DIDATTICA: Materiali
 

INTEGRAZIONI PEDAGOGIA ITALIANA
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Antonio Labriola
(1843/1904)

  [a cura gruppo di lavoro seminariale Abate-Covella-Di Caprio]
11° corso I.MRS Mariscuola, Taranto

  1. La pedagogia di A.Labriola 2. Confronto Labriola-Gramsci 3. Appendice testuale scritto sulla questione universitaria (Labriola, 1896)

 

1.La Pedagogia

 

L’elaborazione pedagogica di A.Labriola e’ molto vasta ed e’ strettamente legata a quella filosofico-politica.

Noi cercheremo di analizzare questa sua intera elaborazione evidenziando però gli aspetti di maggior interesse pedagogico-didattico:

1. la concezione della storia;

2. la elaborazione pedagogica di Karl Marx in Labriola;

3. le questioni metodologiche e didattiche;

questi tre concetti sono presenti un po’ in tutte le sue opere ma principalmente nei tre Saggi:

-         In Memoria del Manifesto dei comunisti (1895)

-         Del Materialismo storico (1896)

-         Discorrendo di socialismo e filosofia (1897)

Partiamo quindi dalla concezione della storia secondo Labriola. Egli sviluppò una concezione della storia di tipo materialistico. In una prima concezione della storia sviluppata nel Trattato “L’insegnamento della storia del 1876 esprime il concetto fondamentale che l’uomo e’ il vero artefice della storia e non tanto l’uomo considerato singolarmente ed isolato dal contesto sociale e naturale quanto l’uomo come essere sociale, che, unendo i suoi sforzi a quelli dei suoi altri simili, opera per la trasformazione dell’ ambiente che lo circonda ed acquisisce così coscienza del ruolo che viene ad esercitare nella società. Nei Saggi questa concezione e’ parzialmente modificata. La storia e l’uomo interagiscono dialetticamente. L’uomo modifica l’ambiente e l’ambiente modifica l’uomo. L’ambiente, il contesto sociale e soprattutto economico diventano quindi importantissimi e sono alla base del fatto storico. La storia, i processi storici, il pensiero e le idee dei grandi personaggi quindi dipendono cosi dalla necessità, dai bisogni, dalle occasioni esterne, dal contesto, dall’ambiente di quel determinato periodo storico. È quindi il periodo storico, quel determinato momento che bisogna analizzare per studiare oggettivamente la storia.

Per cui “Le Idee Non Cascano DAL Cielo”.

Rifiuta cosi l’interpretazione della storia offerta dagli ideologismi, ma anche dai teologi che propugnano il corso della storia come guidata da un disegno provvidenziale. Per Labriola proprio l’azione dell’ambiente storico sociale sugli uomini e la loro reazione ad esso costituiscono il tema dell’educazione.

Ma da questo concetto parte anche l’elaborazione pedagogica di Karl Marx.

Il nucleo essenziale della pedagogia marxista sta qui: nella percezione della connessione dell’ opera educativa con le condizioni della sviluppo economico-sociale.

Labriola, appunto, riprendeva questa concezione della stretta connessione della scuola con la società ma lo concepiva per lo più (anche se non sempre) come un rapporto di dipendenza univoca della prima dalla seconda. La società borghese è di stampo classista.

Che educazione ne deriva?

Ne deriva una “Pedagogia individualistica e Soggettiva”, propria dell’ IDEALISMO (Gentile,Croce,Lombardo Radice) che allora costruiva regole astratte per giustificare la società, lo stato in cui si trovava, il dominio e l’autorità della classe dominante.

Ne derivava un’educazione equivalente all’ ACCOMODAZIONE sociale (cioè alla situazione esistente).

In questa società chiusa e divisa in classi l’educazione aveva il compito esclusivo di formare l’uomo secondo modelli prestabiliti, ancorandolo ad una realtà sociale considerata immodificabile, di favorire quindi il suo inserimento nella classe dirigente o di tenerlo legato alle classi subalterne mediante un’ opera continua di carattere discriminante .

Un’educazione che serve alla classe dominante non ha quindi il compito di formare l’individuo per il futuro nè di metterlo in grado di partecipare attivamente ad un’opera di trasformazione.

Che cosa quindi occorre fare?

RINNOVARE l’attuale società dominata dal capitalismo.

Il Labriola mette in guardia contro ogni forma di ottimismo pedagogico che fa risiedere unicamente nell’ educazione e nella scuola il fattore determinante delle trasformazioni sociali.

Infatti per quanto potente possa essere l’azione della scuola ed efficace quello dell’educatore, l’azione discriminante prodotta dall’educazione in una società capitalistica e il condizionamento dell’ ambiente riescono sempre a prevalere perché l’ambiente è la società in cui l’uomo vive e si accomoda.

Si sottolinea dunque l’importanza dell’ influenza che l’ambiente naturale e sociale esercita sulla formazione dell’ individuo e il rapporto tra cultura e società e  quindi come la pedagogia dipenda univocamente dalla società e non è al contrario presupposto di trasformazione di essa.

Gli unici strumenti validi per un effettivo rinnovamento della società e di conseguenza per lo sviluppo in ambito pedagogico e culturale e’ la dottrina marxista e la lotta politica da essa illuminata.

Occorre quindi lo sviluppo di una cultura socialistica condizione indispensabili per la conquista del potere e per la formazione di un nuovo tipo di società dove vengono eliminate le classi e la servitù economico-sociale.

Possiamo così delineare l’aspetto educativo sia in una società capitalistica che comunista.

Nella prima, l’educazione è quella della classe dominante che la utilizza per soggiogare le classi povere lasciate all’ignoranza e all’analfabetismo.

Nella seconda, l’educazione invece assume il suo valore più alto in quanto pone l’individuo libero da ogni forma di soggezione sociale-economica di partecipare attivamente e costruttivamente all’edificazione di un nuovo assetto sociale basato su “un governo tecnico e pedagogico dell’intelligenza”.

Tecnico perché i tecnici predominano sui politici e sui burocrati; scomparso lo stato come dominio dell’uomo sull’uomo, é certo necessaria una struttura organizzativa della produzione, della distribuzione dei prodotti e della stessa convivenza civile e sociale che assicuri nello stesso tempo il maximum di libertà all’individuo.

Vige quindi il carattere collettivo della partecipazione dei lavoratori alla direzione della società senza classi.

In una società comunista e quindi in una società di uguali, i lavoratori partecipano e contribuiscono con la propria intelligenza al progresso e allo sviluppo sociale.

Sia l’operaio che lo scienziato lavorando fianco a fianco e partecipando alla vita sociale organizzata o come dice Labriola “alla democratica socializzazione dei mezzi di produzione” attuano un processo di critica e autocritica, di educazione ed autoeducazione che elimina ogni possibilità del restaurarsi di classi, del dominio dell’uomo sull’uomo garantendo la libertà dell’individuo.

Per Labriola, quindi, l’azione politica è l’unico presupposto di ogni incisiva attività educativa e scolastica.

Quindi, partendo dalla pedagogia di Marx e dai principi basilari del materialismo storico Labriola elabora un metodo didattico ben preciso.

Il metodo innanzitutto deve essere scientifico, deve ripudiare ogni sorta di dogmatismo e conformismo e deve analizzare i fatti storici nella analisi oggettiva e critica della concreta situazione socio-economica e politica, tenendo conto della tradizione culturale e dei precedenti storici del nostro paese.

In questo senso quindi, la pedagogia scientifica è altresì una pedagogia sociale.

Si rifiuta cosi l’utopismo pedagogico, la pedagogia soggettiva e individualistica che rifiuta il metodo che si basa sul sapere assoluto del maestro e su valori storici universali lontani dalla realtà.

Questa scientificità del metodo parte quindi dal materialismo storico ma soprattutto dal suo midollo ossia “la filosofia della prassi”.

Il metodo deve partire dalla prassi,dalla pratica e non dalle idee, principi astratti.

Dalla pratica alla teoria, sono i fatti e non le idee e non viceversa.

Ma cosa è la pratica? È vita. E la vita cosa è? La vita è lavoro.

Il lavoro che è un conoscere operando e da esso arrivare al conoscere come astratta teoria e non viceversa.

Il metodo deve essere di ricerca critica e di dibattito e di sperimentazione.

È questo l’unica via capace di condurre alla padronanza del pensiero logico-razionale e in grado di formare personalità aperte al dubbio e al confronto delle proprie idee e posizioni.

Non a caso i suoi primi studi furono rivolti a Socrate e al metodo socratico.

L’attività didattica non è sintesi ma analisi e il maestro deve con arte dialettica e socratica immergere le menti giovanili nella realtà perché osservando comparando e sperimentando poco a poco arrivi alle formule, agli schemi e alle definizioni (Ausubel lo chiamerà, quasi un secolo dopo, apprendimento significativo per scoperta) e non darle come prototipi delle cose esistenti.

Il discutere è condizione dell’apprendere e la critica è condizione di ogni progresso (fornire una metodologia della ricerca).

Il metodo deve essere collaborativo. Occorre sviluppare una formazione dei gruppi sempre più larghi di ricercatori e studiosi.

La ricerca e lo studio debbono invece assumere sempre più le caratteristiche di un lavoro di équipe, di ricerca collaborativi superando vecchi schemi e pregiudizi che rappresentano la conquista del sapere come opera puramente individuale e solitaria e considerando lo studioso come un uomo distaccato dalla vita e dal mondo.

Ma quale deve essere il fine della pedagogia?

La ricerca e la stessa libertà scientifica devono tendere alla sviluppo a tutti i livelli e come fine assoluto al fine sociale.

Egli oltre al fine denuncia i limiti che ne impediscono un più ampio sviluppo (strutture e riforme da adottare, soggezione al potere politico e religioso), le condizioni irrinunciabili che debbono essere assicurate alla libertà d’insegnamento e anticipa soluzioni e prospettive di riforma ancora oggi valide.

Analizziamole :

egli sostenne in primis, in modo particolare nella Conferenza ai maestri romani del 1888, l’ urgenza di un incremento della cultura popolare con la condizione “primissima” della scuola elementare di “molti anni e cioè fra i 6 e gli 8 “, anticipando così tutta la lotta per la scuola obbligatoria e gratuita fino al 14° anno di età (confronto con quella tedesca).

Altresì sostenne la necessita nell’interesse della scienza di un rinnovamento effettivo dell’università con una struttura più articolata e maggiormente rispondente ai bisogni e agli interessi degli studenti, capace allo stesso tempo di soddisfare le esigenze di approfondimento e di sviluppo della ricerca scientifica a tutti i livelli.

C’è bisogno per il Labriola di una profonda riforma degli esami e dei piani di studio.

I primi infatti sono per lui una delle più gravi magagne dell’Università, in quanto svolti da professori che hanno sia funzione di insegnanti che di esaminatori. Ne consegue che il professore è obbligato per ragione degli esami a generalizzare il suo programma e agli esami offrire una valutazione molto soggettiva.

I secondi invece devono essere più articolati in modo da dare agli studenti una maggiore e responsabile e autonoma libertà di scelta della facoltà al suo talento e in particolare le attitudini che l’educazione deve sviluppare devono liberamente svilupparsi dal prevalere spontaneo di certe inclinazioni.

Egli anticipa così in effetti tutto il discorso attuale sul rapporto tra facoltà e dipartimenti.

Sottolinea infine il problema dell’accesso della donna a pieno diritto agli studi universitari.

Una università rinnovata nei metodi e nelle strutture profondamente democratica e liberata da ogni forma di soggezione al potere politico e religioso è l’obiettivo quindi che il Labriola persegue: una Università nuova per una società nuova.

Una Università nuova nella quale tuttavia siano assicurate e garantite la serietà degli studi e la libertà scientifica e didattica degli insegnanti che cooperano così allo sviluppo sociale insieme  a tutti gli altri uomini, cessando di essere una casta e diventando come è giusto che sia “gente in giacca e soprabito come tutti gli altri mortali”.

 

 

Conclusioni:

per Labriola quindi bisogna eliminare le improvvisazioni, il clientelismo, il conformismo e creare una nuova società garante di libertà e di cultura.

La sua esperienza politica e culturale lo portava ad indicare nella azione politica socialmente e progressivamente motivata il presupposto vero di ogni incisiva attività educativa e scolastica.

Figura fondamentale è quello dell’intellettuale che deve combattere al fianco degli operai contro le moderne ideologie capitaliste educando le masse popolari ad una propria coscienza popolare tramite una concezione socialista del mondo.

 

  2.

=============LABRIOLA E GRAMSCI=============

 

Grande dunque è stato il debito di Gramsci verso Labriola nell’elaborazione del suo pensiero politico-filosofico-pedagogico.

Elenchiamo dunque i punti comuni:

- avversione all’Idealismo,al classismo, al dogmatismo, alle credenze popolari ecc.;

- pensiero marxiano – materialismo storico – filosofia della prassi;

- relazione tra cultura e società, tra cultura e politica;

- educazione multilaterale e omnilaterale;

- opera politica presupposto dell’educazione;

- ruolo degli intellettuali ecc.

 

Non mancano però punti di distacco, anzi di forte critica che Gramsci stesso mosse a Labriola accusandolo addirittura di pedagogia meccanica e retriva come quella del Gentile, piuttosto che dialettica e progressiva, ciò soprattutto sulla presa di posizione a favore del colonialismo italiano e alla giustificazione della riduzione in schiavitù di popoli primitivi da lui espressa nella risposta alla domanda fattagli da uno studente in una delle sue lezioni di pedagogia e riferita dal Croce in due sue opere “Conversazioni critiche” del 1885 e “Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici” del 1875 : COME fareste ad educare moralmente un papuano?

“Provvisoriamente lo farei schiavo, salvo a vedere se per i suoi nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia nostra”.

 

Gramsci lo accusa di confondere la civilizzazione con lo sfruttamento, e la schiavitù viene resa necessità assoluta e non storica.

Gramsci diceva che un popolo più sviluppato culturalmente dovrebbe universalizzare la propria esperienza e che la riduzione in schiavitù del popolo arretrato non è necessaria, al massimo all’ inizio necessaria è una disciplina esteriore coercitiva per essere educato civilmente.

Anzi proprio la liberazione della schiavitù è prerogativa di cultura ed educazione, la lotta quindi è necessaria come importante è la funzione dell’intellettuale nel contesto di questa lotta come educatore e come uomo politico.

Ad un esame più rigoroso questa critica sembra eccessivamente ingenerosa.

Innanzitutto in questi anni viene maturando nel Labriola una duplice evoluzione sul piano ideologico da Herbart a Marx e sul piano politico dal radicalismo al socialismo e  l’episodio del papuano serviva egregiamente al Croce per sostenere le sue tesi elitarie sulla cultura, trasportato poi sul piano più propriamente politico-sociale: come tutto l’Idealismo propugnava il classismo e il dominio sui ceti subalterni ai quali non restava che aspettare in una posizione di attesa e non di lotta.

Inoltre si può formulare l’ipotesi che il Labriola con l’episodio del papuano abbia voluto esprimere, in forma critica e paradossale, il concetto che educazione ed autoeducazione presuppongono uno sforzo prolungato ed un impegno rigoroso.

Questo concetto sarà anche dello stesso Gramsci che formulerà la pedagogia dello sforzo e del sacrificio.

Questa tesi infatti troverebbe conferma nell’ impegno socio-politico del Labriola e l’elaborazione del metodo libero, scientifico, socratico e progressivo.

Più pertinente è invece, ci sembra, la critica sulla posizione del Labriola che negli ultimi anni della sua vita sosteneva e appoggiava l’espansione coloniale in Italia.

L. la giustificava con la preoccupazione della piaga dell’immigrazione e soprattutto con la pesantezza delle condizioni economiche dell’Italia costretta per stare al passo degli altri stati europei che conquistavano,assoggettavano,e sfruttavano tutto il resto del mondo.

Supponeva dunque che il contesto politico-economico era il presupposto unico del progresso non più affidato così a una crescita individuale e collettiva, che presupponeva un impegno rigoroso ed una lotta liberante di carattere autoeducativo ponendo “lo svolgimento dei popoli” in posizione nettamente subordinata “allo svolgimento degli stati”, in contraddizione con la sua impostazione filosofica, educativa e politica.

A ragione quindi Gramsci considerava questa estrema posizione del Labriola come storicismo deterministico.  


Oltre le opere del Labriola, sono stati consultati:

 

• Demiro Marchi “La pedagogia di Antonio Labriola” – La Nuova Italia Editrice, 1971

• “Nuova Antologia” fascicolo 1855 – Roma, Luglio 1955

• Ugo Avalle e Michele Maranzana “Pensare ed Educare” – Paravia, 1999

• Ferdinando Dubla “Dispensa di Metodologia della Comunicazione Formativa”  Mariscuola, Taranto, 2002

 

Importanti sono anche:

 

- Antonio Labriola “Pedagogia e società” – a cura di D.Marchi, La Nuova Italia, 1970

- D.Bertoni Jovine, Introduzione a A.Labriola “Scritti di pedagogia e di politica scolastica, Editori Riuniti, 1961

 


3.

APPENDICE TESTUALE

LA QUESTIONE UNIVERSITARIA

di Antonio Labriola

Dal discorso che il prof. Antonio Labriola tenne il 14 novembre 1896, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, nell’Università di Roma.

La Università si riapre; la Università esibisce, questa volta sola nell'anno, tutta se stessa al gran pubblico: parliamo, dunque, dell'Università.
La critica su l'opera nostra s'è fatta negli ultimi tempi, senza dubbio, assai viva nel pubblico. C'è toccato di leggerne e di sentirne d'ogni genere e d'ogni colore negli ultimi anni. Nei giornali cotidiani e nei discorsi parlamentari c'è accaduto più volte di sentirci oggetto di una critica, che spesso fu poco benevola, e quasi mai parve rivolta all'intento di fornire a noi nuovi lumi e cognizioni nuove. Noi colpevoli dei frequenti tumulti studenteschi; - noi, cagione di danno alla società, perché produciamo troppi professionisti, che nella lotta della vita forman poi un forte contingente nell’esercito degli spostati; - noi, pericolosi, come quelli che abusiamo, chi sa mai come, della libertà dell'insegnare: e così via, da non finirla!
Non dirò che sia giunto il tempo di mettersi in su le difese, come se fossimo minacciati da grave ed imminente pericolo; ma dirò francamente che i professori hanno il grave torto di abbandonare la discussione su le cose universitarie all'arbitrio degli incompetenti, e di non reagire contro gli erronei giudizi con la forza e con l’autorità della propria esperienza collettiva.
Cotesta incuria ha di certo la sua giustificazione nel fatto, che ai professori italiani è premuto soprattutto, in quest'ultimo trentennio, di rimettersi al passo con gli scienziati degli altri paesi. Lo sforzo ha in buona parte ottenuto il desiderato effetto. I prodotti della scienza italiana son rientrati già nella circolazione internazionale. Le partite passive del lungo periodo della decadenza furono in buona parte scontate; di quella decadenza, dico, che, insieme all'impotenza politica e al regresso economico, c'impose l'isolamento dal moto generale del pensiero. Ora non è più il tempo, che i migliori intelletti abbiano da percorrere le propedeutica dell'esilio, e la metodologia del carcere.
L'iniziativa scientifica è di nuovo possibile, e le condizioni che occorrono allo sviluppo di tale attività non mancano oramai più.
L'Università è nuovamente vitale. Ma non basta, egregi colleghi, a tener viva la Università, che sia forte in noi la cura personale dei nostri individuali insegnamenti. Bisogna, inoltre, che in ciascun di noi sia potente la coscienza dell’interesse collettivo di questo nostro ordinamento di studi. Confessiamolo pure: per rispetto a cotesto interesse collettivo la nostra incuria è assai grande.
Non c'è, per esempio, sproposito che non ci sia occorso di sentire a ripetere per rispetto alla libertà dell'insegnamento, che forma l'argomento di questo mio discorso. In una parte non piccola del pubblico s'è formata l'opinione, che essa voglia dire facoltà d’insegnare, o di non insegnare ad libitum. Ebbene io, che credo oramai di trovarmi, in fatto d'idee politiche, alla estrema ala sinistra fra tutti gl'insegnanti, io non mi rifiuterei di accordare al ministro dell'Istruzione maggiori poteri d'inchiesta e di vigilanza, perché si venga una buona volta a capo di sapere, dove e quanti sono i professori inadempienti.
Alla prova dei fatti si vedrebbe, che furono e sono pochissimi. Né in tale facoltà d'inchiesta deferita al ministro, che è l'amministratore delle cose scolastiche e nessuno può temere si assuma la parte di direttore della scienza e di pedagogo della nazione, io vedrei alcun pericolo a quella libertà scientifica, della quale non intendo di fare qui l'apologia, ma di addurre la dichiarazione. Occorre forse un grande esercizio di logica per intendere, che la libertà del dire non può consistere nella facoltà del non dire?

 


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