privilegiata dalla legge Casati. Un corso di studi dunque volto alla formazione di futuri dirigenti delle carriere, tanto pubbliche quanto private, che avrebbero atteso a studi letterari e scientifici. Le facoltà attive erano cinque: teologia, evidente retaggio della cultura gesuita pre legge Casati, giurisprudenza, medicina, lettere e filosofia, scienze. Nell’ambito di quest’ultima era prevista anche una “scuola di applicazione” , volta alla formazione di ingeneri che avrebbero dovuto costruire le strade, le ferrovie, i ponti, i palazzi in un periodo storico-sociale di sviluppo economico unitario. Chiaramente all’università s’accedeva soltanto da studi secondari classici. Nonostante  l’autonomia delle università, riconosciuta dal fatto che dipendesse direttamente dal Consiglio Superiore della P.I. e non dai Regi Provveditorati come per gli altri ordini e gradi, i docenti universitari potevano essere comunque destituiti qualora non avessero atteso a precisi “atti che potessero onorare il loro ufficio” e per avere con il loro insegnamento impugnate le verità sulle quali si fonda la costituzione civile dello stato e della morale religiosa, o per essere stati insubordinati ai regolamenti accademici.

 

 

La pedagogia italiana dell’età del Positivismo

Carlo CATTANEO (1801- 1869)

Profondamente immerso nell’ambiente culturale milanese, Cattaneo fonda e dirige per cinque anni la rivista “Il Politecnico” (1839-1845), in cui discute la riforma dell’istruzione. Propugnatore del progresso scientifico in Italia, si trova  inviso al governo austriaco e dopo la partecipazione attiva alla rivoluzione del 1848 è costretto all’esilio a Castagnole presso Lugano, dalla quale non andrà più via. Dopo l’Unità parteciperà  tuttavia attivamente la dibattito sulla riforma scolastica italiana, collaborando con il ministro dell'’istruzione Matteucci, al quale scrive una “Lettera sul riordinamento degli studi scientifici” (1862).  Dalla sua adesione alle teorie positivistiche, Cattaneo ricava la convinzione che l’educazione sia opera della socità e che gli studi positivi debbano avervi la preminenza. Parallelamente all’ampliarsi di questi studi, egli approfondisce l’analisi della situazione scolastica nel Lombardo-Veneto, scoprendone le lacune e le deficienze. Scarsa affluenza alle scuole infantili, maestri mal retribuiti, insegnamento più astratto che pratico nelle scuole tecniche, eccessivo mnemonismo, scarso spazio alle scienze e mancanza di scuole professionali. Sono questi i mali dell’istituzione scolastica che Cattaneo denuncia con maggior vigore. Di fronte a questi elementi critici egli delinea pero’ anche una concezione pedagogica in positivo, di cui possiamo così sintetizzare i punti principali.

·       La convinzione circa il valore sociale e civile della scuola: tutto l’insegnamento deve dare forza e dignità al popolo e tutte le scuole devono preparare l’adolescenza al fine supremo di tutti i nostri pensieri. La difesa della patria (richiamo al valore sociale e civile);

·       L’esigenza che l’istruzione di base (asili e scola elementare) sia universale: gli asili e l’istruzione elementare devono essere sovvenzionati tanto dai Comuni quanto dallo Stato, in modo che gli insegnanti abbiano una retribuzione mento umiliante e non siano costretti a svolgere anche altre attività,

·       La necessità di superamento della frattura tra cultura umanistica e cultura scientifica. Il curricolo di studi dei licei deve essere sfoltito e ridotto all’insegnamento di latino, greco, storia, geografia, matematica e, una volta a settimana, religione da arte di un sacerdote;

·       La necessità di una più approfondita e diffusa istruzione tecnico-professionale, soprattutto agraria, che egli considera fonte di benessere per il singolo e per tutta la nazione. In alternativa al ginnasio-liceo, Cattaneo propone l’istituzione di scuole professionali per i meno abbienti;

·       La proposta di un nuovo metodo didattico. Questo dovrà salire dal noto all’ignoto, dall’ovvio al difficile e dalle cose più necessarie a quelle che lo sono di meno, per graduare l’insegnamento sulla base dell’età del’alunno scandendo nel tempo l’insegnamento della materia. (cfr. il metodo naturalistico ed attivismo). L’attività dovrà essere impostata su orari più brevi e migliore preparazione degli insegnati formati in una apposita “Facoltà professoria”, incentrata sulla cattedra di Pedagogia, con un ulteriore perfezionamento per la didattica nelle scuole superiori.

 

Valutazione della scuola post-unitaria

Uno dei principi dominanti della concezione di Cattaneo della scuola, coerentemente con il federalismo democratico che lo ispira, è il decentramento e l’autonomia dagli studi elementari fino all’università, per poter tenere adeguatamente conto della diversità delle realtà locali che costituiscono il neonato Stato italiano.  Nell’articolo del 1860 “la nuova legge del pubblico insegnamento”, scritto a commento della legge Casati, Cattaneo sottolinea dunque aspetti negativi come l’accentramento burocratico, la prevalenza dell’istruzione classica su quella tecnica e professionale, il mancato rinnovamento dell’insegnamento religioso (retaggio dell’influenza dei Gesuiti) e la mancanza di una dimensione  ”militare e civica” che desse forza e dignità al popolo e rendesse sicura la difesa della patria (valore sociale e civile che si traduce nella difesa della patria). Cattaneo teorizza un modello federale a similitudine di quello elvetico, paese dove vivrà in esilio, convinto come era che mantenendo le diversità di idiomi dialettali, pur conoscendo e d insegnando la lingua nazionale, le tradizioni e gli usi , dunque le singole identità regionali, in caso di necessità di difendere il suolo nazionale ed in virtu’ di quei principi sociale e civili che l’istruzione forniva secondo il vagheggiato modello accademico, la popolazione avrebbe sicuramente risposto con maggior entusiasmo, mandando in campo i suoi figli migliori.  Cattaneo propone dunque di far partire questa riforma proprio da quel clero minore che fino ad adesso aveva gestito l’istruzione di base ed elementare, fornendo nozione tecniche e soprattutto in materia agraria.

 

L’analisi delle menti associate

Scritto filosofico di notevole interesse (1859), del tutto nuova nel  contesto storico-culturale italiano, in quanto ha costituito la primissima teorizzazione di “psicologia sociale”, che avrebbe potuto gettare luce sul passato storico dell’uomo, spiegarne il presente e prepararlo al futuro ; cio’ grazie proprio alla fervida attività delle menti umane che alimentate dal sapere avevano ed avrebbero ancora prodotto il suo “incivilimento”, strumento scientifico per la futura organizzazione delle società umane. Studioso attento di molte scienze, fu contro l’arroganza di una filosofia, quella spiritualistica, che si alimenta di problemi praticamente insolubili e soprattutto è grande sprezzatrice delle scienze, un difensore accanito del metodo e dei risultati scientifici, invitando i giovani, in pieno clima di restaurazione spiritualistica, a dedicasi ai faticosi studi positivi, in quanto, affermava, solo le discipline sperimentali costituiscono la potenza e la gloria delle moderne nazioni (cfr. pragmatismo). E’ dunque convinzione certa che il progresso storico è determinato dal progresso della conoscenza dell’uomo e che l’incivilimento è il prodotto del pensiero umano e dell’attività della mente; di qui, l’importanza dello studio come valore morale (patria) e civile.

 

 

Dalla Legge Casati e l’attuazione dell’istruzione popolare

 

Introduzione storica

 

La penisola italica conosce il progresso affermarsi del regno d’italia come stato unitario che porta al dissolvimento degli stati regionali(1861 fine del Regno delle Due Siciliane,1870 conquista dello stato pontificio) Il nuovo stato unitario è presto assillato dei problemi interni connessi a una economia arretrata,con la presenza di un altissimo indice di analfabetismo. Il processo unitario del resto favorisce le regioni del nord, soprattutto la Lombardia e il Piemonte, che diventa il cuore industriale del nuovo stato. Alla poderosa crisi economica degli anni 1880 l’ Italia risponde con il fenomeno dell’emigrazione: massa consistenti di contadini delle regione del Sud, costrette a cercare fortuna nelle regioni più ricche del nord Europa e negli Stati Uniti 

 

DE SANCTIS 1817 – 1885  

VITA ED OPERE

 

Francesco DE SANCTIS nacque a Morra-Irpinia(oggi Morra-De-Sanctis,Avellino) nel 1817 mori a Napoli nel 1883, visse a Napoli dall’età di nove anni ,studio prima con un zio Sacerdote e poi con il purista Basilio Puoti. 1839 apri una scuola privata dove continuo a insegnare anche dopo essere nominato professore 1841 nel Collegio   militare delle Nunziatella. Stimato critico letterario e docente universitario, egli ebbe la percezione del problema della scuola italiano pre – post unitaria, fu sè pur  breve periodo tra il 1848- 1849 nella commissione di riforma dell’insegnamento primario e secondario delle Due Sicilie. Nel periodo in cui fu relatore egli scrisse tre relazioni, che rimassero lettere morte, nel maggio 1848 partecipò con i suoi allievi all’insurrezione napoletana, che nel dicembre 1850 gli causarono da prima la prigione e dopo l’esilio. Eletto deputato, fu nominato Ministro della pubblica istruzione da Cavour nel neo governo dell’unità d’Italia dal 1861 al 1862 .l’anno successivo abbandona la maggioranza parlamentare ed insieme a Settembrini fondò a Napoli il quotidiano “L’Italia” e si impegno a organizzare l’opposizione parlamentare, nel 1867 fu rieletto deputato e successivamente fu Ministro della Pubblica Istruzione altre due volte(1878 e 1879-1881).

 

PENSIERO

 

De Sanctis segnala subito, al pari di Cattaneo, i difetti della legge Casati, egli cogli da subito la necessita di decentrare e il diffondere delle scuole elementari e di migliorare i processi formativi degli insegnati, nella sua visione di riforma, egli propone la creazione delle “scuole normali” scuole atte alla preparazione dei maestri, la diffusione delle scuole elementari obbligatorie e gratuite e la promozione di una scuola tecnico-scientifica.

 In ogni caso DE SANCTIS dimostra consapevolmente, come molti dei limiti della situazione scolastica italiana dipendono anzitutto dalle circostanze e dal contesto storico- sociale di ciascuna situazione, piuttosto che dalle cattive leggi. DE SANCTIS cogli acutamente l’insufficienza delle riforme di legge nell’attuare una migliore qualità dell’istruzione, e indica nelle imperfezioni della legge Casati un ostacolo secondario per il raggiungimento dei fini di un istruzione elementare.

 L’istruzione elementare viene colta dal DE SANCTIS non solo nel suo aspetto di tutela dell’ordine sociale , ma nel suo significato più profondo diritto d’istruzione e di emancipazione umana e politica del popolo ,e particolare di quelle masse contadine meridionali che soffrivano della mancanza di istruzione

 

Il De Sanctis non si limita a teorizzare solo il suo pensiero di come dovesse essere l’assetto delle scuole italiane, ma lo tradusse in pratica ispirandosi ad un moderno positivismo; egli propone:

 

La Pratica didattica: Favorevole alla letteratura dai contenuti robusti, propone una didattica fondata sull’interesse, sull’esperienza dell’allievo. (Associare i giovani al mio lavoro, e fare che ciascuna lezione sia il prodotto di un lavoro collettivo)

 

Il Realismo: rivalutato dal De SANCTIS,  perché  incoraggiava gli studi seri: nella vita pratica, essi inducono al possesso della realtà, ed al riappropriarsi della fede dell’umano sapere. (Cose e non  parole è il suo motto).

 

Egli sosteneva l’idea di trasformare  le lezioni in laboratorio: ma egli stesso, in  un articolo autobiografico del 1872, dichiara che è stato un fallimento in quanto gli allievi spesso sono impazienti di sentir cantare il maestro, e battergli le  mani , con ciò dimostrerà la grande modernità della sua visione dell’attività docente.

 Racchiudendo anche se in poche brevi righe il pensiero di questo grande critico letterario e docente universitario cosa possiamo dire:

Che confluirono nel pensiero del DE SANCTIS i motivi più significativi della cultura romantica in un periodo che si stava orientando verso la ricerca filologico-erudita. A dare ancora oggi attualità agli scritti del De Sanctis è la sua prosa antiletteraria, fervida,mirabile per estro e immediatezza di pensiero, essenzialità.

Contrastato dal positivismo della scuola storica non ebbe immediati continuatori. Si ebbe una rivalutazione del pensiero desanctiano grazie a Croce e poi tramite Gramsci e la critica di ispirazione marxista. 

 

 

ANDREA ANGIULLI (1837-1890)

VITA ED OPERE  

Castellana di Bari 1837 - Roma 1890) Sicuramente figura principale del positivismo pedagogico italiano, dapprima allievo della Spaventa, poi formatosi nella scuola hegeliana di Napoli, successivamente aderì al positivismo durante un soggiorno in Germania , dove si era recato per seguire dei corsi di perfezionamento.

Si affaccia all’insegnamento volendo fare esperienza nelle scuole per l’infanzia dove insegna anche etica e psicologia. Fu professore di pedagogia nell’università di Bologna (1872-1876) poi in quella di Napoli dal (1876 sino alla morte). Nel 1880 fondòla Rassegna critica di opere filosofiche, scientifiche e letterarie. Il suo positivismo è screvo degli atteggiamenti romantico-religiosi del Comte e tende a risolvesi in pretto naturalismo e fenomenismo.Anche egli è profondamente convinto della necessita e dell’urgenza di un  istruzione e di una educazione popolare per la vita della nazione, ma inserisce questo problema in un contesto più ampio quello della questione sociale, dove concorrono tutte le componenti sociali di una società. (L’intellettuale, morale, estetica, religiosa, economica, civile e politica), vi debba essere una ricostruzione dell’intero corpo sociale.

Così il problema non è affidato ad un cambiamento repentino e violento,  bensì al frutto del cambiamento lento e graduale e trasformatore delle future generazioni; egli sostiene anche che l’educazione deve essere intesa come lotta suprema di una civiltà per preservare la propria identità.

PENSIERO

Egli fissa tre  concetti chiave nel suo pensiero pedagogico; l'educazione deve essere:

 

1.   Scientifica e Letteraria con un indirizzo Liberale - Democratico, anticlericale, egli ritiene che l’educazione deve fondarsi su una filosofia “positiva “

 

Filosofia Positiva , come forte coesione fra cultura, sistemi educativi e la politica di una società, che diventerà la spinta che produrrà il contemporaneo progresso dell’individuo e della società .Cosi la filosofia positiva si attua come pedagogia positiva e come politica positiva, e può risolvere il problema dell’educazione ed il problema sociale

 

2.   Pedagogia Scientifica, un  incrocio tra  Antropologia su base biologica e sociologica:

 

Antropologica: perché ci permette di avere una cognizione di ciò che è l’organismo fisico, intellettuale e morale della vita individuale.

 

Sociologica: come nesso tra educazione e società nella sua dimensione politica, di un ideale laico come proprio di un cittadino del nuovo stato.

 

3.   Compito della Famiglia come prima forma basilare di educazione,attraverso la figura paterna e materna ,ed al suo interno, educare la donna secondo un insegnamento scientifico-filosofico.

Il padre e la madre rappresentano due figure importanti per il bambino:

Il padre rappresenta: la prima forma di autorità e di legge, a cui il bambino deve sottostare 

La madre rappresenta: l’affetto e la tenerezza sinonimo di armonia liberale, questo connubio di libertà e adeguamento prepara alla vita sociale.

Pertanto la pedagogia, come scienza dell’educazione, che si trova al centro di molteplici influenze e contributi.Il raggiungimento dell’obbiettivo sociale attraverso l’educazione conduce l’individuo a possedere un criterio regolativi di condotta morale che si identifichi  con la coscienza della solidarietà sociale. A partire già dell’educazione che i fanciulli ricevono in seno alle proprie famiglie e successivamente affidata ai maestri laici. L’educazione scientifica, osannata dal positivismo, è il mezzo per conservare l’ordine e il progresso nei confronti delle reazioni clericali. Egli sosteneva inoltre che l’educazione nazionale non può essere affidata a chi non ha fede nel potere dell‘intelligenza  d nei progressi che le civiltà compiono. Angiulli si inserisce nel filone delle polemiche che si inescano tra la borghesia e le resistenze che il clero opera nei confronti del nuovo Stato italiano e il suo processo di modernizzazione.

L’educazione deve essere compito esclusivo e in contestato dello Stato in quanto unico mediatore tra i due poteri sopra citati, il fine generale che lo Stato attribuisce all’istruzione e  quello di auto indurre  nel individuo delle regole per poi operare una propria condotta morale nella contesto sociale.

 

Roberto Ardigò - (Casteldidone, 1828 - Mantova, 1920)

 

Ordinato sacerdote nel 1851, smise l'abito ecclesiastico nel 1871. Insegnò storia della filosofia a Padova dal 1881 al 1909. Morì suicida.

 

Le sue opere principali sono: La psicologia come scienza positiva (1870), La sociologia (1886), La morale dei positivisti (1878), Il vero, Unità della coscienza, La scienza dell'educazione (1893).

Quasi tutti i suoi scritti sono raccolti in 11 volumi di Opere del 1882–1918

 

Fu il più insigne rappresentante del positivismo italiano; sostenne l'esclusivo valore della realtà fenomenica. Accettò il principio evoluzionista (Spencer) che vuole la morale prodotta dalla convivenza.

Alla base della filosofia di A. c’è una teoria della sensazione di tipo empiristico, che collega la "formazione delle idee" alle "rappresentazioni sensibili", attraverso una loro "confluenza" e un correlativo "passaggio dall'indistinto al distinto". Le idee devono essere provate sui fatti e i fatti si danno nella sensazione.

A. Definisce il concetto di centralità de "fatto" che ha una propria realtà per sé: " una realtà inalterabile, una realtà che noi siamo costretti ad affermare tale quale è data e la troviamo coll'assoluta impossibilità di toglierne o di aggiungerci nulla. Dunque il fatto è divino ".

In accordo con la regola fondamentale del positivismo, Ardigò ritiene pertanto che ogni sapere si debba fondare sui dati di fatto.

Anche la pedagogia intesa come “Scienza dell’educazione” deve trovare fondamento nel fatto educativo così come naturalmente si verifica. Egli afferra che lo sviluppo naturale del fanciullo è determinato da due fattori: ereditario e ambientale. In particolare il fattore ambientale è a sua volta influenzato da quattro “matrici”: famiglia, Chiesa, scuola e Stato, che modificano sostanzialmente i risultati dell’educazione. Per ciò che riguarda la matrice Chiesa, essa dovrà essere rimpiazzata dalla matrice scuola cercando di attuare un’educazione uniformemente diffusa e più scientificamente orientata, al contrario di come era avvenuto sino allora, quando il monopolio dell’istruzione era appannaggio dei Gesuiti.

Secondo A., l’educazione, frutto del contributo di tutte le matrici, quindi oltre la dimensione del solo contributo scolastico e famigliare, serve per formare nell’uomo una sua seconda natura di persona civile, buon cittadino, e individuo dotato di formazione individuale e specifica.

La suddetta educazione è il prodotto di tre momenti: attività, esercizio, abitudine.

L’abitudine scaturisce dall’esercizio e l’esercizio presuppone un’attività.

L’attività è alla base del processo educativo, ma esige degli stimoli che il maestro deve essere abile a procurare; il metodo intuitivo, che A. identifica come fondamentale, permette di apprendere a seguito di produzione di esperienza reale e non per la sola parola del maestro. L’intuizione può essere diretta e naturale, cioè derivante da osservazione spontanea dei fenomeni, ma può essere anche diretta artificiale cioè prodotta attraverso esperienze già selezionate e proposte dal maestro. Esiste poi l’intuizione indiretta, l’insegnamento scolastico tradizionale, cui si deve far comunque far ricorso quando non è possibile procedere attraverso intuizione diretta. Fa parte dell’intuizione indiretta anche l’insegnamento parlato, necessario per diversi aspetti quali distinzioni, ragionamento logico, trasmissione delle idee, che tuttavia può comportare il rischio di equivoci.

Per ciò che concerne il metodo, riguardo alla sua forma logica, esso può essere di tipo deduttivo sintetico oppure induttivo analitico. Secondo A. quello induttivo analitico è il vero metodo scientifico da adottare nelle scuole elementari. Infatti il fanciullo, non avendo accumulato una congrua base di idee, non ha quella capacità di sintesi che invece possono possedere gli alunni delle scuole successive, dove infatti andrebbe  utilizzato il metodo deduttivo sintetico. In questo contesto il maestro deve rispettare tre principi: 1) passare dal noto all’ignoto; 2) passare dal semplice al composto; 3) passare dal facile al difficile.

L’esercizio è la ripetizione continuata degli stessi atti; ha lo scopo di ingrandire l’organo, renderlo più energico, formare nuove connessioni, formare la volontà.

L’abitudine è il risultato finale dell’esercizio dell’attività e rappresenta per A. l’educazione stessa. Particolare attenzione egli dedica all’educazione morale, che considera come l’abitudine a compiere del bene liberamente per propria convinzione.

 

 

Gabelli, Aristide (Belluno 1830-Padova 1891)

 

Pedagogista italiano, Provveditore agli Studi a Roma, Direttore capo di divisione per l’istruzione primaria e popolare, membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione e ispettore centrale, deputato nel 1866 e nel 1890.

Le sue opere principali sono: L'uomo e le scienze morali (1869); Il metodo d'insegnamento nelle scuole elementari d'Italia (1880); Sul riordinamento dell'istruzione elementare (1888) ;Il positivismo naturalistico in filosofia (1891); L'istruzione in Italia (1891, in 2 voll.).

Uno dei promotori del positivismo pedagogico italiano, che contribuì maggiormente alla trasformazione dei principi del positivismo in concreta pratica ed organizzazione scolastica

 

"Il maestro deve tener presente che la scuola ha da servire a tre fini, a dar vigore al corpo, penetrazione all'intelligenza e rettitudine all'animo".

 

La sua convinzione era quella secondo la quale l’emancipazione delle masse popolari si realizza mediante la scolarizzazione, per cui elabora i nuovi programmi per la scuola elementare (1888). Il fine da perseguire è quello di adeguare la società Italiana a quella delle altre Nazioni Europee. Il mezzo mediante il quale compiere il passo è la scuola, che attraverso l’educazione deve formare dei cittadini consapevoli, preparati al “nuovo” che sta sorgendo e colmare quel divario esistente tra uomo ed istituzione. L’educazione, affinchè sia utile, socialmente ed individualmente, deve essere accomodata al tempo. Il vecchio va cambiato e tale affermazione si concretizza nel fatto che l’educazione deve divenire laica, conservando tuttavia gli insegnamenti religiosi limitati alla semplice morale evangelica. Allo stesso modo la scuola di base, laica statale e obbligatoria, non escluderà l’istruzione classica che resterà riservata ai figli dei benestanti colti.

La concezione della scuola del G. consiste nel fatto che essa deve preparare il giovane a saper osservare i fatti, insegnare a pensare, a trarre esperienza da tutto ciò che cade sotto i sensi, anziché apprendere senza esaminare aiutandosi solo con la fantasia. Egli auspica l’utilizzo di un metodo intuitivo più importante degli stessi contenuti, che produca alla fine del processo formativo un individuo capace di pensare con la propria testa e non pronto solo a “servire e tacere”. La lezione di Gabelli si rivela in tutta la sua sapienza quando critica il nozionismo fine a se stesso, privilegiando le cognizioni, che pure è necessario somministrare, "le abitudini che il pensiero acquista dal modo in cui vengono somministrate" (metodo). "Le cognizioni non poche volte, e forse il più delle volte, dopo un po' di tempo di desuetudine dagli studi, vengono in molta parte dimenticate, quando invece il modo di pensare dura tutta la vita, entra in tutte le azioni umane…".

Il maestro elementare viene anche invitato a stare alla larga dall'istruzione "parolaia e dogmatica", a calare l'insegnamento nella realtà.  Gabelli invita l'insegnante a servirsi di materiali didattici tratti dalla vita di tutti i giorni, a cominciare dagli oggetti di uso comune, già familiari ai ragazzi. Infatti "la forma degli oggetti, il loro colore, la loro genesi, l'uso a cui servono… aprono innanzi a loro i campi della natura e dell'industria e porgono occasione di portare la loro mente avida di sapere nel mondo reale"

Un altro aspetto da curare, strettamente connesso al precedente, è la formazione dello strumento “Testa” intesa come capacità di analisi critica del reale e di proprio giudizio, importantissimo ciò per evitare i condizionamenti sociali delle comunicazioni di massa.

Il G. puntualizza inoltre che l’alfabetizzazione popolare non consiste solo nell’insegnamento della lettura e scrittura, poichè esse sono solo una parte di un contesto in cui l’individuo parla/descrive ed affronta sue esperienze concrete, innescando un processo di apprendimento naturale, così come naturale è stato quello che gli ha fatto apprendere il dialetto da bambino.

I programmi che nel 1888 Aristide Gabelli dettò per la scuola elementare italiana avevano il dichiarato obiettivo di "formare lo strumento testa" attraverso la diffusione delle conoscenze e, soprattutto, attraverso "l'assiduo esercizio della riflessione che vuol essere adoperata nella ricerca, nell'esame e nel giudizio dei fatti". Si affermava così l'idea di una scuola che deve non solo liberare l'individuo dall'ignoranza, ma anche dargli l'abitudine a confrontarsi con la realtà, a ricercare la ragione delle cose per prepararlo a pensare autonomamente esercitando il proprio senso critico, in altre parole, per metterlo in grado di partecipare alla vita sociale e civile e di contribuire allo sviluppo economico di un paese.

 

 

Altri esponenti del Positivismo italiano

 

PIETRO SICILIANI (1835-1885)

 

Tra gli altri iniziatori del movimento positivista in Italia troviamo anche Pietro Siciliani. I suoi studi si svolsero prima nel seminario di Otranto poi a Lecce e a Napoli ed infine a Pisa dove si laureò in medicina e chirurgia. La sua vocazione lo orientò verso le discipline filosofico-positivistiche tanto da ottenere nel 1862 la cattedra di filosofia speculativa e morale nel regio liceo Dante Alighieri di Firenze. Fu professore anche a Bologna incaricato all’insegnamento della pedagogia. Lui era convinto che l’educazione era il mezzo decisivo per il progresso dell’umanità ed espresse tale concezione nella sua opera  “la scienza dell’educazione”. Fermamente convinto che l’azione educativa doveva prevedere anche l’intervento della famiglia e della società. Altro suo pensiero fondamentale fu il principio dell’autodidattica che pur non escludendo l’azione dell’educazione mette in primo piano il protagonismo del soggetto da educare e la pedagogia positiva debba ritracciare i mezzi e i metodi per trasferire nella scuola la realizzazione del processo autodidattico. Convinto assertore della laicità della scuola,Siciliani contribuisce alla formazione di quel movimento di idee che porterà all’emanazione nel 1877 della legge Coppino.

 

 

SAVERIO DE DOMINICIS (1845-1930)

 

Nasce a Buonalbergo il 22 settembre 1845. Frequenta il Liceo Giannone di Benevento e si iscrive alla Normale Superiore di Pisa laureandosi nel 1868. Insegna filosofia nei Licei di Cremona, Venezia, Bologna e poi Bari dove è stato trasferito d'ufficio per le sue idee filosofiche. Nel 1881 vince il concorso a professore di Pedagogia all'Università di Pavia dove insegna Filosofia morale e Filosofia della Storia. Nel 1920 viene collocato in pensione con solenni onoranze del Ministro dell'Istruzione Benedetto Croce e nominato Professore Emerito.

 E' autore di “una scienza comparata dell’educazione” in cui spiega che solo con una scientificizzazione dei contenuti ed una laicizzazione del suo insegnamento l’educazione potrà sviluppare la coscienza morale dei nuovi tempi. Interessandosi soprattutto all’aspetto politico-sociale dell’educazione, egli ne individua il problema centrale nella formazione di una scuola popolare successiva a quella elementare per una educazione socio-politica.  E' indispensabile elevare il grado di istruzione di tutta la popolazione e superare la divisione anacronistica tra istruzione tecnica e classica. Quindi occorrerebbe istituire una scuola secondaria inferiore unificata, da cui fare dipartire gli indirizzi superiori classici e tecnici ed estendere alle donne il diritto di istruzione.

 

PASQUALE VILLARI (1827-1917)

 

Nasce a Napoli il 3 ottobre 1827. Fa il professore di storia all'Università di Pisa (1859-65), all'Istituto Superiore di Firenze (1865-1913), deputato (1870-76 e 1880-82), senatore dal 1884, fu ministro della P.I. (1891-92) e presidente della Società Dante Alighieri (1896-1903).

Allievo del De Sanctis, ne condivide l’attenzione per il problema della scuola, che affronta con metodo comparativo e “positivo”. Famoso per la sua opera “Lettere Meridionali” con cui fa conoscere la miseria delle popolazioni del sud. Nel suo scritto “la scuola e la questione sociale” evidenzia le reali condizioni di disagio in cui versa la scuola italiana e non ritiene che la diffusione del sistema scolastico possa dare validi risultati senza una risoluzione dei problemi sociali più urgenti; la cui mancata soluzione non può che ostacolare il raggiungimento degli obbiettivi scolastici fondamentali. Nei suoi “scritti pedagogici” descrive la situazione scolastica dei più avanzati Stati europei (Inghilterra e Germania) per confrontarla con quella nazionale. Come il Gabelli, sarà un difensore del mantenimento della purezza dell’istruzione classica e della sua autonomia, anche se riterrà il suo allargamento possibile, dati gli scarsi costi, agli appartenenti a tutte le parti sociali.

 

LA LETTERATURA PER L’INFANZIA:

 

LE AVVENTURE DI PINOCCHIO E CUORE

 

I problemi sociali descritti in precedenza, vengono anche evidenziati in due racconti  per l’infanzia: “Le avventure di Pinocchio”(1883) e “Cuore” (1886) che anche se molto differenti nello spirito e nelle intenzioni degli autori (il burattino di Collodi legato alla realtà della Toscana rurale e il giovane Enrico del De Amicis studente di una Torino che si sta avviando sulla strada dell’industrializzazione) sono efficaci documenti dei valori e della realtà dell’educazione borghese dei fanciulli nell’Italia dell’età post-risorgimentale.

Le avventure di Pinocchio escono a puntate nel giro di 3 anni sul giornale per i bambini di Roma. L’autore, Collodi (1826-1890) dopo esser stato combattente e giornalista nel Risorgimento si è dedicato con passione alla composizione di libri educativi per la scuola come “Giannettino” e “Minuzzolo”. Pinocchio vive una serie di disavventure che nascono dalla sua disubbidienza alle regole morali e comportamentali che il padre adottivo e la fata turchina cercano di insegnarli. Secondo Gérard Genot la storia di Pinocchio è un romanzo di formazione la cui morale si può riassumere nell’idea che vi è una giustizia immanente, che ricompensa il bene e punisce il male; e poiché il bene è vantaggioso, bisogna preferirlo. Le trasgressioni sistematiche di Pinocchio alla realizzazione del progetto educativo provocano punizioni spesso crudeli, che cessano solo nel momento che il burattino si adatta interamente ai valori indicatigli e supera l’ultima prova. Quindi il racconto sembra trasmettere in certi punti che ai fini della formazione morale del fanciullo la repressione e la colpevolizzazione siano efficaci mezzi educativi; secondo la morale delle storie tradizionali per l’infanzia il comportamento <buono> viene sempre retribuito. La conformazione sociale della condotta del ribelle Pinocchio produce così un cambiamento positivo che si riflette su tutta la famiglia e i suoi rapporti con la realtà; la società e la provvidenza riconoscono dunque, secondo la logica del <lieto fine> della narrazione, la bnontà dell’individuo, premiandola. Il racconto “Cuore” (romanzo per i ragazzi poveri) viene scritto dal giornalista e scrittore di idee socialiste Edmondo De Amicis (1846-1908) sotto forma di diario di un anno scolastico in una terza elementare di Torino. A tenere il diario è Enrico, un alunno di famiglia piccolo-borghese. Le annotazioni di Enrico sulla vita della classe fanno gradualmente emergere i profili dei suoi compagni e del maestro, e sono accompagnate da pagine di commento inserite nel diario dai famigliari, fra cui spiccano quelle del padre che assumono in diverse parti un tono pesantemente moralistico. Mensilmente il maestro detta agli alunni un racconto che viene riportato nel libro: tutti i racconti riportano un gesto di eroismo compiuto dai ragazzi di una diversa regione d’Italia. Tutti i racconti sono dominati da un tono patetico-sentimentale, in cui prevalgono le vicende tristi. Inoltre sono incentrati sui valori borghesi dello studio, del lavoro, del merito, del rispetto della gerarchia, dell’onore, della dignità, del patriottismo. Il laicismo positivista si riflette nella totale assenza di riferimenti religiosi, mentre i personaggi sono fortemente caratterizzati a senso unico: i compagni di Enrico sono metafora di un carattere e di una condizione sociale che De Amicis vuole emblematizzare a fine pedagogico.

 

Raccordo storico – politico

 

Ulteriori modificazioni apportate all’organizzazione scolastica dalla legge CASATI (1859) in poi, sono rintracciabili nelle leggi BACCELLI (1895), NASI (1903), ORLANDO (1904), DANEO-CREDARO (1911).

 

Conclusioni

 

Per trarre le fila del lungo “excursus” politico fin qui illustrato, è facile intuire come le vicissitudini storiche abbiano fortemente influenzato il tessuto sociale dall’unità d’Italia in poi, quali furono le dure resistenze del clero gesuita e dell’alta borghesia, le reciproche ingerenze nell’ambito del mondo scolastico ancora a connotazione fortemente borghese. Il lento sviluppo dei valori sociali e morali all’indomani dell’unificazione del Paese, dimostrano la strenua ricerca di un’educazione civica che istruisse il popolo al sentimento di Patria e di laicità dell’istruzione, intesa come momento di riscatto, di  riappropriazione di identità di popolo a connotazione nazionale.

 

 


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