INTEGRAZIONI GENERALI: METODI E
TECNICHE-METODO COOPERATIVO E TECNICHE FREINET
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LA DEMOCRAZIA COME PRATICA DIALETTICA NELLE TECNICHE DI CELESTIN FREINET
(a cura del gruppo di lavoro corso P.MRS,
coordinato dal prof. Ferdinando Dubla- cattedra di Metodologia della
comunicazione formativa- esami maggio 2002, Fiori Raffaele, Ippolito Giuseppe,
Stigliano Carlo)
Celestino FREINET (1896 – 1966)
INDICE
DEGLI ARGOMENTI
- CELESTIN FREINET: “La vita e
le opere”
- LA PEDAGOGIA POPOLARE
- LA COOPERAZIONE EDUCATIVA
- LE TECNICHE FREINET
Ø
Fisionomia di una classe Freinet
Ø
Pensiero del Freinet
Ø
Il testo libero
Ø
Scelta del testo
Ø
L’organizzazione materiale della
scuola
Ø
La tipografia scolastica, la
corrispondenza interscolastica, le scatole di lavoro per esperimenti, schede
progressive ed autocorrettive
Ø
Un ordine nuovo basato sui piani
di lavoro
Ø
Il piano generale
Ø
I piani annuali
Ø
I piani settimanali
LA VITA E LE OPERE
Célestin
FREINET, maestro e pedagogista, nacque il 15 ottobre 1896
a Garg, un paesino di montagna delle Alpi Marittime, da una famiglia di
contadini. Frequentò la Scuola Normale e ne uscì nel 1915 con il diploma da
maestro, ma richiamato alle armi nel 1916 fu ferito gravemente ad un polmone e
trascorse quattro anni negli ospedali, destinato alla condizione di grande
invalido di guerra, con diritto alla pensione massima. Rifiutò questa
condizione e nel gennaio del 1920 fu nominato maestro nella scuola di
Bar-sur-Loup.
Quando
Freinet fa la sua prima esperienza di maestro in un paesino di montagna, ha
ventitré anni ed è reduce dalla guerra, con i polmoni lesi, il che
inizialmente lo sollecita all’elaborazione di tecniche che gli permettano di
«spolmonarsi meno».
L’aula che lo accolse era simile a tante di quell’epoca: "banchi
disposti in file rigide, predella per il maestro, attaccapanni fissati al muro,
lungo i muri grigi qualche carta geografica della Francia, alcuni cartelloni
murali del sistema metrico, simbolo d’immobilità e di silenzio”.
L’ambiente malsano della classe impediva a Freinet di far scuola al chiuso e
si accorse che le lezioni tradizionali affaticavano i ragazzi, quanto lui
stesso.
Egli avvertì subito
l’esigenza di modificare profondamente i contenuti e i metodi
dell’insegnamento tradizionale: verbalistico, nozionistico, impartito
uniformemente da un insegnante che domina la scena, sostanzialmente autoritario
e repressivo anche se svolto con buona volontà e buone disposizioni. Quel modo di lavorare era un
fallimento. Riprese a studiare e nel 1923 si laureò in Lettere, ma non
accettò la nomina alla scuola superiore di Brignoles, deciso a rimanere nella
sua scuola dei bambini. In quel periodo iniziò a partecipare a convegni e
conobbe alcuni pedagogisti, come Ferrière, Claparède e Cousinet, ma si rese
anche conto che se l’educazione nuova era applicabile nelle scuole che
possiedono attrezzature e materiali, il problema rimaneva aperto per tutte le
scuole diseredate, spoglie come la sua.
Influenzato dalle correnti dell’educazione nuova
che facevano capo a Claparède, a Ferrière, a Cousinet e alla scuola ginevrina,
dell’Istituto Rousseau, ne accoglie l’ispirazione di fondo ma la trova
troppo teorica e «sterilizzata», troppo legata a un’immagine dell’infanzia
che non fa differenza fra il bambino benestante di città e quello povero e
scalzo di molti paesini sperduti; per meglio dire, a un’immagine che non tiene
conto del secondo e ritaglia tutto sulla figura del primo, e decise di far scuola non per un’élite, ma per tutti.
Era
il 1926 quando si riunì intorno a lui un gruppo d’insegnanti e tra questi Élise,
la giovane maestra che fu sua moglie, ma anche un’impegnata collaboratrice per
tutta la vita, occupandosi in particolare delle attività artistiche con la
rivista "L’art enfantin". Nel 1928 viene fondata la CEL (Coopérative
de l’enseignement laïc) che due anni dopo contava già oltre un centinaio
d’insegnanti.
Nel
1930 si sposta con Élise nella scuola statale di Saint-Paul, una deliziosa
cittadina con un nucleo vecchio (la città allora dei poveri) e
una parte nuova di ville (la città dei ricchi). Le idee innovative del
giovane maestro, il suo attaccamento per la scuola laica, uniti alle pressioni
da lui esercitate sul Sindaco perché l’edificio scolastico fosse
decorosamente mantenuto, provocarono l’ostilità di una parte "bene"
del paese. Arrivò poi un Ispettore e nel 1933 Freinet venne trasferito
d’ufficio. Non accettò il provvedimento e si dimise dalla scuola statale
Francese.
Aiutato
dai lavoratori della zona che la domenica andavano, come volontari, a fare i
muratori, costruì, in una collina di fronte a Vence, in mezzo alla natura, i
primi edifici dell' École Freinet, scuola nata con laboratori, senza classi, un
grande orto e molti spazi all’aperto per studiare e lavorare. Nell’autunno
del 1935 la scuola è pronta per ricevere i primi bambini, tra i quali alcuni
bambini spagnoli profughi.
Nel
1939, scoppiata la guerra, Célestin Freinet venne arrestato e poi internato nel
campo di Saint-Maximin. La scuola di Vence fu chiusa d’autorità ed Élise
dovette fuggire fino a che, sotto il regime Pétain, l’attività della CEL
cessò del tutto. In prigionia C. Freinet abbozzò le sue opere maggiori che
terminò anni dopo. Liberato nell’ottobre del 1941, ma ancora sorvegliato
speciale, si diede alla macchia e ben presto entrò in contatto con le forze
della Resistenza.
Nel
dopoguerra riprende, in continuo progresso, l’attività della CEL e della
scuola di Vence. I congressi annuali vedono la presenza crescente
d’insegnanti, con larghi consensi internazionali, nei paesi Europei, ma anche
in Asia e in America latina, ecc. Negli anni che seguono cresce l’attività
della Scuola di Vence e Freinet pubblica varie altre opere tra le quali
"L’education du travail" 1946,
"Essai de psychologie sensible appliquée a l’education"
1950, "I detti di Matteo" (trad. ital. La Nuova Italia 1962), ecc.
Muore
a Vence l’ 8 ottobre 1966, quando la sua scuola è ancora privata. Élise
continua a dirigere l’attività editoriale e della scuola per altri quattro
anni. Ora l’École Freinet a Vence è statale : i laboratori sono affiancati
alle classi, il grande orto non è più coltivato e i segni del passaggio di
grandi artisti nella scuola, da Picasso a Matisse, da Chagall a Braque, sono
sbiaditi dal tempo. Ma l’eco di quella scuola non si è spento e "il
movimento Freinet, rappresenta ancora la punta più avanzata della pedagogia
democratica in Europa. Promosse
congressi internazionali, su “L’Ecole
Moderne” fino alla costituzione, nel 1958, del FIMEM
(Fédération Internazionale des Mouvements de Ecole Moderne) con sede a
Bruxelles. In Italia è stato creato nel 1951 il CTS (Cooperativa della Tipografia e Scuola) che nel 1956 si è
trasformato nell’attuale MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) che
pubblica una rivista omonima e ha rappresentanti soprattutto a Firenze, presso
“Scuola-Città Pestalozzi” creata da Ernesto Codignola, a Torino a Milano,
Bari.
La
società nel Medio Evo non s'occupava affatto dell’ educazione dei figli del
popolo, i quali imparavano empiricamente il mestiere paterno. Anche per i ricchi
l’istruzione era per lo più di tipo professionale/pratico: aveva più lo
scopo di abituare il futuro nobile e signore alla sua vita di guerre e di
mondanità che di far maturare in lui l'uomo. Anche l'educazione era di tipo
tradizionale. Solo quando i principi per governare cominciarono a servirsi della
religione, si iniziò a parlare di educazione. Senza metodi e tecniche, si
accompagnavano a questo tipo di educazione. Risalgono a questo periodo le prime
scuole per il popolo, come quella di Ch. Demia, a Lione, istituita verso la fine
dei XVII secolo. Ma anche in queste scuole l'istruzione è nulla: si tende solo
alla "cristianizzazione" degli allievi. A
partire dal XIX secolo, però, l'economia subisce una profonda trasformazione:
da tradizionale ed empirica diventa scientifica. L'industrializzazione si va
sviluppando e, con essa la Società. Se la scuola tenta una perfezione, è
sicuramente per sviluppare l'essere umano, ad apprendere solo più nozioni,
acquisendole in maniera diretta, senza obiezione, per favorire il progresso
scientifico.
"La
pedagogia della cooperazione” sta alla base delle "tecniche
di vita" ed è testimoniata ne "I detti di Matteo",
un contadino a cui Freinet fa raccontare le sue idee educative. Eccone un brano.
La storia del cavallo che non aveva sete.
Un
giovane cittadino voleva rendersi utile nella fattoria dove era ospite e decise
di portare il cavallo all’abbeveratoio. Ma il cavallo si rifiutava e voleva
condurre il cittadino verso il prato. "Ma da quando in qua i cavalli
comandano? Tu verrai a bere, te lo dico io!" e lo tira per la briglia e lo
spinge malamente. La bestia avanza verso l’abbeveratoio. "Forse ha paura
-pensa il giovanotto- se l’accarezzassi...? Bevi ! Prendi..."Nulla da
fare e il giovane urla : "Tu bestiaccia berrai " Il cavallo storce il
muso e nitrisce, soffia, ma non beve. Arriva il contadino Matteo e gli dice :
"Tu credi che un cavallo si tratti così. Ma lui è meno bestia di qualche
uomo, lo sai? Tu puoi ucciderlo, ma lui non berrà. Tempo perduto, povero
te!" "Come fare allora?"Si vede bene che non sei un contadino.
Non hai capito che il cavallo non ha sete nelle ore mattutine e ha invece
bisogno del’erba medica. Lascialo mangiare a sazietà e dopo avrà sete.
Allora lo vedrai galoppare verso l’abbeveratoio. Non aspetterà che tu gli dia
il permesso. Non si può cambiare l’ordine delle cose: se si vuol far bere chi
non ha sete si sbaglia."Educatori, siete al bivio. Non ostinatevi
nell’errore di una "pedagogia del cavallo che non ha sete", ma
orientatevi coraggiosamente e saggiamente verso "la pedagogia del cavallo
che galoppa verso l’erba medica e l’abbeveratoio.
Per
il Frèinet occorre una «pedagogia popolare» che riconosca validità culturale
– almeno come dato di partenza – agli interessi infantili popolari, senza
pretendere di esprimerli e sostituirli subito con gli interessi previsti dalla
ricerca teorica e imposti dai programmi ufficiali. Ciò
pone Freinet i primi problemi: «Come interessare Giuseppe alla lettura e alla
scrittura che lo lasciano indifferente, mentre era interessantissimo, secondo le
stagioni, alle lumache che custodiva vive nelle sue scatole mal chiuse, ai suoi
insetti e alle sue cicale che cantavano nel momento meno opportuno?» - questo
il suo punto di partenza.
Il
giovane maestro decide allora di tagliar corto, mette da parte i testi e elabora
delle “tecniche” pedagogiche (egli stesso insisteva sul termine, alludendo
all’uso di nuovi strumenti operativi, diverso dal metodo, di solito astratto),
fondamentalmente riducibili a tre: il «Testo libero», che sostituisce la
tradizionale composizione in cui il bambino è costretto a svolgere un enunciato
dettato dall’insegnante, invece di esercitarsi a esprimere correttamente ciò
che in quel momento interessa più vivamente il singolo o la classe;
il «Giornale Scolastico»
(elaborato con il criterio del testo libero, è il prodotto della tipografia
scolastica, di una tecnica volta cioè a saldare apprendimento, creatività e
lavoro, attività manuale e attività intellettuale);
il «Calcolo vivente», consistente nel motivare l’apprendimento e
l’esercizio aritmetico partendo dalla soluzione dei problemi matematici posti
dalla vita di classe; e la «Tipografia scolastica», - la più nota delle sue
tecniche.
Ovviamente,
queste tecniche, diversamente combinate, possono dare luogo ad altre soluzioni
didattiche, rispondenti a diverse esigenze poste dall’ambiente e dagli
allievi. Per Freinet è soprattutto importante che ognuna delle tecniche non
solo impegni attivamente i soggetti, ma che le attività abbiano sempre
sufficienti motivazioni: oltre che alle attività, consuete a ogni forma di
educazione nuova (l’attività interessa di più, quindi fa apprendere meglio),
Freinet dà molto rilievo all’aspetto comunicativo e cooperativo. Soprattutto
il momento cooperativo qualifica la «pedagogia popolare», rielaborando egli in
forma molto personale i presupposti simili della scuola del lavoro come
l’aveva concepita la corrente d’ispirazione socialista, che sottolineava
l’importanza del lavorare insieme come clima e come necessità tecnica. Da ciò,
naturalmente, una linea pedagogica che fa a meno per quanto possibile dei libri,
dei programmi e in genere della trasmissione di cultura già strutturata, per
rifondare un processo d’apprendimento naturale, «a tentoni», come aveva già
detto Claparède; simile all’apprendimento «per prove ed errori» dello
psicologo Edward Lee Thorndike, 1874-1949), dove è necessaria la guida del
maestro non meno di quella del gruppo dei «cooperatori».
LA COOPERAZIONE EDUCATIVA
L’eco
della scuola Freinet non si è spento ed il Movimento Freinet rappresenta ancora
la punta più avanzata della pedagogia democratica in Europa.
La
pedagogia di Freinet fu ripresa in Italia nel 1951 da un gruppo di insegnanti
primari e secondari, che prese il nome di Cooperativa della Tipografia
a scuola, con lo scopo di diffondere gli strumenti per le tecniche
Freinet. Dopo qualche anno però si trasformò nel Movimento di Cooperazione Educativa, occasione
d’incontro e confronto fra esperienze didattiche comunque innovative.
Poiché all’epoca, salvo che all’interno delle organizzazioni degli
insegnanti cattolici (Associazioni maestri cattolici; Unione cattolica
insegnanti medi; Movimenti dei Circoli della didattica, e altre), occasioni del
genere erano molto rare per gli insegnanti di altri orientamenti, il Movimento
di Cooperazione Educativa riempì un vuoto ed ebbe notevole successo:
l’attività dei suoi gruppi decentrati, gli annuali convegni nazionali, la
pubblicazione del «Bollettino di Cooperazione Educativa» (tuttora edito)
furono uno stimolo molto valido per tenere viva una problematica didattica che
allora gli ambienti ufficiali della Pubblica Istruzione, sembravano trascurare o
addirittura reprimere, dando nello stesso tempo la prova che le metodologie
didattiche non erano solo questione personale del singolo docente, ma frutto di
sperimentazione e di confronto collettivo, e non si esaurivano nella conoscenza
di ciò che andava insegnato e nemmeno nella conoscenza della natura del bambino
o dell’adolescente, ma richiedevano anche una chiara idea delle finalità
educative generali e quindi delle questioni sociali. Agli aderenti al Movimento
di Cooperazione Educativa non era chiesto di dichiarare alcuna fede politica o
ideologica né di compiere particolari scelte pedagogiche, ma semplicemente di
cooperare al rinnovamento della didattica.
LE TECNICHE FREINET
FISIONOMIA DI
UNA CLASSE FREINET
Prima di parlare delle tecniche del Freinet bisogna parlare della
fisionomia di una classe Freinet ovvero del concetto di una classe scolastica
secondo la pedagogia dello stesso Freinet; una classe sicuramente differente
dalle classi tradizionali.
Difatti le classi tradizionali, basate su regole uniformi e su una
tradizione scolastica si somigliano tutte, nella disposizione dei banchi, nella
presenza della cattedra, nel modo con il quale gli scolari tenevano i quaderni,
nella pratica e nel contenuto dei compiti e delle lezioni, previsti in anticipo
dai programmi, nelle circolari e nei manuali scolastici che li complicano e li
aggravano.
PENSIERO
DEL FREINET:
“Non separare la Scuola dalla vita”; intento del Freinet era: “Superare la barriera che divideva la scuola dalla vita reale”.
Celestin Freinet individua delle pecche esistenti nella attività
didattica tradizionale. Per il Freinet pecca sostanziale della lezione consiste
nel fatto che la lezione è condotta dal maestro che sa, o pretende sapere, a
scolari che si crede ignorino invece tutto. A nessuno verrebbe l’idea di
pensare che i ragazzo, con le sue proprie esperienze e le sue diverse e larghe
conoscenze, avrebbe anch’egli qualcosa da insegnare al maestro.
Celestin Freinet nell’intento di superare la barriera che divideva la
scuola dalla vita reale, iniziò col portare regolarmente gli alunni fuori
dall’aula polverosa per farli vivere a contatto con la natura e con la realtà
sociale. Su questa esperienza diretta egli ritenne di poter costruire una attività didattica
alternativa rispetto a quella tradizionale. Gli alunni potevano
sostituire in gran parte le loro osservazioni alle nozioni date dai libri di
testo.
Il Freinet pensò allora di conferire dignità formale alle osservazioni
fatte dai ragazzi, chiedendo loro di elaborarle in vario modo, “tecniche
Freinet”. Si cominciava con le discussioni collettive su quanto si era
visto. Poiché tutto questo doveva assumere un’importanza tale da poter
sostituire il “libro di testo”, si procedeva allora alla stesura di quello
che si andava via via dicendo. Scriveva il maestro sulla lavagna e i bambini
scrivevano sul quaderno, oppure scrive il maestro a macchina. Diventava quindi
un testo redatto collettivamente “tecnica
del lavoro di gruppo”. Il quaderno non appariva più sufficiente a
conferire un’adeguata importanza a quanto si elaborava.
IL TESTO
LIBERO
Il testo libero fu la prima tecnica a cui approdò il Freinet, come
vissuto che si vuole narrare, contro il tema obbligato e amorfo. Un
testo libero, come indica il nome, è
un testo che il ragazzo scrive liberamente, quando abbia voglia di scriverlo, e
secondo il tema che lo ispiri.
Non basta dunque lasciare il ragazzo libero di scrivere, occorre
ispirargli la voglia, il bisogno di esprimersi. Proprio per tale ragione il vero
testo libero non può nascere e sbocciare che nel nuovo clima di libera attività
della Scuola moderna.
Questa presa di coscienza, che comprende dati individuali e collettivi,
non potrebbe certo essere raggiunta attraverso spiegazioni, per quanto
eloquenti. Anche in questo caso l’esperienza della vita sarà decisiva.
Un’altra innovazione delle tecniche Freinet è la “scelta
del testo libero”
per dargli l’onore della stampa che ne consentirà un impiego
pedagogico. La scelta del testo non
dovrà dipendere solo dai ragazzi ma dalla intera comunità di cui è parte il
maestro;
né il maestro deve essere più preponderante nella scelta; la scelta deve
avvenire con il voto democratico con maggioranza assoluta al primo turno,
maggioranza relativa al secondo turno; il maestro partecipa al voto a parità
con i suoi allievi.
Dopo che tutti i testi sono stati letti si vota la prima volta ma la
maggioranza assoluta non si raggiunge che in certi casi ben netti; vengono
allora eliminati, al secondo turno, i
testi che non hanno riscosso consenso e si opera la scelta solo fra quei testi
che hanno suscitato un minimo di interesse. La scelta allora sarà circoscritta;
se anche in questo secondo turno la maggioranza è incerta si rivoterà per
scegliere fra i due testi in alternativa.
Questo diventa il metodo più semplice e più democratico perché il
testo adottato sia quello che più possa interessare a fondo l’insieme della
scolaresca e dunque il più utile dal punto di vista formativo e culturale.
Questa ulteriore tecnica preannuncia quella della tipografia scolastica per la
stampa del giornalino.
L’ORGANIZZAZIONE
MATERIALE DELLA SCUOLA
Il problema del rendimento in materia di insegnamento è legato a quello
dell’attrezzatura scolastica. La modernizzazione di questa attrezzatura
comanda dunque, in certa misura, ogni miglioramento del rendimento del nostro
sistema educativo.
Freinet sogna lavagne mobili, sedie pieghevoli, biblioteche
fanciullesche, vetrine, acquari, telai per tessere, nonché piccoli laboratori
facenti capo alla sala comune, senza porte, nei quali gli scolari possano
installarsi a loro talento. Ma si tratta di un sogno lontano dalla realtà.
Allora, Freinet,
molto semplicemente, per meglio trovarsi al livello del ragazzo, per meglio
vivere il suo pensiero e partecipare alle sue emozioni, compie
un atto che resterà simbolico: toglie di mezzo la predella
che gli conferiva un inutile prestigio e colloca la cattedra a livello
del pavimento, contro i banchi dei suoi monelli.
La predella con quattro solidi piedi la trasforma in una robusta tavola
che ospiterà il materiale per la stamperia. Al disotto fisserà una
scaffalatura destinata a ricevere carte e stampati ed ecco l’officina di
stampa. Colloca meglio certi vecchi tavoli a leggio, sacrificando i più
malconci che trasforma in tavoli di esposizione, con la parte superiore ridotta
a piano orizzontale, si procura vecchi banchi, accosta alla parete alcuni
scaffali, modernizza il suo vecchio armadio a muro, ma con suo gran dispiacere,
non può abbassare le alte finestre da prigione per porle all’altezza dei
ragazzi. La classe ora ha preso un aspetto nuovo, vi si respira meglio, vi si
lavora con più facilità ed impegno.
Nondimeno, in questa piccola classe così sprizzante di attività, manca
qualcosa di artistico a completare la poetica atmosfera destata qua e là dallo
spettacolo dei bei paesaggi che il maestro fa ammirare ai suoi scolari durante
le passeggiate e che continua quella sensibile realtà spirante dalle poesie che
il giovane educatore improvvisa per i ragazzi. Non è il caso di pensare a una
qualche specie di teatro scolastico. Digiuno di musica, senza saper cantare,
troppo stanco per mettere in scena delle commediole, Freinet ripiega su quella
distrazione di tutto rispetto che è il cinema. Il Municipio accorda fondi per
l’acquisto di un proiettore e un fotografo di Grasse offre in noleggio per una
modesta cifra i film ricreativi ed educativi. Il lavoro scolastico viene
intervallato, a ragione veduta, da piccoli momenti di distensione che
alleggeriscono il compito del maestro pur donando al ragazzo
occasioni di evasione e di sogno, poiché sognare è sempre piacevole.
L’acquisto di dischi viene a completare l’ambiente di cultura e il disegno
libero, ben presto instaurato, conferisce a questa piccola classe
una originalità contrastante con la classe dove prevale l’autorità
dell’adulto e la passività del ragazzo.
LA TIPOGRAFIA
SCOLASTICA – CORRISPONDENZA INTERSCOLASTICA – SCATOLE DI LAVORO PER
ESPERIMENTI SCHEDE PROGRESSIVE ED AUTOCORRETTIVE.
L’innovazione
più celebre è senza dubbio costituita dalla “Tipografia Scolastica”.
Sebbene semplificata in molti procedimenti tecnici, così da essere poco
costosa e facilmente maneggevole per i fanciulli, essa è una vera tipografia,
capace di stampe nitide e di tirature elevate. I fanciulli apprendono a
riflettere, a leggere, a scrivere, a lavorare maneggiando i caratteri
tipografici, allineandoli sul regolo, tirando le bozze di stampa, che correggono
con il maestro. Nasce così l’idea
del “libro di vita (oggi chiamato giornalino scolastico)”;
i testi variamente elaborati erano oggetto di ulteriori
discussioni, erano esposti e potevano offrire l’opportunità per avviare un
dialogo con ragazzi di altre classi o di altre scuole. E’ questa una ulteriore
tecnica quella della “corrispondenza
interscolastica” molto
stimolante per rompere l’isolamento degli scolari di campagna; infatti
all’epoca delle prime esperienze di Freinet va ricordato non c’erano ancora
la radio e la televisione, i cinema non erano diffusi nei piccoli paesi, e così
la posta rappresentava ancora il mezzo ideale di collegamento con l’esterno.
La ricchezza dei documenti raccolti nei lavori di ricerca imponevano una
documentazione mobile, sempre a portata di mano, d’onde l’avviamento dei
diversi “schedari scolastici”, destinati ad arricchirsi
incessantemente. E di qui, inutile dire, la proscrizione dei manuali scolastici,
il cui contenuto, selezionato, scelto, ritagliato, incollato su schede, diventa
elemento favorevole e positivo di schedari in continuo arricchimento. Di qui le
biblioteche di lavoro, autentiche enciclopedie infantili di carattere
scientifico e culturale, che rimangono uno dei più dimostrativi elementi di uno
spirito nuovo, secondo un modernismo che si impone ormai a ritmo accelerato. Gli
schedari autocorrettivi di calcolo e di grammatica liberano il maestro e i
ragazzi dalle sterili ripetizioni della scolastica.
Il Freinet sentì anche il bisogno
di associare alle sue tecniche la predisposizione di scatole di lavoro per
esperimenti, l’allestimento di specifici laboratori nell’ambito della
scuola, soprattutto per attività manuali: la
coltivazione
di fiori e piante; la cura di animali.
La scuola tradizionale ha i suoi piani di lavoro definiti dall’esterno,
con i libri di testo, i programmi e gli orari. Il maestro stabilisce il giorno
prima nel suo registro lo svolgimento ora per ora, dieci minuti per dieci
minuti, di tutti i lavori dell’indomani. E’ una soluzione che ha il merito
di imporre alla scuola una tecnica minuziosa, che talvolta si crede perfino
stabilita scientificamente, che tranquillizza la coscienza dei maestri, nonché
dei genitori. C’è però una piccola noia: questo arrangiamento dall’esterno
conviene ai ragazzi? Nelle scuole Freinet invece di stabilire in anticipo,
autoritariamente, il lavoro scolastico dei ragazzi, viene preparato il lunedì,
tutti insieme, con “il piano di lavoro”. In realtà, ne
contiamo di quattro specie: il piano generale; i piani annuali; i piani
settimanali; il piano quotidiano. I primi due sono stabiliti prima dell’inizio
della scuola e dai quali ci rifaremo in ogni momento, in particolare quando
stabiliremo i nostri piani settimanali e giornalieri. Questi ultimi due sono i
veri strumenti che stabiliamo in collaborazione.
Questo piano è in un certo senso
la nomenclatura di ciò che Freinet chiama le “attività funzionali” del fanciullo, sorte dal lavoro e che
egli compie o vede compiere. Non si tratta di
verificare dei centri di interesse, che raggruppano le conoscenze da far
acquisire, ma le azioni che il ragazzo evocherà nei suoi testi o che saranno
alla base delle domande che porrà.
Così l’autunno, per il fanciullo, non è quello che si ha
l’abitudine di evocare: la caduta delle foglie, il tempo che si fa freddo, le
belle giornate che si allontanano, ecc.. L’autunno, per lui, è soprattutto il
terreno per la caccia alle allodole, che bisogna preparare e dove passerà i
suoi giorni di vacanza, alla posta; sono le foglie che rastrella e fa bruciare;
il granturco che raccoglie; i funghi che coglie, ecc.. Altrettante azioni che,
in questa stagione, lo appassionano.
Nato l’interesse, bisogna trovare presto la documentazione necessaria
al suo sfruttamento. Da qui l’importanza di questo piano generale che senza
perdita di tempo consente di procurarsi le biblioteche del lavoro, gli schedari,
le illustrazioni, ecc..
A fianco di questo piano generale ho i miei “piani annuali”. I quali
consistono molto semplicemente nell’essenziale di tutto ciò che abbiamo
dovuto obbligatoriamente aver visto alla fine dell’anno in aritmetica,
grammatica, storia, geografia, scienze, ecc. In qualche modo, i
programmi. A tale scopo ho un quaderno di cui ho diviso le pagine in caselle,
ognuna riservata a un argomento del programma. Questo ultimo è dunque una
specie di ripartizione annuale, ma l’ordine col quale sono riportati questi
argomenti non ha niente di costrittivo. Salvo che in storia, dove procedo
secondo l’ordine cronologico, in tutte le altre materie rispetto per prima
cosa l’interesse del fanciullo. Di modo che quest’anno, in aritmetica,
abbiamo cominciato molto tradizionalmente con i grandi numeri, le quattro
operazioni; poiché già ci parlavano del nostro progetto di viaggio-scambio,
prendemmo gli orari ferroviari e, attualmente, ci troviamo sprofondati nei
numeri complessi, nelle misure di distanze. Può darsi che in seguito ci
parleranno delle velocità. Tutto ciò ci porta ai quattro angoli del programma.
Via via che un argomento è stato trattato, contrassegno di nero la
casella corrispondente del mio piano annuale. La contrassegno più o meno
secondo che la giudico più o meno acquisita dai miei scolari. Ogni volta che mi
troverò a doverne riparlare, annerirò un’altra parte della casella,
mettendovi la data.
Quando consulto il mio piano, so esattamente e molto rapidamente ciò che
mi resta da trattare, ciò che ancora non è bene appreso, orientando dunque i
miei sforzi in conseguenza. Questo piano mi serve dunque di guida e di
coscienza, poiché mi ricorda a ogni momento che, dopo tutto, devo svolgere dei
programmi.
Questi piani ci sono ancora molto utili il lunedì mattina, quando
stabiliamo i nostri piani settimanali: di solito non ci manca davvero materia da
trattare, ma talvolta ci manca il materiale. Che facciamo allora? Seguendo
l’agenda dove sono annotate tutte le questioni rimaste in sospeso per mancanza
di documentazione, consultiamo i piani annuali e attingiamo alle caselle rimaste
bianche.
IL PIANO SETTIMANALE
Nella
scuola così organizzata dal Freinet, la dimensione temporale che rappresentava
il principale punto di riferimento era la settimana; il lunedì mattina ogni
alunno riceveva un modello comprendente: per la grammatica, certi lavori
collettivi e alcune schede dello schedario di grammatica, concordate con
l’insegnante; per il calcolo, un programma con pratica di lavoro individuale e
sociale e alcune schede dello schedario di calcolo; per la composizione; le
indicazioni per alcuni testi liberi individuali e di gruppo; per la storia, la
geografia, le scienze, argomenti tratti generalmente dalle esperienze svolte la
settimana precedente e argomenti tratti dal piano di lavoro annuale; da svolgere
attraverso ricerche individuali e di gruppo con il vario materiale
(schedari-guida, biblioteca di lavoro, scatole di lavoro, strumenti di
laboratorio, etc.).
ORIENTAMENTI
BIBLIOGRAFICI
·
Celestin
Freinet; “Le mie tecniche”, Nuova Italia Firenze, 1969
·
Antonio
Santoni Rugiu: “Storia Sociale dell’Educazione”, Principato
Editore/Milano, 1979
·
Giorgio
Straniero: “Enciclopedia Storica della Pedagogia”, Teti Editore, 1980
·
Giovanni
Reale/Dario Antiseri/Mauro Laeng: “Filosofia e Pedagogia dalle origini ad
oggi”, Volume 3°, Editrice La Scuola, 1989
·
www.ecn.org./filirossi/freinet;
·
www.bdp.it/scuoleinrete29too/sammauro/scuole/freinet
MCE
(Movimento di Cooperazione Educativa),
storica associazione di insegnanti, nata nel 1951 in riferimento alla pedagogia
di C.Freinet, ha sviluppato ricerca e innovazione didattica e culturale attorno
alla pedagogia popolare, alla cooperazione educativa e al metodo naturale
nell'apprendimento. Incentra oggi la propria proposta educativa sull'educazione
alla pace, basata sull'accettazione della diversità nella prospettiva dello
scambio interculturale e della solidarietà.