Cinzia Gubbini
Pochi insegnanti e ancora meno mezzi. Ma la scuola per i poveri è d'eccellenza
. Nella Olympic school dello slum più grande di tutta l'Africa. Dove un pugno di docenti tenta di dare un'educazione e un futuro ai dannati della terra. E ci riesce molto bene
Centre stage
Schoolchildren dance for their guest.
Photo: AP/Sayyid Azim
da
Il Manifesto
del 21 gennaio 2007
Nairobi
L'Olympic school si trova nel cuore di Kibera,
uno degli slum di Nairobi, considerato il più grande di tutta l'Africa. E' una
bella costruzione in cemento, bassa, di un bianco abbagliante, piena di disegni
murali. Da dietro al cancello si sentono le voci dei bambini: sono le dieci e la
scuola è in piena attività. «Qui si lavora», dice Ruth Naulundu, la preside: una
donna ben piazzata, con i capelli raccolti in treccine e il fare sbrigativo.
Naulundu è una vera celebrità nel campo dell'insegnamento in Kenya. Perché l'Olympic
school, fondata nell'80, nonostante sia la «scuola dei poveri» per antonomasia
si piazza puntualmente ai primi tre posti tra le migliori scuole di Nairobi. Non
è tanto per dire, visto che tutte le scuole pubbliche del paese ogni anno devono
superare un esame che ne misura le loro «performance». E la preparazione degli
alunni della Olympic fa invidia a decine di scuole «per ricchi». L'esame prevede
infatti che i presidi delle scuole peggiori vengono retrocessi a «insegnanti
ordinari» e mandati a lavorare in un altro istituto. Naulundu, ovviamente, tiene
saldo il suo posto: «E pensare che non ci volevo venire - racconta nel suo
studio - quando sono arrivata, nel '98, avevo 27 anni e due figli, e volevo
insegnare anch'io nel Westlands». Cioè nei quartieri che si trovano oltre Ngong
street, un'arteria che divide in due la città e che rappresentata un confine
ideale tra la Nairobi dei poveri e quella dei ricchi.
Ora invece Naulundu nella
scuola ci vive addirittura, insieme ad alcuni insegnanti: «La nostra vita è qui.
Quando sono arrivata ho incontrato tutti: i genitori, i leader religiosi, le
autorità, i ragazzi. Ho detto: basta con questa storia che chi è povero non può
farcela». Entrando nel cancello della scuola si incontrano due grandi scritte:
una dice «uguali opportunità per tutti», l'altra «fai sempre del tuo meglio». L'Olympic
è un istituto primario: ci vengono ragazzi dai sei ai tredici anni, «ma restano
anche di più, se c'è bisogno. Il tempo è una misura che non teniamo molto in
considerazione». A partire da quello della giornata: «I ragazzi arrivano
prestissimo, ci svegliano anche alle sei di mattina, una vera tragedia - ride -
Ma noi cerchiamo di privilegiare un metodo di insegnamento non tradizionale: non
è l'insegnante che spiega e il ragazzo che ascolta. Qui si lavora molto in
gruppo, spesso sono anche i bambini a insegnare. Di questo fa parte anche il
fatto che questa scuola, per loro, ma anche per i loro genitori, è come una
casa. La maggior parte dei ragazzi è molto povera. Qui le famiglie vivono anche
in una stanza sola, che di giorno diventa il negozio dove esporre la merce. I
ragazzi non hanno lo spazio per fare i compiti e allora li fanno qui».
Kibera è considerato il
più grande slum di tutta l'Africa, ufficialmente ci vivono 800 mila persone.
Dall'alto è un'enorme distesa di tetti in lamiera. Imboccando le strade interne,
in terriccio, si passa accanto alle abitazioni, tutte in metallo, strette in
piccoli agglomerati indipendenti e spesso protette da un recinto di legno. Di
giorno è un mercato continuo in cui si vende di tutto: carne, uova, vestiti,
arnesi di ogni genere e tanta musica. Qui nessuno sa che a Nairobi sta per
cominciare il Forum sociale mondiale, dove si parlerà anche di loro. Non sanno
nulla neanche all'Olympic: «Ho talmente da fare che, a essere sincero, non
riesco neanche a leggere il giornale», dice George Njau, uno degli insegnanti.
Eppure anche nella storia dell'Olympic, come in tutte quelle delle scuole
pubbliche kenyane, c'entra uno degli acerrimi nemici degli altermondialisti: la
Banca mondiale. Perché da qualche tempo l'Olympic, come tutte le scuole
pubbliche del paese, ha un problema: tra le condizioni poste dalla Banca al
governo kenyota c'è l'istruzione primaria gratuita e universale. Una cosa
certamente buona, ma che rischia di essere un boomerang. Dal 2003, anno della
riforma, all'improvviso le scuole si sono riempite, ma gli insegnanti sono
rimasti esattamente lo stesso numero di prima. « Siamo arrivati ad avere classi
di 90 ragazzi - spiega Njau - la nostra preoccupazione è che non riusciremo più
ad assicurare risultati buoni come quelli di ora». Il problema è che per
accedere alle superiori, tutte a pagamento, bisogna superare un esame. Solo i
migliori hanno una borsa di studio e spesso gli studenti dell'Olympic riescono
solo così ad andare avanti nello studio. Molti di loro oggi sono affermati
professionisti e hanno portato la loro famiglia fuori dallo slum. Tra coloro che
escono dalle scuole primarie solo il 16%, in Kenya, riesce a continuare gli
studi. Di questi solo il 10% arriva all'università. E' una selezione spietata.
Lo sa bene anche il capo del dipartimento
dell'educazione del comune Fredrick Songole, intermediario obbligatorio per
poter parlare con gli insegnanti: «Temo che l'istruzione primaria aperta a tutti
non avrà un grande impatto finché non ci saranno i soldi per le uniformi, i
libri, le lavagne, gli insegnanti e tutto il resto», ammette. La mancanza di
nuovi insegnanti è il cruccio principale della preside dell'Olympic: «Ci servono
sul serio - dice - ma ci sono anche altre cose che impediscono a tutti i bambini
di poter andare a scuola, per esempio il fatto che l'uniforme è obbligatoria.
Può sembrare una piccola cosa ma molte famiglie qui non hanno niente. In questa
scuola educhiamo i bambini a condividere le cose. Quindi chi ne ha due ne dà una
a chi non ce l'ha. Ma in altri posti non è così».
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