ETICA DELLA COMUNICAZIONE E INTERCULTURA

Seminario tenuto dal Prof. Armando SAVIGNANO

il 19-20-21 marzo 2001 presso il Palazzo della Cultura di Taranto

 

Relazione di Massimo Melucci

13° corso di Perfezionamento - Metodologia della comunicazione formativa

Relatore prof. Ferdinando Dubla

a.a. 2000/2001  esami: 9 maggio 2001


Nei giorni 19-20 e 21 marzo 2001, nella sede della biblioteca comunale di Taranto, il Prof. Armando SAVIGNANO ha tenuto tre incontri sul tema "Etica della comunicazione e intercultura".

 

            Il docente, ordinario di Scienze della comunicazione all'università di Trieste, ha spiegato  che la necessità di un'etica della comunicazione nasce dal bisogno di affrontare i problemi legati alla globalizzazione e all'antiglobalizzazione, il secondo direttamente collegato all'accettazione della diversità. Quindi come comportarsi con le diversità o meglio come comunicare con esse, bisogna tollerare o non tollerare? O, nell'ambito della sfera politica, in quale ottica cercare la soluzione del problema: in quella liberale o in quella non liberale?

            Nasce quindi un problema di ordine pratico rappresentato dalla sfida educativa sul come impostare un'educazione interculturale. Non si può far ruotare tutto intorno alla propria cultura, ma bisogna programmare un percorso formativo didattico che intenda risolvere e facilitare i rapporti interculturali e quindi la modernità, cercando quindi di combattere quello che si può chiamare il disagio della modernità.

           

            La storia si è già occupata ampiamente di questo problema, basta rivedere gli eventi socio culturali che hanno avuto inizio con la scoperta dell'America: irruzione nel mondo moderno.

 La domanda sicuramente più ricorrente dopo la scoperta e l'irruzione nel nuovo mondo è stata sul come comportarsi e cosa fare. Queste domande diventavano sempre più impellenti col nascere e lo svilupparsi del terrore e soprattutto delle aspettative che seguirono alla scoperta.

            Come comportarsi con questi popoli di neri, i quali agli occhi degli europei apparivano fragili fisicamente e ancor di più spiritualmente, tanto da giustificarne l'esportazione per garantire loro un aiuto attraverso l'inserimento di questo popolo minore in una cultura più forte e soprattutto formativa?

            Tutto questo trova ispirazione nelle teorie intolleranti di HEGEL.

            Nel 1550 si confrontarono tre posizioni culturali volte alla soluzione del problema: la prima fu chiamata EMANCIPATRICE, il cui manifesto diceva che la modernità deve emancipare i barbari ed il suo massimo esponente fu SEPULVEDA, il cui modo di pensare è oggi comune a molti: chi non è come noi è sottosviluppato, la materia (barbari) deve obbedire alla forma (emancipatore); la seconda guardava con utopia all'emancipazione e alla modernità e per ultima la teoria del DIALOGO INTERCULTURALE: BARTOLOMEO DELA CASAS  ne fu un esponente di spicco, tant'è che supplicava il re di Spagna di non incentivare la conquista. Egli riteneva  importante il dialogo, che bisognasse stabilire le coordinate per far entrare il diverso nella comunità della comunicazione: la violenza dunque non è mai giustificabile e non vi sono guerre "giuste". L'unica arma da brandire è il comportamento persuasivo ed il dialogo, il quale non esiste se non vi è chi ascolta e sa ascoltare. Ogni creatura ha un'attitudine naturale all'ascolto purché ben motivato (teoria dell'argomentazione razionale).

            Persuadere quindi con la ragione perché deve prevalere l'argomentazione migliore e non mettere in campo strategie per catturare il consenso, così come essendo nel dialogo impegnate due o più persone, bisogna capire chi deve partire per dare inizio al miglior dialogo.

            LEVINAS afferma che quando si dialoga bisogna partire dall'altro, riconoscere quindi le ragioni dell'altro attraverso grande apertura, che non vuol dire accettare le ragioni dell'altro, ma riconoscerle. Partiamo dall'altro accettandolo così com'è, guardando il nostro interlocutore in viso, che è l'azione più disarmante ed è ciò che fa scattare l'etica per la soluzione del problema che si crea tra il convivere o il non convivere con chi è diverso.

            Bisogna costruire delle condizioni minime di partenza, costruendo insieme la verità attraverso il dialogo consensuale e non vi può essere spazio per una verità precostituita, ma argomentazioni e consensi validi, cioè cercare la validità del vero attraverso il dialogo consensuale.

            J. HABERMAS nel suo "Teoria dell'agire comunicativo" (1981) si pone un quesito molto importante: che cosa rende alcuni argomenti e quali sono le ragioni che sono riferite in misura rilevante a pretese di validità, più forti o più deboli di altri argomenti? Egli individua nel discorrere argomentativo tre aspetti generali come determinazioni di una situazione linguistica ideale. I partecipanti all'argomentazione devono in genere presupporre che la struttura della loro comunicazione, sulla base di caratteristiche da descrivere in modo puramente formale, escluda ogni coazione al di fuori di quella dell'argomento migliore. Quindi l'orientamento è intendersi. In secondo luogo, il processo discorsivo d'intesa è regolato in forma cooperativa fra proponente ed opponente in modo tale che i partecipanti verificano con ragioni, e soltanto con esse, se la pretesa sostenuta dal proponente regge a buon diritto o  no. Infine l'argomentazione può essere considerata sotto un terzo punto di vista: essa mira a produrre argomenti plausibili, convincenti sulla base delle loro intrinseche qualità, con i quali le pretese di validità possono essere respinte.

            Questo concetto va esteso ed affiancato a quello di globalizzazione per cercare sempre un consenso valido universalmente e quindi globale.

            Nell'ambito della globalizzazione i problemi di comunicazione si evidenziano non con la figura dello scettico, ma con il cinico. Sullo scettico è possibile intraprendere un processo di confutazione che ci permetterà di farlo entrare nella globalizzazione.

Alla luce di tutto questo ci si chiede: qual è il minimo che tutti dovremmo condividere? E che cosa contemporaneamente salvaguarda le specificità individuali?

La risposta è racchiusa in due parole: consenso e democrazia, dove l'uno è condizione indispensabile per l'altro e viceversa.

·        E' necessario ora tornare alla comunicazione interpersonale ed esaminare la struttura dialogica dell'identità umana. Gli uomini sono esseri espressivi che si realizzano attraverso un medium linguistico, la nostra identità è in rapporto a quello che siamo con gli altri. I linguaggi sono i risultati di un processo di apprendimento con gli altri, si parla quindi di altri significativi, che assumono per noi e la nostra formazione un ruolo importante. Questo processo non interessa solo le fasi dell'apprendimento, poiché siamo sempre linguaggio che definisce la nostra identità con e contro le identità degli altri significativi, mostrando quindi il dialogo come processo complicato, fonte di conflitto e di lotta.

Nel dialogo la tradizione ha un ruolo essenziale, basta vedere il rapporto con i genitori e il ruolo delle persone che amiamo. Essa è costitutiva dell'uomo, è una valenza strutturale irrinunciabile nel processo dell'identità.

Per TAYLOR il dialogo esiste sempre, anche nel peggior dialogo maturiamo un processo di identificazione, magari sbagliato, ma lo maturiamo.

Assume un ruolo centrale il riconoscimento che specifica l'identità ed è l'immagine che gli altri hanno di noi. La persona c'è ed ha un valore, quindi il riconoscimento è importantissimo per l'identificazione.

Oggi l'identità e il riconoscimento sono un problema ed ecco quindi spiegato il disagio della modernità, nel mondo moderno saltano i ruoli, noi oggi non sappiamo più chi siamo e dove andiamo. Un tempo il riconoscimento sociale era insito nell'identità, la differenza veniva superata dalla struttura gerarchica della società.

Senza riconoscimento la propria identità è incompiuta, oggi il riconoscimento va conquistato attraverso lo scambio, che rappresenta una lotta e non è detto che vi si riesca.

Per rendere più chiaro questo concetto si può vedere come HEGEL nella "FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO" parla di due figure a noi ben note, il servo e il padrone, due identità diverse, uno non mette a rischio la vita e si accontenta di essere servo, l'altro mette a rischio la vita per mantenere il potere ecco le due identità. Il servo quindi riconosce il padrone, ma non gli basta perché il riconoscimento è di un soggetto non riconosciuto, è insoddisfatto perché non riconosciuto dal padrone. Questo ci fa capire che bisogna riconoscere le identità, ma anche le diversità. Il riconoscimento diviene il supporto per ogni discussione sull'interculturalità.

Per arginare i rischi di un mancato riconoscimento bisogna fare una politica basata sulla parità dove ognuno merita rispetto.

Questa politica delle differenze ammette che possano esistere beni e fini collettivi che vanno salvaguardati, sono politiche complementari alla politica del riconoscimento, che deve valorizzare le differenze su una base culturale d'uguaglianza. L'io non è io se non riconosciuto dall'altro.

Esistono dei principi dell'educazione interculturale che vanno rispettati e a tal proposito APEL ha elaborato una teoria del discorso che mostra la distinzione tra comunicazione e argomentazione, dove la comunicazione è il tutto e l'argomentazione è una parte importante e fa parte del linguaggio verbale.

In questo complicato processo la prima cosa con cui ci dobbiamo confrontare è la confutazione dello scettico (la fondazione ultima).

Nasce una discussione epistemologica con HANS HALBERT (Un razionalismo critico, 1973) che attraverso una visione razionalista entra in contrasto con APEL. Sostiene che non è possibile cercare un fondamento alla razionalità scientifica, poiché si rischia di andare incontro ad un regresso all'infinito poiché un fondamento ne fonda un altro e così via.

Sostiene un circolo logico nel processo di fondazione alla ricerca di principi fondati, dichiarando che di fronte a questo stato di cose bisogna interrompere il processo di fondazione arbitrariamente. E' quindi impossibile procedere ad una fondazione ultima dei processi epistemologici.

APEL al contrario vuole giungere ad una fondazione ultima ed esibirla ad ogni argomentare, riflettere sui discorsi che facciamo e domandarci quali siano i presupposti impliciti per argomentare e scoprire che vi sono alcuni che asseriscono che una determinata argomentazione non porta a nulla di valido: questi sono gli scettici. L'etica  per APEL deve essere fondata razionalmente senza argomenti erronei, per mezzo di una considerazione riflessiva su ciò che qualsiasi argomentazione viene comunque presupposto, e può essere messo in discussione solo a prezzo di una contraddizione pragmatica. Bisogna riconoscere come presupposti trascendentali di ogni argomentazione razionale  l'idea di una comunità ideale (universale) di comunicazione dalle quali risultano i fondamenti di un'etica. APEL "Trasformazioni della Filosofia 1973".

Bisogna riflettere sul linguaggio, basarsi sulla teoria degli atti linguistici attraverso la distinzione di proposizioni locutorie, illocutorie e perlocutorie.

Quando emettiamo un atto linguistico abbiamo una doppia struttura del discorrere, c'è un aspetto preposizionale e un aspetto di "performance" o performante.

L'aspetto proposizionale riguarda la sintassi e la grammatica, mentre la performance, il contenuto, l'atto che emettiamo.

Chi nega l'elemento performativo va confutato facendo scattare la contraddizione performativa in cui cade inesorabilmente lo scettico.

Dobbiamo necessariamente ammettere di non poter giungere a verità indubitabili, ma non è possibile ammettere una simile teoria poiché si va incontro alla contraddizione performativa.

  Le condizioni del corretto argomentare sono inaggirabili, quando argomentiamo possiamo esibire fondamenta e stabilità (deduzione trascendentale per vincere la contraddizione performativa), dobbiamo tenere conto di una fondazione forte, fondare una pragmatica trascendentale o una semeiotica.

Il linguaggio ci caratterizza ed è sottoposto alle mutazioni storiche, ma il trascendentale non muta, mutano i modi di esprimersi, ma non i contenuti. Noi siamo dialogo pubblico intersoggettivo e non possiamo essere solipsisticamente intesi.

E' doveroso quindi distinguere la sintassi che è la relazione tra i segni e la semantica che è la relazione tra i segni e lo stato di cose.

E' auspicabile strutturare un triangolo ai cui vertici vi siano i segni, la realtà e l'interpretazione dei segni ed è comunicazione dall'argomentazione valida.

            Ogni serio argomentare deve sottostare a quattro regole:

1.      Obbligo di conferire senso agli atti linguistici. Ogni atto linguistico deve essere dotato di senso e significato, questo si verifica con l'intersoggettività, quindi il senso si persegue insieme.

2.      Senso vero valido. Bisogna conseguire un modo sensato di esprimersi, si deve essere comprensibili (senso intersoggettivo).

3.      Intimo convincimento di chi parla. Ogni enunciato deve essere verace (essere convinti di ciò che si asserisce).

4.      Ogni enunciato è corretto normativamente. Certezza normativa e giustezza delle regole interformative, ad esempio quando uno parla l'altro ascolta.

 

Per concludere prendiamo a prestito un'affermazione di Jean Piaget il quale asserisce che nella mente umana non ci sono strutture innate che semplicemente già si trovano preformate, ma tutte le nostre strutture mentali devono essere costruite. Stà a noi la capacità di trasportare questa teoria in quello che è l'impegno e lo sforzo che ogni uomo deve esprimere per relazionarsi e quindi identificarsi con ogni suo simile, che, in quanto tale va riconosciuto e rispettato combattendo stereotipi e pregiudizi, con conoscenze razionalmente fondate e sperimentate. Essere quindi potatori di intercultura, significa essere disponibili a far parte di più culture senza tradire la propria, anzi arricchendola e moltiplicandone col contatto il confronto, con le interferenze e i prestiti le potenzialità evolutive e creative.

Tutto questo deve trovare alleato il sistema dell'informazione e della comunicazione, che, di fatto, ha abbattuto le barriere dello spazio e del tempo, costruendo un pensiero migrante quindi aperto, flessibile, problematico, antidogmatico e sarà tanto più efficace quanto più si attrezzerà il pensiero dei bambini con l'offerta di strumenti cognitivi forti e adeguati.

Passare dalla cultura dell'indifferenza all'armonia vitale delle differenze.

 

 


ORIENTAMENTI BIBLIOGRAFICI

Armando Savignano: "Etica della comunicazione e della liberazione" Editrice scientifica Napoli, 2001

  Jungher Habermas: "Etica della comunicazione" Laterza, 1997 (1981).

  Apel: "Trasformazione della Filosofia", 1973, cit. Savignano

Marietti: "L'etica della comunicazione", Rosenberg - Sellier, cit.Savignano

  Witstine "Ricerche logiche" Einaudi., cit.Savignano

  Hegel "Fenomenologia dello spirito" 1° ed 1807, ed it. a.c. di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1933 - 36

  Hans Halbert "Un razionalismo critico", 1973, cit.Savignano

  Franca Pinto Minerva "Prospettive dell'educazione interculturale", cit.Savignano

 

 

 

 


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